OTTOBRE
VI. GIORNO
San Brunone.
La vista di Dio sul punto della morte ci ricorda di vegliare sopra di noi.
« Super custodiam meam stabo, et figam gradum super munitionem: et contemplabor ut videam quid dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me.— Starò sulla mia custodia, e pianterò il piede sulla fortificazione: e contemplerò per vedere quello che a me dirassi, e quello ch’io abbia a rispondere a chi mi riprende » (Abacuc 2, 1).
I.
Considera, che chi ponsi attentamente ad osservar ciò, che intese il gran Patriarca Brunone, quando fondò il suo sì degno istituto là sopra i gioghi più inaccessi, e più inabitabili di Grenoble, giudicherà, ch’ egli il traesse dalle parole profetiche, che hai qui pronte da meditare. La prima cosa ch’egli pretese fu questa, star molto bene su la custodia di sè: Super custodiam meam stabo. Ma perchè a questo non si può mai pervenire, se d’ogni intorno l’uomo non istà pur ricinto, come un soldato, da numerosi ripari: però soggiugne, « et figam gradum super munitionem— e pianterò il piede sulla fortificazione ». E dipoi così ben difeso, sì interiormente, sì esteriormente, che intese il Santo di fare? Intese di star sulla sua munizione, come una sentinella attentissima a contemplare ciò che alla morte gli fosse Cristo venuto ad addimandare intorno all’opere da sè fatte in tutta la vita sua, intorno alle parole, intorno a’ pensieri; e ciò, ch’egli a Cristo avesse dovuto rendere di risposta: Et contemplabor ut videam quid dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me. Mercecchè, essendosi spaventato il buon Santo per lo spettacolo di quel dottor Parigino, che sorto dal cataletto, gridò tre volte, ch’egli era stato presentato dinanzi al giudice, e disaminato, e dannato; pigliò da ciò la occasione di ritirarsi, co’ suoi divoti compagni, tra quelle grotte sì rimote allora da tutto l’uman commercio, e di pensar di proposito a’ casi suoi. Se tu nell’ istessa forma applicherai queste parole del Profeta a pro tuo, oh quanto ti potranno un dì essere di salute ! Nè dir che queste parole furono dal Profeta qui dette, secondo la lettera, in occasione di favellare della prima venuta di Cristo al mondo, come si ha dalle susseguenti : « Apparebit in finem, et non mentietur: si morani fecerit, expecta eum, quia veniens, veniet, et non tardabit — Apparirà alla fine, e non mentirà: se differirà, tu aspettalo, perocchè il venturo verrà, e non tarderà »; conciossiachè ben tu sai, che la prima venuta di Cristo al mondo con la seconda si vengono facilmente a scambiar insieme.
II.
Considera, che per la prima cosa ti hai da guardare, sì nell’ interno, sì nell’ esterno : « Super custodiam meam stabo. — Starò sulla mia custodia ». Ecco la custodia interiore, « et figam gradum super munitionem — e pianterò il piede sulla fortificazione ». Ecco la custodia esteriore. Quanto all’ interiore hai da dire : Io starò sopra di me : Super custodiam meam stabo, nè mai permetterò, che verun inoltrisi a violare il cuor mio : « Omni custodia serva cor tuum, quia ex ipso vita procedit — Con ogni vigilanza custodisci il tuo cuore, perchè da questo viene la vita » (Proverbio 4, 23); cioè « vita et mors — la vita e la morte ». E’ il tuo cuore come un castello da cui dipende la vita spirituale dell’anima tua, e da cui dipende la morte. Ad impadronirsi di esso son tre nemici, che anelano del continuo con lega orribile. D’intorno è il mondo, di sotto è la carne, di sopra il demonio. Il mondo l’assedia con la vanità, la carne l’assalta con la voluttà, e il demonio l’abbatte con la iniquità. E però guarda, se ci vuole ogni custodia e di sopra, e di sotto, e da tutti i lati. Dal mondo ti hai da schermire con l’affetto alla povertà; dalla carne ti hai da salvare con l’amore alla purità; e dal demonio ti hai da assicurare col ricorso prima al Signore nell’orazione, e poi a chi tiene in terra il suo luogo nell’ubbidienza. « Omni custodia serva cor tuum. — Con ogni vigilanza custodisci il tuo cuore ». Vero è, che una tal custodia non può esser nemmeno la stessa in tutti, ma in ciascuno secondo lo stato suo. Però non dice solo il Profeta : « Super custodiam mei stabo — Starò sulla custodia di me »; ma « super custodiam meam —sulla mia custodia ». Diversamente si ha da guardare una vergine, e una maritata, un chierico, e un laico, un claustrale, e un libero, un artiere, e un contemplativo. E però tu secondo l’obbligo del tuo stato hai da dire: super custodiam meam stabo; cioè, su quella custodia di me più rigida, e più ristretta, che a me si dee. E qual è questa? Pensavi, ed il saprai..
III.
Considera, che nessun castello, per forte ch’ egli si sia, o per guardato, è giammai sicuro, se non gli s’aggiungono le munizioni esteriori. E però il Profeta soggiugne: « et figam gradum super munitionem — e pianterò il piede sulla fortificazione ». Qual è questa munizione di cui si parla? E’ il palancato, se può dirsi così, è lo steccato, è il serraglio, il qual non permette che a te si accosti con libertà chiunque vuole: altrimenti il castello può soggiacer d’improvviso a qualche sorpresa di cui non ti possa avvedere in tempo. E però a ben riguardarti fa di mestieri, che tu in casa tua non ammetta conversazioni, che sian superflue, o sospette. Benchè poco vale, che tu non lasci accostare a te simiglianti conversazioni, se tu esci fuori da’ tuoi ripari a cercarle. E però qui dice il Profeta ben avveduto : « et figam gradum super munitionem — e pianterò il piede sulla fortificazione ». Ma perchè « super — sulla »? Non bastava dir « intra —entro »? No : perchè hai da star ne’ tuoi recinti medesimi, come chi sulla cima di una bastìa fa la sentinella, per veder se alcuno avvicinisi ancor da lungi: « Super speculam Domini ego sum, stans jugiter per diem: « et super custodiam meam ego sum, stans totis noctibus. — Io sto alla vedetta da parte del Signore, io vi sto continuamente di giorno; e io sto vegliando al mio posto le intere notti » (Isaia 21, 8). Oh quanto importino tutti questi riguardi a chi vuol salvarsi! Non vedi tu come s’usano in ogni luogo a custodir una piazza dall’armi ostili? E pur quelle armi, con portar ferro e fuoco, che porterebbono? Una morte sol temporale. E a te par duro di usarli per custodir la tua anima da quelle armi, che portano morte eterna? « Super custodiam meam stabo, et figaro gradum super munitionem. — Starò sulla mia custodia, e pianterò il piede sulla fortificazione ».
IV.
Considera, che in questa guardia tu non vivrai punto ozioso. Perchè oltre al tener in tal forma da te lontani tutti gli insulti nemici, che non è poco, avrai comodità di pensar applicatamente a quello, che solo importa sopra la terra, ch’è il passo estremo. E non sai tu, che quanto prima dovrà venir il Signore, per chiederti stretto conto di te medesimo? Che fai tu dunque, che non ti metti a pensar omai di proposito a ciò ch’egli ti dovrà dire, e a determinar ciò, che tu gli dovrai rispondere? Questo è l’affare. che senza paragone dee premerti più di ogni altro. E però troppo sei insensato, sei inetto, se sol talora vi pensi, ma alla sfuggita. Non far così. Senti come parlava anche un uomo Santo: « Et contemplabor ut videam quid dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me. — E contemplerò per vedere quello che a me dirassi, e quello ch’io abbia a rispondere a chi mi riprende ». Non diceva solo, « cogitabo — penserò », ma « contemplabor — contemplerò », perchè ci vuol un pensiero attento, accurato, e così fisso in suo genere, quanto sia quel d’una eccelsa contemplazione. Oh se tu ti fermassi non a pensare solamente al giudizio, ma a contemplarlo, quanto saresti in breve tempo diverso da quel che sei!
V.
Considera, che se qui parlasi di Giudizio, avrebbe giustamente il Profeta potuto dire: « contemplabor ut videam quid dicatur mihi, et quid respondeam ad judicantem me — contemplerò per vedere quello che a me dirassi, e quello ch’io abbia a rispondere a chi mi giudica ». Contuttociò ha voluto egli piuttosto dir « arguentem — a chi mi riprende », e ciò con somma accortezza. Perchè così con una sola parola è venuto egli più vivacemente ad esprimere tutto ciò, che il Giudizio ha di spaventoso. Questa parola arguere ha quattro significati nelle Scritture. Alle volte significa manifestare: « Vinum corda superborum arguent, in ebrietate potatum. — Il vino bevuto fino all’ebbrezza riprenderà i cuori de’ superbi »; cioè « revelabit — manifesterà » (Ecclesiastico o Siracide 31, 31). E così il Signore nel Giudizio « arguet — riprenderà » il peccatore, perchè lo discoprirà doppiamente. Prima nel Giudizio particolare a lui solo: « Arguam te, et statuam contro faciem tuam — Ti riprenderò, e porrò te di contro alla tua faccia »; cioè « statuam te contro te — porrò te contro te ». E poi nel Giudizio universale al cospetto dell’Universo. Alle volte arguere significa convincere disputando : « Quare detraxistis sermonibus veritatis, cum e vobis nullus sit, qui possit arguere me? — Per qual motivo intaccate voi le parole di verità, mentre non v’ha tra voi chi possa riprendermi? » cioè « de falsitate convincere — convincermi di falsità »? E così il Signore nel Giudizio « arguet —riprenderà » il peccatore, con fargli toccar con mano, che s’egli dannasi, non si può d’altri dolere, che di se stesso: Nunquid timens (come chi argomentando non sa portar altre prove, che prove deboli) « Nunquid timens arguet te, et veniet tecum in judicium? — Forse per timore ch’egli abbia di te ti riprenderà, e verrà teco in giudizio? » (Giobbe 22, 4). Lo convincerà con argomenti generali tratti dagli aiuti pubblici, che gli ha conferiti a salvarsi, e lo convincerà con argomenti particolari tratti dagli aiuti privati. Alle volte arguere significa confondere rimproverando : « Peccantem coram omnibus argue, cioè reprehende, ut et caeteri timorem habeant. — Riprendi alla presenza di tutti quegli che pecca, affinchè ne prendano timore anche tutti gli altri » (Prima lettera a Timoteo 5). E così il Signore nel Giudizio « arguet — riprenderà » il peccatore, rimproverandolo di tante malvagità ch’ha commesse contro ogni legge: « Ecce venit Dominus facere judicium contra omnes, et arguere omnes impios, de omnibus operibus impietatis eorum, quibus impie egerunt, et de omnibus duris, quae locuti sunt contro Deum. — Ecco che viene il Signore a far giudizio contro di tutti, e rimproverare a tutti gli empi tutte le opere della loro empietà da essi empiamente commesse, e tutte le dure cose, che han dette contro di lui ». Alle volte significa condannare dopo il giudizio : « Et hos quidem arguite judicatos, cioè damnate — E condannate gli uni dopo d’averli convinti », « illos vero salvate de igne rapientes — salvate poi gli altri traendogli dal fuoco ». E così il Signore nel Giudizio « arguet — riprenderà » finalmente ogni peccatore dannandolo al fuoco eterno : « Domine, ne in furore tuo arguas me —Signore, non mi riprendete nel vostro furore »; cioè « ne punias me in Inferno, neque in ira tua corripias me — non mi gastigate col fuoco dell’Inferno, e non mi correggete nell’ ira vostra » (Salmo 7, 1); cioè « ne punias me in Purgatorio — non mi gastigate colle pene del Purgatorio », ch’è l’interpretazione assai universale. Or vedi tu se in questa parola hai materia da contemplare per tutta la vita tua. Primieramente hai a pensare a tutto quello, che il Signore ti dirà, quando « arguet te — ti riprenderà » in ciascuna di queste quattro maniere pur ora addotte, cioè mettendoti innanzi agli occhi le tue iniquità, convincendoti, confondendoti, e condannandoti. E poi hai da pensare a quello, che in ciascuna di esse dovrai rispondergli. E posto ciò non avrai ragione ancora tu di conchiudere col Profeta, come conchiuse a suo gran pro San Brunone : « Super custodiam meam stabo, et figam gradum super munitionem, et contemplabor, ut videam quid dicatur mihi, et quid respondeam ad arguentem me. — Starò sulla mia custodia, e pianterò il piede sulla fortificazione : e contemplerò per vedere quello che a me dirassi, e quello ch’io abbia a rispondere a chi mi riprende »?