La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

IX. GIORNO

Dell’Invidia.

« Ubi zelus, et contentio, ibi inconstantia, et omne opus pravum. — Dov’è zelo, e contesa, ivi è incostanza, ed ogni opera prava » (Lettera di Giacomo 3, 16).

 

I.

Considera, che questo zelo, di cui qui si ragiona, è quello appunto, che poco prima avea l’Apostolo stesso chiamato amaro: « Quod si zelum amarum habetis, etc. — Che se avete uno zelo amaro, ecc. » (Lettera di Giacomo 3, 14). E che però non altro qui significa, che l’invidia; la quale se ben spesso vien detta zelo, è perchè tal è il nome di chi la genera, ch’è la gelosia di propria riputazione: passando sempre questa diversità tra chi invidia alcuno, e chi l’odia, che amendue veramente si attristano del ben d’esso; ma l’odiatore se ne attrista direttamente, a cagion del male, che vuole al detto avversario; l’invidioso, a cagion dell’amore, che porta a sè, parendogli che nell’esaltamento dell’avversario egli debba restar depresso. « Iratus est autem Saul nimis, et dixit: dederunt David decem millia, et rnihi mille dederunt: Quid ei superest nisi solum Regnum? — Saulle n’ebbe sdegno grandissimo, e disse: ne han dati dieci mila a Davidde, e mille a me; che più gli manca se non il solo Regno? » (Primo libro di Samuele 18, 8). Quindi è, come disse Santo Agostino, che l’eguale invidia all’eguale, perchè vede lui pari a sè: l’inferiore invidia al superiore, perchè non vede sè pari a lui; e ‘l superiore invidia all’inferiore, perché sè non vede lui pari a sè, teme di vederselo. Questa invidia poi alle volte sta chiusa tutta nell’animo, ed allora è semplice invidia: alle volte prorompe negli atti esterni, ed allor trapassa a contesa tanto più brutta, quanto più apparisce ambiziosa; giacchè contesa, altro non è, secondo l’istesso Santo, che uno studio garoso di sovrastare per ogni verso, o lecito, o illecito : non si avendo in essa per fine di far prevalere il merito, ma se stesso. Dove però alberga un’invidia così sfacciata, pronunzia qui divinamente l’Apostolo, ch’ivi è incostanza, e ch’ivi è ogni opera prava: Ubi zelus, et contentio, ibi inconstantia, et omne opus pravum. Inconstantia è nell’intelletto: Opus pravum è nella volontà. Oh quanto è necessario che tu ad uno stato sì misero pigli orrore! E però prega il Signore, che ti dia bene a conoscere i mali d’esso per non entrarvi, o per uscirne di subito, se vi sei.

II.

Considera, che dov’è questa invidia, detta di sopra, quivi è primieramente incostanza nell’intelletto : ibi inconstantia. Perchè l’invidia non solamente l’offusca come fa ogni altra passione, ma lo stravolge. « Non rectis ergo oculis Saul aspiciebat David a die illa, et deinceps. — Saulle non guardava di buon occhio Davidde da quel giorno in poi » (Primo libro di Samuele 18, 9). Sicchè colui il qual prima pareva a te meritevole d’ogni bene, dappoi ch’hai cominciato a portargli invidia, ti par già tutto diverso da quel che egli era. Quella che prima ti pareva in lui divozione, già presso te si è cambiata in ipocrisia; quel ch’era generosità, or’è audacia; quel che era graziosità, or’è affettazione; e così va discorrendo per gli altri pregi, di cui ti sembrava già adorno. E non è, ch’egli sia cambiato in se stesso, è che ti sei cambiato tu verso lui. « Non rectis oculis aspicis — Nol guardi di buon occhio ». E che ti ha cambiato? Ti ha cambiato quel fascino maledetto, di cui parliamo; ti ha cambiato l’invidia. Quest’ha fatto che il tuo intelletto, non più costante, ma instabile, muti sensi, anzi non trovi mai posa. Perchè l’invidia stessa ti fa parere, ora che il tuo avversario si meriti per verità quegli onori che egli riporta, ed ora ti fa parer che non se gli meriti. Ma non puoi sapere quand’ella t’inquieti più, se quando ti rappresenta, che giustamente egli sia onorato, o se quando ti rappresenta, che ingiustamente. Quindi è, che una incostanza sì misera di giudizi, non può non trasparire ancor nei discorsi, che di lui tieni. Perchè in essi or ti mostri ritroso a credere tanta gloria, quanta è quella che di lui narrasi; e dici a te nel cuor tuo, che non sarà tanta; or la credi ancora maggiore di quel ch’ell’è, e così pur sempre t’inquieti. E benchè vogli dissimulare il veleno ascosto nel cuore, tu non puoi farlo, ma tuo malgrado lo lasci al fine trascorrere in sulla lingua, tanta è l’agitazione che ti trasporta : « Exagitabat eum spiritus nequam. — Lo vessava uno spirito malo » (Primo libro di Samuele 16, 14). E da ciò avviene, che nel parlar del tuo emolo tu non sai più ritenere un tenore stesso : ma se ora il lodi qualche poco tu ancora, con quei che il lodano, per non dimostrarti sì apertamente invidioso; tra non molto lo biasimi più di loro, con quei che il biasimano, per abbracciar l’ occasione di screditarlo. E così in te l’incostanza, da chi ti osserva, si scorge chiara : « Dixeruntque servi Saul ad eum: Spiritus malus exagitat te. — E i cortigiani di Saulle dissero a lui : Tu sei travagliato da uno spirito malo » (Primo libro di Samuele 16, 15). Se non che sempre nel biasimare usi un’arte, ch’è la maestra; ed è appunto l’arte opposta a quella che tengono di ordinario gli adulatori, per quell’affinità ch’hanno i vizi con le virtù; dicono, per cagion di esempio, a quel Principe, il qual è astuto, che egli è prudente; all’avaro, ch’è provvido, all’arrogante, ch’ è prode; al fiero, ch’ è giusto : tu per contrario usi dire dell’avversario, s’ è giusto, ch’ egli è fiero; se prode, ch’egli è arrogante; se provvido, ch’egli è avaro; se prudente, ch’egli è un astuto; e così ti abusi di questa vicinanza che tra loro hanno le virtù, e i vizi, a colorire la malignità dell’affetto, che ti perturba : « Quare hoc unguentum non veniit trecentis denariis, et datum est egenis? — Perchè un unguento come questo non si è venduto trecento danari, e dato ai poveri? » (Vangelo di Giovanni 12, 5). Da quanto si è qui detto finora, tu puoi conoscere, se nel tuo cuore si alligni verun’invidia : perciocchè questi ne son creduti da molti i più chiari segni, che fuori ne traspariscano.

III.

Considera, che siccome dov’è l’invidia, tanto già replicata, ivi è incostanza nell’intelletto : ibi inconstantia; così pur ivi è qualunque opera prava nella volontà: et omne opus pravum. A spiegar ciò, comunemente si dice, che l’invidia trasporta l’uomo a qualunque alto eccesso d’iniquità. Perciocchè dove egli scorge di non poter più con le parole pregiudicare alla stima dell’avversario, Io procura co’ fatti; e così trascorre ad inganni, a trame, a tradimenti, a furori, ed a tutti i più atroci assassinamenti, che sieno al Mondo: « Factusque est Saul inimicus David cunctis diebus. — E Saulle diventò nimico perpetuo di Davidde » (Primo libro di Samuele 18, 29). Ma per un’altra ragione ancor si può dire, ch’ove è l’invidia, ivi è già ogni opera prava; non « erit — sarà » solamente, ma « est — è » : perchè l’invidia è un compendio d’iniquità: « Fera pessima. — Una fiera crudele » (Genesi 37, 20). E così, se tu esamini gli altri vizi, vedrai, che ciascun di essi si oppone a qualche virtù, ma solo alla sua contraria : che però quello il quale si oppone ad una virtù, non si oppone all’altra. La gola si oppone alla temperanza, ma non si oppone alla liberalità; la ferocia si oppone alla misericordia, ma non si oppone alla pudicizia; il furore si oppone alla mansuetudine, ma non si oppone alla parsimonia; l’inganno si oppone alla lealtà, ma non si oppone alla tolleranza; e così è parimente degli altri vizi, quanti mai sono : ma non è così dell’invidia. L’invidia sola è quella che si oppone alle virtù tutte: perchè da tutte, in vederle, ella cava pena, come se tutte fossero sue contrarie, e così tutte vorrebbe, o stenuarle, o spiantarle, o cambiarle in vizi: « Ob hoc invidentes ei omnes puteos, quos foderant servi patris illius Abraham, illo tempore obstruxerunt, implentes humo. — Portandogli per ciò invidia i Palestini, accecarono in quel tempo tutti i pozzi scavati da’ servi del padre di lui Abramo, empiendoli di terra » (Genesi 26, 14, 15). E nella stessa maniera qualunque altro vizio, se fa un male, ne impedisce necessariamente alcun altro : perchè se rende uno avaro, impedisce ch’ei non sia prodigo : se rende uno ardito, impedisce ch’ei non sia pusillanime. E così va tu discorrendo. Ma l’invidia non fa così. L’invidia non impedisce mai male alcuno; anzi consigliali tutti. Che però vedi ch’ella fu che già tutti gli portò al Mondo: « Invidia diaboli mors introivit in orbem terrarum. — Per l’invidia del diavolo entrò nel mondo la morte » (Sapienza 2, 24). E così gl’ invidiosi hanno quasi un procedere diabolico, perchè come il diavolo si rattrista del bene, il quale hanno gli uomini, e si rallegra del male; così fann’essi. Quindi è, che l’Apostolo nemmen disse: « Ubi zelus, et contentio, ibi inconstantia, et omne opus malum — Dov’è zelo, e contesa, ivi è incostanza, ed ogni opera cattiva », ma « opus pravum — ogni opera prava », perchè il mal di quelle opere, a cui trascorrono gl’invidiosi, non è mal fatto a caso, ma fatto ad arte; è affinato dalla malizia, è avvelenato dalla malignità: e così è male che nasce da volontà totalmente storta, quale è la diabolica. E tu ad un tal male dai adito nel cuor tuo?

IV.

Considera, che quantunque l’ invidia sia veramente di cura difficilissima; che però ella viene rassomigliata ad una putrefazione ascosta nell’ossa: Putredo ossium invidia (Proverbio 14, 30); contuttociò, mercè la grazia di Dio, può curarsi anch’essa; ma convien bene applicarvi i rimedi in tempo: altrimenti poi di cangrena si farà fistola, da cui non si può guarire senza miracolo, ch’è la ragione, per cui l’invidia, quando ella è giunta al suo grado perfetto d’iniquità, si annovera tra peccati, che sono detti contra lo Spirito Santo, il quale non è giusto che faccia bene a chi si duole del bene, ch’egli fa ad altri. Questi rimedi poi sono di due sorta. Uno è speculativo, uno è pratico. Il primo è, che tu procuri di conoscere al vivo quel sommo danno, che con l’invidia ti arrechi da te medesimo. Perchè laddove, se ti avvezzassi a godere del bene altrui, tutto il bene altrui si convertirebbe in bene tuo, mediante quel sì bell’atto di carità, sicchè potresti ancora tu dire a Dio con immenso gaudio : « Particeps ego sum omnium timentium te. — Io sono partecipe di tutti quelli che ti temono » (Salmo 119): mentre per contrario l’hai a sdegno, tutto il bene altrui si cambia a un tratto in tuo male, e male gravissimo; male di corpo, che ti affligge, che ti agita, che ti strugge, ma senza pro: e male di animo, che ti rende a Dio tanto odioso, quanto un Diavolo, persecutore del bene, che Dio fa al Mondo. Non è però questo un traffico da ammattito: cambiare tutto in tuo male il bene degli altri; quando con tanta facilità tu potresti convertirlo tutto in ben tuo? « In Uno oculo adinventionem facito manuum tuarum; quoniam Dominus retribuens est, et septies tantum reddet tibi. — Con lieto occhio offerisci secondo le tue facoltà; perocchè Dio è rimuneratore, e renderà a te il settuplo » (Ecclesiastico o Siracide 35, 12). Il secondo rimedio si è, che sii pronto a reprimere i primi moti di sì reo vizio: tanto che, se il Demonio, a guisa di serpe sta comunemente insidiandoti alle calcagna, cioè all’estremo di qualunque opera buona, affinchè non ti segua felicemente sino alla fine: « insidiaberis calcaneo ejus — tenderai insidie al calcagno di lei » (Genesi 3, 15), tu per l’opposito procuri di schiacciargli subito il capo, con dare addosso a’ principii di quella tentazione, ch’egli in te sveglia: « ipsa conteret caput tuum — ella schiaccerà la tua testa ». E ciò nel caso nostro farai in tre modi: col cuore, con le parole, e con le opere. Col cuore, pregando tosto Dio per colui, verso cui il Demonio ti vuole istigare a invidia; e augurandogli ogni prosperità, ogni grazia, ogni gloria, ogni contentezza. Con le parole, dicendone apposta bene nelle occorrenze, e più ancora non ti opponendo, quando con tua pena ne senti dir bene da altri. Con le opere, procurando, se puoi, di cooperare a qualunque sua esaltazione dentro i termini dell’onesto. Fa ciò, e la cangrena sarà curata, perchè vi avrai applicato già ferro, e fuoco. Il ferro sarà stato il primo rimedio, che viene dall’intelletto, e penetra a scoprir tutto il fracidume racchiuso in sì brutta piaga. Il fuoco sarà stato il secondo, che vien dalla volontà, e che con atti di carità, tanto più salutari, quanto più ardenti, va seccando un tal fracidume.

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