La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

V. GIORNO

Come sia necessario il domandare a dio il suo santo timore.

 

« Confige timore tuo carnes meas, a judiciis enim tuis timui. — Configgete col vostro timore le mie carni, perchè io sono stato atterrito da’ vostri giudizi » (Salmo 119, 120).

 

I.

Considera, come forse ti dà stupore, che chi già teme, anzi concede di aver ancora temuto assai lungamente, dimandi a Dio di temere: Confige timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui. Contuttociò cesserai di maravigliarti, se osserverai, che a Dio non solamente dobbiamo chiedere quello, che non abbiamo, ma quello ancora che abbiamo : tanto ad ogni momento ci ritroviamo in rischio grave di perderlo, s’Egli non ce ne conferma il possesso. Dipoi, che chiese qui Davidde? Chiese, che quel timor, che avea nello spirito, gli ridondasse ancora nella carne. E così nemmen chiese quello che aveva, ma quello che non aveva. Percioccliè è vero, ch’egli tenea molto bene soggetta a Dio la parte superiore di se medesimo, ma non così l’inferiore, o per dir anche meglio, l’animalesca. Questa bene spesso moveagli cruda guerra. E però egli volea, che quel timore Divino, che aveva nel cuore, non si fermasse nel cuore, ma trapassasse con un impeto sommo dal cuore al corpo, sicchè agghiacciandolo tutto, il rendesse inabile a quei medesimi moti di ricalcitramento, e di ribellione, che sono a lui tanto proprii. Ciò dunque fu quel che egli intese di chiedere, quando disse: « Confige timore tuo carnes meas. — Configgete col vostro timore le mie carni » ; la soggezion della propria concupiscenza. Così insegna Santo Agostino. Ed oh te beato, se a tanto potessi giugnere! Almen vi devi aspirare. E però sempre devi pregar Dio, che configga con questo santo timore i tuoi sentimenti : configga la lingua, configga gli occhi, configga gli orecchi, configga tutto te stesso di tal maniera, che neppur il senso insolente ti dia travaglio, almeno considerabile. Il conficcamento materiale trapassa dal corpo al cuore, lo spirituale trapassa dal cuore al corpo. Che però gli uomini santi giungono in progresso di tempo ad avere la carne ancor crocifissa Carnem suam crucifixerunt (Lettera ai Galati 5, 24) tanto già 1′ hanno o morta, o mortificata. Ma quando vi giungono? Quando hanno crocifisso prima lo spirito con renderlo a Dio ubbidiente. Tu ti quereli, che la tua carne sempre più insolentisca. Ma come no? Se ancora non temi Dio, neppur con lo spirito, ma sei di coscienza larga, ardito, arrogante, e nulla dato allo studio del tuo profitto, come vuoi giugnere a temerlo ancor con la carne, ch’è l’ultima a depor l’armi? Nessun a Dio può mai dire con buona fronte: « Confige timore tuo carnes meas — Configgete col vostro timore le mie carni », se ad ottenere un tal dono non gli può addurre con verità la ragion, che gli addusse Davidde « a judiciis enim tuis timui — perchè io sono stato atterrito da’ vostri giudizi ». Non sono grazie queste, che si concedano ai principianti nella via del Signore.

II.

Considera, che per giudizi Divini s’intendono tuttodì nelle sagre Carte i Divini Comandamenti : « Si in judiciis meis non ambulaverint. — Se non cammineranno secondo i miei comandamenti » (Salmo 89, 31). « A judiciis tuis non declinavi. — Non ho declinato dalle vostre leggi » (Salmo 119, 102). « Sprevisti omnes discedentes a judiciis tuis. — Voi avete disprezzati tutti coloro, che declinano dai vostri precetti » (Salmo 119, 118). E posto ciò, per qual cagion dimandò Davidde a Dio con sì calde istanze, che gli rintuzzasse gli stimoli della carne mal riverente? Confige timore tuo carnes meas? Perchè altrimenti temea di prevaricare; a judiciis enim tuis timui, cioè « timui discedere — ho temuto di prevaricare ». Vero è, che s’ei sottintese la parola « discedere — prevaricare », non la espresse, perchè l’orrore non gli lasciò forse libera la favella. Che dici però tu, che per contrario ti prometti con tanta facilità una perseveranza sì faticosa? Non si fidava di conseguirla un Re Davidde per quella guerra intestina, che in sè provava, e tu sì presto ti credi di averla in pugno? Oh che spavento ti avrebbe a dar del continuo una concupiscenza sì sregolata, qual è di leggieri la tua! Finchè ella vive, tu stai sempre in pericolo di lasciarti al fin vincere dal peccato. E se ciò fosse, che ti varrebbe l’aver finora pugnato contro di esso con grande animosità, o l’averlo ancor superato? La sola perseveranza ha da coronarti : Davidde mise a terra il gigante con una pietra, che gli scagliò dalla frombola in su la fronte. Contuttociò nè una tal frombola egli sospese alle pareti del Tempio, nè una tal pietra. Vi sospese solo la spada, quantunque fosse del gigante medesimo; perchè con la spada compìto avea l’ultim’atto della vittoria, troncando il capo al nemico.

III.

Considera, che per giudizi Divini s’intendono parimente nelle Scritture quei consigli di Dio tanto imperscrutabili, con i quali Egli regola l’Universo : « Judicia tua abgssus multa. — Abisso grande i tuoi giudizi » (Salmo 36, 7). Alcuni di questi appartengono alla misericordia, altri appartengono alla giustizia. Alla misericordia appartengono quei consigli non percettibili, in virtù de’ quali Dio va dietro ad un peccatore, quando più talvolta si vede fuggir da esso, anzi maltrattare : « Saule, Saule, quid me persequeris? — Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti? » (Atti degli Apostoli 9, 4). Alla giustizia quei, per cui lo abbandona al primo peccato. e lo lascia andar sempre di male in peggio : « Usquequo tu luges Saul, cum ego projecerim eum, ne regnet super Israel? — Fino a quando piangerai tu Saulle, mentre io l’ho rigettato, perchè non regni sopra Israele? » (Primo libro dei Re 16, 1). In questo luogo sicuramente non ragiona il Salmista di quei giudizi divini, che appartengono alla misericordia, perciocchè questi si ammirano, non si temono. Ragiona di quei, che appartengono alla giustizia, e però dice a Dio di temerli tanto : A judiciis enim tuis timui. Benchè, se tu ben osservi, non dice Davidde di temere i giudizi Divini assolutamente, dice piuttosto temere di sè a cagione de’ giudizi Divini; e però non dice « judicia enim tua timui — perchè ho temuto i vostri giudizi », come alcuni leggevano anticamente: dice « a judiciis enim tuis timui — perchè son io stato atterrito da’ vostri giudizi », come di ragione va letto. Temea, che il senso non gli movesse qualche assalto improvviso, a cui non sapendo egli resistere virilmente, fosse da Dio per i suoi consigli occultissimi lasciato andare in rovina. E certamente il pericolo, nel quale vivi anche tu di precipitare in qualunque eccesso più enorme, non ti sovrasta da’ Divini giudizi; perocchè questi non vogliono il mal di alcuno, ma solamente il permettono; ti sovrasta da te, che sei tanto inclinato alla iniquità. Vero è, che a cagion di tali giudizi hai maggiormente a temere di te medesimo; massimamente se il senso ti signoreggia : perchè loro proprio è permettere ancor ne’ Santi cadute vergognosissime in ogni genere, ma spezialmente in genere di libidine. Poni mente a quelle di un Vittorino Romito, di un Guarino, di un Giacomo, di un Macario, e ti colmerai di spavento. Se non che questi ebbero al fin tutti grazia di ravvedersi. Ma quanti per contrario non l’ebbero? Che fai tu dunque, che atterrito non dici ogni giorno a Dio : « Confige timore tuo carnes meas, a judiciis enim tuis timui. — Configgete col vostro timore le mie carni, perchè io sono stato atterrito da’ vostri giudizi ».

IV.

Considera, che per giudizi Divini s’intendono finalmente nelle Scritture que’ giudizi sì esatti, che Dio formerà di ciascun di noi sull’uscir di questa vita : Cognoscetur Dominus judicia faciens. — Sarà conosciuto il Signore che fa giustizia » (Salmo 10, 17). In questi non si può credere quanto Dio sarà rigoroso, non lasciando indiscusso verun pensiero, veruna parola, o verun’opera, ancorchè menomissima, per veder s’è stata conforme alle buone leggi. E secondo un tal sentimento chiede a Dio Davidde, che gli renda una volta soggetti i moti della concupiscenza sì pronta al male : Confige timore tuo carnes meas: perchè dovendosi giudicar poi tutto con tanta severità, teme di trascorrere in qualche compiacimento disordinato, che sprezzato da sè quasi surrettizio, debba poi venir riputato al Tribunale Divino pur troppo espresso : « A judiciis enim tuis timui. — Perchè io sono stato atterrito da’ vostri giudizi » : di che? d’ogni pensiero, d’ogni parola, d’ogni opera, benchè tenue : « Verebar omnia opera mea, sciens quod non parceres delinquenti. — Io temeva di tutte le mie azioni, sapendo, che non la perdonereste al delinquente » (Giobbe 9, 28). Or dove sono coloro, i quali son di coscienza così animosa, che ad ogni suggestione anche più gagliarda si fidano di aver data subitamente la loro ripulsa, e ripulsa intiera? A questi più d’ogni altro è giovevole il meditare la severità di questi Divini giudizi, di cui parliamo, per deporre una tal coscienza, giacche troppo ella è dannosa. Il veleno non può mai dar morte al corpo, finchè egli non giugne al cuore, questo è certissimo : e così nemmeno può dare la suggestione mai morte all’anima, finchè non giugne al consenso, il quale ella ottien dalla volontà. Ma che? Siccome il veleno arriva più presto al cuore in quegli animali, che son di vene spaziose, che non in quegli, che son di vene strette; così la suggestione più presto arriva al consenso anch’ella in quegli uomini, i quali son di coscienza chiamata larga. La vera sicurezza non vien dalla presunzione, vien dal timore. E a fornirsi di questo nel caso nostro nessuna cosa val più, che il ripensare a quei Divini giudizi rigorosissimi, che ci sovrastano alla morte. Chi terrà questi sempre dinanzi agli occhi, non sol verrà a scansare il male, con somma facilità in tempo di tentazione, ma verrà a fare anche il bene: « Custodivi vias Domini. — Seguitai attentamente le vie del Signore », ch’è fare il bene : « nec impie gessi a Deo meo — e non operai empiamente contro il mio Dio », ch’è scansare il male; « quoniam (ch’è la ragione), quoniam omnia judicia ejus in conspectu meo — perchè ebbi davanti agli occhi tutti i suoi giudizi » (Salmo 18, 22).

V.

Considera, che quantunque tante volte qui abbi sentito dirti, che devi con ardor sommo chiedere a Dio questa soggezion della carne sì necessaria : « Confige timore tuo carnes meas — Configgete col vostro timore le mie carni »; non hai con tutto questo a dedur da ciò, che tu non abbi a cooperar quanto puoi dalla parte tua per giugnere ad ottenerla, quasi che da Dio venga tutta. Vien da Dio tutta sì, ma non totalmente; dee venire ancora da te. Non sei tu solito di dire a Dio giornalmente, che ti provegga di pane quotidiano? Panem nostrum quotidianum da nobis hodie? Eppur non lasci mai dal tuo canto di seminare, di segare, e di usare tutti quei mezzi, chepiù conducono a un tale provvedimento? Così dunque pur giornalmente hai da dire a Dio, che ti configga le tue carni ribelli: Confige timore tuo carnes meas, e hai da fare quanto puoi per configgerle da te stesso. Tal fu l’esempio, che die’ appunto il Re Davidde, il quale non rimetteva talmente in Dio questo sagro configgimento, che non pigliasse ancor egli in mano i martelli, e non tormentasse il suo corpo, or con vigilie dette da lui anticipate: « Anticipaverunt vigilias oculi mei — Gli occhi miei prevennero le vigilie » (Salmo 77, 5), or con cilizii, or con ceneri, or con digiuni, ed or con altre austerità sì prolisse, che fin gli avevano trasfigurato il sembiante: « Caro mea immutata est propter oleum. — E’ stenuata la mia carne priva di umore » (Salmo 109, 24).

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