NOVEMBRE
IX. GIORNO
Sopra la Beatitudine terza : si discorre di quei che piangono.
« Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur. — Beati coloro che piangono, perchè questi saran consolati » (Vangelo di Matteo 5, 5).
I.
Considera, che quantunque questo nome di lutto sia di presente trapassato ad un ampio significato, contuttociò da principio fu istituito a significar propriamente quella tristezza, che nasce dal ben perduto. Scorri le divine Scritture, e vedrai che queste sempre inferiscono : « Stola luctus, dies luctus, domus luctus, chorus luctus — Veste di duolo, giorno di pianto, casa di duolo, coro di lutto », ed altri tali. Ed ancor oggi si dice bene, che stiano in tristezza somma quei due sposi sterili, che da tanto tempo chieggono al Cielo una prole, ed ancor non la hanno : ma non si dice che stiano in lutto. In lutto si dicono essere quei due sposi che l’han perduta, o che già già sono vicinissimi a perderla : che però questi come tali s’astengono totalmente da quegli sfoggi, e da quei sollazzi, da’ quali non si astengono i due sposi sterili, perchè questi non sono in lutto. Posto ciò, già tu intendi chi sien coloro i quali Cristo propriamente qui volle chiamar beati, quando egli disse : Beati qui lugent. Sono quegli che piangono il ben perduto. Ma che? Tutti coloro sono dunque beati i quali piangono il morto? Beato chi piagne per quel danaro di cui venne diseredato? Beato chi piagne per quella dignità da cui fu deposto? No, perchè a pro di questi non milita la ragione che Cristo addusse. Cristo disse : « Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur — Beati coloro, che piangono, perchè questi saran consolati ». Ma questi non possono essere quei dolenti, che tu mi apponi. Perciocchè quegli, se formassero ancora un mare di lagrime co’ lor occhi, non possono però mai risarcire con esso le loro perdite, e però non possono essere consolati. Chi piagne il morto non lo ravviva col piagnere; chi piagne il danaro non lo ricupera; chi piagne le dignità non le riacquista : e però il pianto lor non gli fa beati, mentre non può consolarli. Piuttosto gli fa più miseri, mentre ogni dì più li consuma senza profitto. Beati sono, a cagion del pianto loro, quei che deploran le perdite, ch’hanno incorse per lo peccato, perchè questi soli le possono ristorare col loro pianto, e però questi sì che si troveranno ancora un dì consolati. Queste perdite sono due : dei beni di grazia, e dei beni di gloria. E però eccoti quei che qui Cristo intitolò principalmente beati , quando egli disse: Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur. Quei che sono dolenti per tali perdite, e che però non altro studiano più, che di risarcirle con una penitenza cordiale. Che fai dunque tu, che ti rammarichi tanto per ogni piccolo bene di questo mondo che ti sia tolto? Riserba il tuo dolore ad uso più nobile. Riserbalo a deplorare ciò che perdesti in un momento peccando : i beni di grazia, i beni di gloria; altrimenti il tuo dolore non solo ti sarà tutto inutile, ma dannoso.
II.
Considera come questo sì degno lutto è argomento di Predestinazione « Beati qui lugent — Beati coloro, che piangono ». Perchè egli porta con esso sè la riparazione infallibile di quelle due durissime perdite, che si piangono, dei beni di grazia, e dei beni di gloria : « Beati qui lugent, quoniani ipsi consolabuntur. — Beati coloro che piangono, perchè questi saran consolati ». In tre modi si può consolare uno, il quale è dolente per alcun bene da sè perduto. Prima con animarlo, a portare in pace la perdita da lui fatta. Secondo con dargli qualche bene, che in alcun modo equivaglia a quello di cui restò privo. Terzo finalmente con rendergli il bene stesso ch’egli perdè. E chi consola così, consola davvero. Ond’è, che Cristo così consolò già la vedova di Naim. Quando Cristo dunque qui disse : « Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur — Beati coloro che piangono, perchè questi saran consolati », sicuramente non potè per tal consolazione intendere giammai quella del primo genere, perchè sarìa troppo indegna. Non si può mai dire ad uno, ch’ei porti in pace le perdite o di grazia, o di gloria, ch’egli incorse per il peccato, anzi dee dirsegli, che mai non resti di piagnerle. Nemmeno potè intendere quella del secondo genere, perchè non v’ è bene al mondo che in alcun modo equivaglia, neppur da lungi, ai beni che peccando si son perduti, equivaglia alla grazia, equivaglia alla gloria. Resta dunque che Cristo solo intendesse di favellar della consolazione del terzo genere: perchè questa sì ch’è la vera. Ed il dovere un giorno arrivare a questa consolazione, non può star senza esser predestinato. Però Cristo disse: « Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur —Beati coloro che piangono, perchè questi saran consolati », o « consolationem accipient — riceveranno consolazione », come per più chiarezza si legge in alcuni testi. Perché la vera consolazione, di cui parlò qui. Cristo, tutta è futura. Non può negarsi, che a questo beato lutto non vada unita una somma consolazione anche in questo mondo. Ma questa tutta nasce da quel diletto, che porge il fiore qual caparra del frutto : « Facti sumus sicut consolati. — Fummo come uomini ricolmi di consolazione » (Salmo 126, 1). Nel resto non può qui essere mai perfetta, perchè sempre rimane qualche sospetto, che il fior non leghi. La fiducia di aver ricuperata la grazia di Dio, perduta per il peccato, sempre è intorbidata da molto di tepidezza : « Quis potest dicere, mundum est cor meum? — Chi è che dir possa, il mio cuore è mondo? » (Proverbio 20, 9). E molto più n’è intorbidata anche quella di avere a perseverare in una tal grazia sino alla fine, quando pur sia venuta a ricuperarsi. Perfetta consolazione sarà sol dunque quella, che verrà dal frutto maturo. E questa al fin si otterrà in Paradiso, promesso qui da Cristo sotto il vocabolo di consolazione, non solo perchè quivi ogni penitente racquisterà con sicurezza i beni di grazia, e i beni di gloria, per cui qui piagne; ma racquisterà quei beni ancor temporali, di cui privossi per voler vivere in lutto : quali sano, piaceri, glorie, amicizie, grandezze, comodità, e tutti quegli altri, che poco son confacevoli a un cuor dolente. Oh come là tutti questi beni si ricupereranno ancor essi con ampia usura! E però, che temi tu, che qual penitente ora vivi in lutto, nè trovi chi ti consoli? « Consolatio abscondita est ab oculis meis. — I miei occhi non vedono consolazione » (Osea 13, 14). Confortati, che al tuo lutto succederà quella consolazione, che sola è vera : quella dico, che dovrà renderti il ben perduto : « Ego, ego ipse consolabor vos, dicit Dominus — Io, io stesso vi consolerò, dice il Signore » (Isaia 51, 12).
III.
Considera qual sia la ragione per la qual Cristo, dopo aver quasi poste per fondamento quelle parole : « Beati pauperes spiritu — Beati i poveri di spirito », soggiunse « Beati mites — Beati i mansueti », e poi « Beati qui lugent — Beati coloro che piangono », e non « Beati qui lugent — Beati coloro che piangono », e poi « Beati mites — Beati i mansueti », come apparisce dalla edizion volgata, a cui sempre è meglio attenersi. La ragion è, perchè siccome la Povertà è quella, che sommamente dispone alla Mansuetudine (secondo ciò che mostrossi nella precedente meditazione) così la Mansuetudine è quella che sommamente dispone al lutto; e però doveva andar prima. Si aggiugne che Cristo intese con queste tre Beatitudini già spiegate di riordinar tutto l’uomo vecchio in ordine a se medesimo. E però prima volle, ch’egli calpestasse tutti quei beni, che ha sotto sè, quali sono i beni esteriori, significati per le ricchezze. E dipoi passando all’interno, gli volle prima moderar l’irascibile con la mansuetudine, e poi la concupiscibile col lutto; perchè posati i moti ardenti dell’ Ira, che tende all’ arduo, allora è tempo di pensar quietamente all’anima propria, e di piagnerne le sciagure con, privarsi a tal fine di quei piaceri o impuri, o imperfetti, i quali poco si adattano ad un che ;Magne. Ed ecco da che potrai tu conoscere veramente se vivi in lutto : dai segni i quali dinotano un tale stato.
IV.
Considera come questi segni son prima quei che appartengono alla concupiscibile, contro cui pugna il lutto immediatamente. Perchè chi in lutto è davvero, appena sa ridursi a pigliare un poco di cibo, tanto è svogliato. Pensa tu s’egli applica il cuore a crapole, a conviti, a vivande anch’epulonesche. Al lutto suole andare unito il digiuno : « Porro Anna flebat, et non capiebat cibum. — Ed Anna piangeva, e non prendeva cibo » (Primo libro di Samuele 1, 7). Per uno, che vive in lutto, son finite le vane conversazioni, le scene, gli spettacoli, i balli, e que’ tanti altri vanissimi passatempi, dietro cui va perduta la gente allegra : « Musica in luctu importuna narratio. — La musica nel duàlo è come un ragionamento fuori di tempo » (Ecclesiastico o Siracide 22, 6). Che lutto dunque vuoi tu dare ad intendere che sia il tuo, se a questi vivi attaccato? Dipoi vengon quei segni, che spettano all’irascibile, la qual ad altro non tende che a sovrastare, e però male sa confarsi col lutto. Chi vive in lutto non è vago di gloria: l’ha sotto i piedi. Allora è il tempo, ch’ei procede verso di tutti con umiltà, e a tutti ricorre, e a tutti si raccomanda, con intimarsi il più misero ornai di tutti : « Quasi lugens, et contristatus, sic humiliabar. — Mi umiliai come uno che ‘ è in duolo e in tristezza » (Salmo 35, 14). Di’ però similmente, che lutto è ‘l tuo, s’hai mente da pensare a tante maniere di portare il tuo nome sino alle stelle? Se tu piagnessi davvero, ti abbasseresti più che non fe’ quel dolente Mifiboset, il quale rispose a Davidde tra gli onori da lui profertigli : « Quis ego sum servus tuus, quoniam respexisti super canem mortuum similem mei? —Chi son io tuo servo, onde tu abbi voluto rivolger lo sguardo ad un cane morto, qual son io? » (Secondo libro di Samuele 9, 8). E in terzo luogo vengon quei segni finalmente, che spettano ai beni estrinseci, detti dai più di fortuna, a sfoggi, a pompe, a presenti, a scialacquamenti. Non è mai proprio di quei che vivono in lutto un vestir superbo. Anzi allor è quando si depongono affatto tutte le gale, tutte le gioie, e si amano le gramaglie : « Scissisque vestibus, indutus est Jacob cilicium, lugens filium suum multo tempore. — E stracciatesi le vestimenta, Giacobbe si coprì di cilicio, e pianse per molto tempo il figlio suo » (Genesi 37, 34). E tu come fai? Hai dato ancor nel tuo lutto un bando totale a qualunque minima sorte di vanità? Mira le case di chi sta in lutto, e contempla le mura nude, e le lettiere sfornite, i letti spregevoli. Questo è segno d’un lutto vero. Se usi tu di operare diversamente, non vivi in lutto. E però deduci di qui ciò che Cristo intese, quando egli disse: « Beati qui lugent —Beati coloro, che piangono » : intese parlar di quei, che hanno il cuore staccato da tutto ciò, che va mal unito col lutto.
V.
Considera come a questa terza Beatitudine corrisponde il Dono’ della Scienza : perciocchè questa sopra d’ogni altra cosa, ti porterà quella compunzion sovrumana, che dee bearti « Qui addii scientiam, addii et dolorem. — Chi moltiplica il sapere, moltiplica anche il dolore » (Qoèlet 1, 18). Che vuol dir che tanti Cristiani non piangono le lor perdite, benchè somme? Perchè sono tanti ignoranti. Non sanno che beni sieno quei ch’han perduti, i beni di grazia, i beni di gloria. E però il perdere tutti questi dà loro assai men di pena che il perdere nelle stalle un Barbero, o un Bracco. Non così chi possiede una scienza viva di tali beni. Oh com’egli si attrista, quando si accorge che gli ha perduti ! « Fuerunt inihi lacrimae mea panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus? — Mio pane furono le mie lagrime e notte, e giorno, mentre a me si diceva : Il Dio tuo dov’è? » (Salmo 42, 4). E però ecco il vero modo di spendere i giorni in lutto : penetrar fino all’intimo, che vuol dire l’aver peccato : allora sì, che il lutto solo par poco. Si passa a lagrimare, si passa a lagnarsi, si passa a fare, se si può tanto, uno scempio di se medesimo. E ciò significa il vivere finalmente, com’è di alcuni, non solo « in luctu — in lutto » ; ma « in luctu, et fletu, et planctu — in lutto, in lagrime, e in pianto ». Credi tu per ventura, che il dir così sia fare un vano accumulamento di termini senza forza? T’inganni assai. Anzi questi sono que’ termini che spiegano tutti i gradi di un penitente, qual si conviene : Luctus, fletus, et planctus. Luctus è ‘l duolo sommo, racchiuso in cuore; fletus sono le lagrime, con cui si sfoga un tal duolo; planctus sono quegli atti di battersi, di straziarsi, di smaniare, che si aggiungono a tali lagrime : così parve a’ Dottori grandi. E però vedi, che Luctus nelle Divine Scritture si oppone al gaudio, come hassi da un Salomone : « Extrema gaudii luctus occupat. — Il pianto succederà all’allegrezza » (Proverbio 14, 13). Fletus si oppone al riso : « Tempus flendi, et tempus ridendi. —Tempo di lagrimare, e tempo di ridere » (Qoèlet 3, 4). Planctus si oppone al tripudiamento : « Tempus plangendi, et tempus saltandi. — Tempo di piangere, e tempo di saltare » (Qoèlet 3, 4). Eccoti dunque ciò che ti conviene fare, se tu vuoi vivere da penitente perfetto. Mantieni prima una compunzione profonda dentro il cuor tuo per tanto eccesso di male da te commesso. Dipoi va a piagnerlo spesso dirottamente dinanzi a Dio, se tu sei degno di tanto; e se non sei, va là a bramare di piagnerlo. Appresso non cessare di affliggere le tue carni, per quanto puoi, con penitenze proporzionate al tuo dosso, o di cilici, o di pungoli o di percosse, o di altre sì fatte guise : « Luctum unigeniti fac tibi planctum arnarum — Piangi come si piagne la morte d’un unigenito con pianto amaro » (Geremia 6, 26), qual è questo ch’hai qui sentito. Non creder già, che un solo lutto ordinario sia quello che fa beato. Vuol essere quello che non sa contenersi già più dal pianto, e da pianto amaro. Da che (come conchiudono tutti) le Beatitudini annoverate da Cristo non sono altro che le virtù convenevoli ad un Cristiano : ma virtù possedute in un grado eroico.