AGOSTO
IX. GIORNO
Effetti terribilissimi del peccato.
« Obstupescite Coeli super hoc, et portae ejus desolainini vehementer, dicit Dominus. Duo enim inala fecit populus meus. Me dereliquerunt fontem aquae vivae, et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas, quae contenere non valent aquas.— Stupite, o Cieli, e voi dirompetevi orribilmente, cataratte del Cielo sopra tal fatto, dice il Signore. Perocchè due mali ha fatto il mio popolo. Hanno abbandonato me fonte d’acqua viva, e si hanno scavate delle cisterne, delle cisterne fesse, che non possono contener acqua » (Geremia 2, 12, 13).
I.
Considera come il peccatore ha due mali terribilissimi, ciascun de’ quali con reciproco influsso concorre ad accrescer l’altro, e ad aggravarlo. L’avversione del Creatore, e la conversione alle cose da lui create. Quando peccando, non altro più si facesse d’inconveniente, se non che rivoltare le spalle a Dio; che pare a te? Non sarebbe ciò per sè solo un eccesso enorme? Or che sarà, mentre di vantaggio si voltano a lui le spalle, per andar dietro a creature vilissime, che altro alla fine non sono più che fattura delle sue mani?. E quando altresì peccando, non altro più si facesse d’irragionevole, che andar dietro tali creature con un ossequio da lor non mai meritato, non sarebbe anche questo assai da abborrirsi? Or che sarà, mentre, affin di rendere ad esse un ossequio tale, si voltano di vantaggio le spalle a Dio? Questi due mali pertanto, congiunti insieme, afferma il Signore, che aveva già commessi il suo popolo : Duo mala fecit populus meus, etc. E però quasi inorridito egli stesso di ardir sì strano, non solo dice al Cielo, che si stupisca, ma dice ancora alle cataratte del Cielo, che si dirompano, e lascin pure, come a furia, cadere sopra un tal popolo e nembi, e turbini, e tempeste, e saette, ed ogni altro più fiero eccidio ch’è di dovere: Obstupescite Coeli super hoc, et portae ejus desolamivi vehementer, dicit Dominus. Ma che sarebbe, se potesse egli dire, che questi due mali stessi, così congiunti, sono egualmente operati adesso da te? So, che come Dio in questo suo gran lamento non altri intese per fonte, che se medesimo; così intese anche gl’idoli per cisterne: ma in primo luogo; perchè nel resto è certissimo, che per cisterne intese ancora in secondo luogo quegli uomini, dalla cui perversa amicizia non voleva il suo popolo distaccarsi, quali erano gli Egiziani, gli Assiri, ed altri si fatti, che non erano abili ad altro, che a pervertirlo. Però se tu sei nel caso di stimare l’amicizia degli uomini, molto più che quella di Dio, applica a te questo detto, ch’egli è per te. E pure, oh quanto è facile, che vi sii, forse ancora da lungo tempo !
II.
Considera la differenza notabile, la qual passa tra le cisterne, e la fonte. La fonte ha l’acqua da sè, l’ha tutta viva, l’ha illimitata, l’ha indeficiente, e l’ha di maniera, che per quanto a ciascuno ne doni in copia, non però mai viene punto a impoverirsi. Le cisterne n’han quella sola, che può capire dentro il lor piccolo vaso, e non l’han da sè; che però solo n’hanno tanto, e non più, quanto ne ricevono dalle gronde benefattrici. E questa appunto è la differenza, che passa tra ‘l tuo Signore, e quelle persone amate, che tu talvolta non dubiti di anteporgli. Egli è fonte pienissimo d’ogni bene, che da nessuno dipende: « Apud te est fons vitae. — Presso di te è la sorgente della vita » (Salmo 36, 10). Ma per contrario tutte quelle persone, che hanno di riguardevole da se stesse? Non hanno nulla. Han quello solo, che da Dio fu loro donato cortesemente, e l’hanno ancora a misura, a misura stentata, a misura scarsa : « Ecce gentes quasi stilla situlae — Ecco che le nazioni sono come una stilla della secchia » (Isaia 40, 15). E nondimeno per esse tu lasci Dio? Oh che torto indicibile vieni ad usargli! Di’, qual motivo ti spinge a voler anzi l’amicizia degli uomini, che di Dio? Sicuramente, o l’onorevole, o l’utile, o il dilettevole: non v’è altro. Ma quanto all’onorevole, di’ tu stesso: non ti reputi a onor maggiore possedere nel tuo giardino una bella fonte, che possedervi una cisterna di semplice acqua piovana, che mai non rischiara abbastanza? E quanto all’utile: che eleggeresti in una tua possessione a maggior vantaggio di rendite? Ti eleggeresti una vile cisterna d’acqua, che appena basti a dissetare i tuoi poveri mietitori, oppure ti eleggeresti una fonte viva, che sia bastevole a saziare anche gli armenti, e ad inaffiar quanto v’è di piante e di prati? E quanto al dilettevole ancora di’, che fai tu quando pellegrino ti senti per grave arsura bruciar le fauci? Non corri subito ad accostarle alla fonte? Alla cisterna vai sol di necessità. Perché diletto non è bere alla secchia acque mendicate; diletto è bere alla fonte. E come dunque è possibile, che nessuno di questi capi medesimi sia bastante a far, che tu voglia amare più Dio, che gli uomini? La fonte è Dio, gli uomini, come udisti, son la cisterna; e nondimeno ti curi assai più degli uomini, che di Dio: «Dereliquerunt fontem aquae vivae; et foderunt sibi cisternas — Hanno abbandonato me fonte d’acqua viva; e si hanno scavate delle cisterne ». Ah, che bene il Signore ha ragion di dire, « foderunt sibi — si hanno scavate ». Non dice, che il suo popolo abbia trovate le cisterne già fatte; dice che il misero se l’ha fatte da sè, quasi a modo suo; perchè così sempre accade. Ciascuno col suo affetto si va quasi formando la sua cisterna qual più gli piace. Perchè non riguarda quella creatura qual’è, nuda per se medesima d’ogni bene: ma quale se la figura nel suo intelletto (come appunto fan gl’idolatri adorando gl’idoli), e così egli, se non l’adora, almen l’ama assai più del giusto. Fa dunque tu per contrario, come io ti dico. Tieni sempre viva nell’animo questa massima, che gli uomini mai non hanno alcun ben da sè, ma che quanto hanno, han da Dio; e non sarà mai possibile, che non ami anche sempre più Dio, che gli uomini?
III.
Considera come sarebbe più comportabile; se essendo gli uomini quasi tante cisterne, fossero se non altro cisterne sode, cisterne salde, sicchè ritenessero almeno quel poco di acqua, che in loro si ama. Ma il peggio è, che son tutti cisterne fesse, che versano d’ogni lato, e così ancora rimangono presto secche. E questo è quello, che il Signore vuol esprimere di vantaggio, quando avendo egli detto di quei che corrono dietro ad amici umani, « foderunt sibi cisternas — si hanno scavate delle cisterne », soggiunse tosto con enfasi gagliardissima, « cisternas dissipatas quae continere non valent aquas — delle cisterne fesse, che non possono contener acqua ». Perchè se almeno quelle persone, che sono a te sì dilette, fossero eterne sulla terra, pur pure saresti in qualche modo degno di scusa a prezzarle tanto. Ma non ti accorgi, che tutte fra quattro giorni avranno a morire? Ah sì, che tutte son cariche di fessure, ch’è quanto dire, di malattie, di miserie, per cui esse perdono di mano in mano ogni pregio; e però « continere non valent aquas — non possono contenere acqua ». Per quanto si aiutino a mantenersi in vita assai lungamente, non possono conseguirlo. L’acqua, ch’in esse entrò, già si versa tutta. Manca la beltà, manca la saviezza, manca la sagacità, manca l’avvenenza, mancano tutte a un tempo le loro prerogative: ed in lor che resta? Non altro, che fracidume : « Simul in pulvere dormient — Dormiranno insieme nella polvere » (Giobbe 21, 26), con le persone più vili, che sieno al Mondo, « et vermes operient eos — e saranno ricoperte da vermi ». Se tu vuoi dunque staccare il cuore da tutte le creature, per darlo a Dio, com’è di dovere, figurati di vederle già nel sepolcro, già spolpate, già scarne, già fatte in polvere. Oh allora sì, che le vedrai dissipate! cisternas dissipatas, che già non sono più abili a tener acqua, quando anche ne possedessero un fiume intero, quae contenere non valent aquas. E se tali tu le vedrai, come mai per esse potrai lasciare quel Dio, che non muore mai?