LUGLIO
VI. GIORNO
Amorosa sollecitudine del Signore nel chiamarci a Lui.
« Ecce sto ad ostium, et pulso. Si quis audierit oocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum, et caenabo cum illo, et ipse mecum.— Ecco, che io sto alla porta, e picchio. Se alcuno udrà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò da lui, e cenerò con lui, ed egli meco » (Apocalisse di Giovanni 3, 20).
I.
Considera chi sia questo gran Personaggio, che dice: « Ecce sto. — Ecco, che io sto ». E’ il Re della gloria. E pur, che fa mai? Sta all’uscio d’un peccatore. Dico di un peccatore, perchè se fosse venuto a trovare un giusto, non istarebbe all’uscio, starebbe in casa. Ma non è questa un’altissima maraviglia? Dove si ritrova, che un Principe vada non chiamato alla casa di un uomo sì vile, sì abbietto, sì abbominevole, qual è il peccatore infelice dinanzi a Dio? E pure è certo, che Dio qui sta non chiamato : perchè se fosse chiamato avrebbe almeno trovata la porta, aperta, senza aver altrimenti occasion di dire: « Ecce sto ad ostium, et pulso. — Ecco ch’io sto alla porta, e picchio ». Dipoi, quando un Principe voglia pur trasferirsi ad una tal casa, manda innanzi le sue ambasciate, manda fanti, manda famigli, che mettano il tutto all’ordine, come devesi ad un suo pari, e al fin viene egli in persona. Ma Dio non già. Egli è, che qui si sta soletto a picchiare: « Ego sto — Io sto » : non altri, ma « Ego — Io » ; e sta di certo senz’aver prima premessa ambasciata alcuna. Se l’avesse premessa, qual dubbio c’è, che non gli converrebbe picchiare con incertezza di non dovere nè anche ottener l’ingresso? E pur così dice : « Sto, et pulso — Io sto, e picchio », come chi ancora pende ad attendere la risposta. Finalmente, quando anche un Principe si contenti di venir egli a picchiare da se medesimo, non vorrà fermarsi a picchiare sì lungamente. Ov’egli non vedrà di subito aprirsi, volterà irato le spalle, e se ne andrà via. Ma Dio non così. Dice di stare ivi picchiando già da gran tempo: « Ecce sto ad ostium, et pulso. — Ecco, ch’io sto alla porta, e picchio »: non direbbe « Ecce — Ecco », s’ei fosse arrivato allora. E poi dice : Sto. Se sedesse, se passeggiasse, se si divertisse in altra opera a fallire ivi il tedio della dimora, sarebbe più percettibile, ma dice Sto: di stare ivi in piedi, fermo, forte, ancora con suo disagio, anzi con suo obbrobrio grandissimo presso quei, che così lo rimirano a una tal soglia. Questi son gli eccessi ineffabili, ch’usa Dio, per aver adito dentro il cuor di un uomo, anche a lui ribelle. Tu a questi eccessi trasecola di stupore; e ripensa, che fia di te, se questo gran Signore, per entrare dentro il cuor tuo, ha mai dovuto aspettare con la sua grazia eccitante in sì brutta guisa : Ecce sto ad ostium, et pulso.
II.
Considera, che affine di entrare in alcuna casa, che sia serrata, alle volte si chiama, e non si picchia, alle volte si picchia, e non si chiama, e alle volte si chiama insieme, e si picchia; ma sempre suole il picchio precedere alla chiamata, perchè ecciti l’attenzione ad udir chi chiama. Così fa Dio : suol premettere prima il picchio : Ego sto ad ostium, et pulso. E dipoi fa succedere la sua voce, che però soggiugne : Si quis audierit vocem meam etc. La chiamata sua senza dubbio è l’ispirazione. Ma qual è il picchio? È il rimorso, che ei desta nella coscienza. Sai che il picchio è di suo genere più molesto della chiamata; e tal è questo rimorso, il quale è appunto simile a un batticuore, che fortemente rammemora al peccatore l’infelicità dello stato pericoloso in cui si ritrova, ed è indirizzato a far che il peccatore si ecciti ad ascoltare la voce del suo Signore, che viene appresso, e che cortesemente l’invita ad aprirgli il seno, a compungersi, a confessarsi, a comunicarsi, a stabilire davvero di mutar vita. Che se tu chiedi per qual cagione Iddio proceda così, mentre potrebbe senza tante fatiche entrarsene da se stesso a pigliar possesso d’un cuore, benchè ritroso; non può rispondersi, se non che fa così, perchè così vuole. Non ama di ripigliar possessi violenti: « Cum magna reverentia disponit nos. — Con gran moderazione ci governa » (Sapienza 12, 18). Tu sei padrone del tuo libero arbitrio : te ‘1 serba illeso, affinchè così l’accoglienza, la qual da te poi riceve, gli sia onorevole. Senza che, pon vedi che quando ti viene a casa, ti viene a fare un altissimo benefizio? E come dunque vuoi tu che te ‘1 faccia a forza? « Beneficium non confertur in invitum. — Non si fa beneficio a chi ‘1 rifiuta ». Il Bargello, che ti viene a recar castigo, se tu non gli apri ti getta a terra le porte, e le conquassa, e le spezza, come fa il fulmine. Il Benefattor che ti viene a recar tesori, vuole che tu da te gli apra amorevolmente, come apri al Sole. Comunque siasi : il Signore fa tanto, che basta abbondevolissimamente a ottener, che gli sia aperto. Se non l’ottiene è indubitato che da lui mai non resta. Non accade, che tu ti dolga di lui con dire, ch’Egli è lontano da te: « Longe est Dominus ab impiis. — Il Signore va lungi dagli empi » (Proverbio 15, 29). S’ è lontano, è lontano, perchè tu vuoi. Se tu gli aprissi, sarebbe vicinissimo. Non senti come ti fa sapere, che ti sta fin su la soglia? Sto ad ostium, non « prope ostium — presso la porta », ma « ad ostium —alla porta » ; tanto è vicino. È vero ch’egli è lontan da te con la grazia giustificante: ma altrettanto è vicino col desiderio, che egli ha di dartela con gl’impulsi, con gli inviti, con le chiamate, che son la grazia, in virtù di cui ti risveglia.
III.
Considera, che affinché s’intenda questa total libertà, ch’egli vuol lasciare, dice con termini espressi: « Si quis audierit vocem meam, et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum. — Se alcuno udrà la mia voce, e mi aprirà la porta, entrerò da lui ». Non basta udire, bisogna aprire. Ma perché dir nondimeno: « Si quis audierit — Se alcuno udrà »? La potenza dell’udito non è come quella della mano. La mano è libera ad aprire, o non aprire, com’ella vuole : ma l’udito non è libero a udire, o non udire. È potenza, come s’intitola, necessaria. Si, ma che prova? Sai, che si dice ancora, che mai nessuno ode meno, che chi fa il sordo : « Quis surdus, nisi ad quem nuncios ineos misi? — Chi è sordo se non quello a cui ho mandati i miei nunzi? » (Isaia 42, 19). Hai però qui ad osservare, che quando uno fa alcun rumore all’uscio di casa nostra, noi non possiam far di meno di non udire il suo primo suono. Ma poi se vogliamo, possiamo, per udir meglio chi è, attendere, o non attendere, accostarci, o non accostarci, stare in silenzio, oppure eccitare un rumore maggior di quello, che abbiamo udito. E tutto ciò pur avviene nel caso nostro. Non puoi tu, quando Dio ti chiama per ragione di esempio a lasciare il Mondo, dove tu vivi quasi in continuo peccato, non puoi dico non udir la sua prima voce; ma sta a te a porre anche più di attenzione nell’intelletto per udir meglio ciò, che il Signore da te brama: « Audiam quid loquatur in me Dominus Deus. — Ascolterò quello che meco parlerà il Signore Dio » (Salmo 85, 9). Sta a te accostarti maggiormente all’ uscio del cuore con l’applicazion dell’affetto, con la ritiratezza, col raccoglimento, e col distaccamento non solo interno, ma esterno, da quei di casa, che ti divertono : « Appropinqua, ut audias. — Accostati per ascoltare » (Qoèlet 4, 17). Sta a te fermarti in silenzio, cessando per qualche poco dalle altre cure, che del continuo ti tengono sì occupato : « Praestolari cum silenzio salutare Dei. — Aspettare in silenzio la salute di Dio » (Lamentazioni 3, 26). Ma se non fai nulla di ciò, se non attendi, se non ti accosti; anzi se a bello studio tu ecciti de’ rumori per non udire, e appena udita la prima voce di Dio, corri tosto a trovar gli amici, che gridano assai più forte, per cianciare, per cicalare, per ridere, per cacciarti quelle fantasie di capo, che reputi malinconiche; di chi è la colpa se più non odi, di chi? « Noluerunt attendere — Non vollero dar retta » (Zaccaria 7, 11). Ecco il primo male ora detto, « et averterunt scapulam recedentem — e ribelli voltarono le spalle », ecco il secondo, « et aures suas aggravaverunt ne audirent — e ingrossaron l’udito per non intendere », ecco il terzo. Nota però come il Signore non dice : « Si quis audierit pulsum meum — Se alcuno udrà il mio picchio », ma « vocem meam — la mia voce », perchè non sentire il picchio non è sì facile, come non sentire la voce. Non è sì facile non sentire il rimorso della coscienza, benchè alla fine giungano alcuni a fare il sordo anche a questo. Ma è più facile non sentir tanto la voce, ch’è suono di natura sua molto più gentile. E però l’ispirazione Divina può venire più di leggieri, che non si osservi: « Ad me dictum est verbum absconditum, et quasi furtive suscepit auris mea venas susurri ejus. — Una segreta parola mi fu detta, e quasi di fuga il mio orecchio ne intese il debil suono » (Giobbe 4, 12). Tu poni mente a tutto ciò che il Signore da te ricerca : « Loquere Domine, quia audit servus tuus. — Parlate o Signore, perocchè il vostro servo sta ascoltando » (Primo libro dei Re 3, 10). Perchè il volere udire è la prima disposizione a volere aprire: è un consentimento incoato. Non far che egli abbia omai più da stancarsi indarno, perciocchè chi vuol entrare, non picchia sempre, non chiama sempre, ma lo fa con varii intervalli, or picchia più, or picchia meno : or chiama più, or chiama meno, non si dà regola. E se pure il Signore non mai si partirà totalmente dall’uscio del tuo cuore, benchè si vegga trattato villanamente, tanta è la sua cortesia; contuttociò userà picchi più radi, e voce più bassa. E con ciò piacemi lasciar qui il peccatore in istato ancora di tale, benchè da Dio prevenuto con la sua grazia a divenir penitente, e ancora proficiente, e ancor perfetto, come nella spiegazione del resto, che non può ben discutersi tutto insieme, si farà noto.