GIUGNO
V. GIORNO
Dell’uomo veramente paziente, e in che consista la pazienza.
« Melior est patiens viro forti: et qui dominatur animo suo expugnatore urbium. — L’uomo paziente è da più del forte: e colui, che domina i proprii affetti è da più dell’espugnatore di città » (Proverbio 16, 32).
I.
Considera, che ampiamente parlando, il paziente è insieme forte, e il forte è insieme paziente. Ma a favellare con termini più ristretti per paziente s’intende quel che sostiene virtuosamente alcun male. considerabile, per forte quel che l’incontra. Ora a prima vista tu crederai, che incontrare il male sia maggior atto, che non è sostenerlo. Ma non è vero: « Melior est patiens viro forti. — L’uomo paziente è da più del forte ». E la ragione è: I. Perchè qualor tu sostieni il male, esso è quello che viene ad assaltare te, e però tu lo riguardi come a te superiore, quando l’incontri, tu sei quello che vai ad assaltar esso, e però lo riguardi come inferiore. Ora è assai più difficile, che tu combatta con uno, il quale tu reputi superiore di fcirze, che con uno il quale tu credi inferiore, e però è ancor più difficile il sostener il male, che l’incontrarlo. II. Perchè quando lo sostieni, il male è presente: quando l’incontri, è futuro. E’ dunque ancor più difficile il sostenerlo, che l’incontrarlo perchè se il male è presente, già tu lo provi; s’egli è futuro, non lo provi, lo apprendi. III. Perchè il sostenere importa di sua natura un atto diuturno per modo di abito: l’incontrare non dice più, che un sol atto, e talvolta ancor subitaneo. E per questo medesimo è più difficile sostenere il male, che l’incontrarlo, perchè ci vuol più a stare immobile lungamente alle cose, che hanno dell’arduo, che non ci vuole a muoversi verso d’esse: ond’è, che in guerra molti sono i soldati volonterosi di venire a battaglia con l’inimico, ma pochi i saldi: « Filii Ephrem, intendentes, et mittentes arcum, conversi sunt in die belli. — I figliuoli di Efrem, periti nel tendere, e scoccar l’arco, nel giorno della battaglia voltarono le spalle » (Salmo 78, 9). Sicchè tu vedi, quanto fondatamente abbia detto il Savio, che: « Melior est patiens viro forti — L’uomo paziente è da più del forte »; perchè la virtù soda più mostrasi alla pazienza, che alla fortezza, cioè al sostenere i disastri, che all’ incontrarli. Ma a te questa dottrina non piace molto. E per qual cagione? Perchè tu ami il patire, ma a tuo capriccio : « In die jejunii vestri invenitur voluntas vestra. — Nel dì del vostro digiuno si soddisfa la volontà vostra » (Isaia 58, 3). Digiunerai tal volta anche a pane, e ad acqua : ti affliggerai con cilizi, ti affliggerai con catene, farai delle discipline, ancor sanguigne: ma se poi Dio ti manda una piccola traversia, tu subito ti risenti. Se fai così, tu sei forte per avventura, ma non paziente; e conseguentemente hai meno assai di virtù, che non ti divisi, perchè sai più incontrare il male, che sostenerlo. Ora intendi bene che la pazienza si è quella, che ti ha da donare il Cielo, non la fortezza: « In patientia vestra possidebitis animas vestras. — Colla vostra pazienza guadagnerete le anime vostre » (Vangelo di Luca 21, 19). Così disse Cristo, non disse « in fortitudine vestra — colla vostra fortezza ». Ad incontrare i mali rare volte avverrà, che tu sii obbligato : ma sempre sei obbligatissimo a sostenerli con piena rassegnazione al voler Divino. E però a quest’ atto conviene, che tu ti avvezzi più ancor che a quello, con abbracciar volentieri quelle occasioni di patir, che ti accadono alla giornata, più che con andarne alla caccia. Riguarda i Santi. Infinite volte gloriaronsi di avere sofferti i mali da Dio mandati sopra di loro; ma forse niuna di essere andati a incontrarli, che però diceva l’Apostolo : « Placeo mihi in infirmitatibus meis, in contumeliis, in necessitatibus, in persecutionibus, in angustiis pro Christo. —Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nell’angustie per Cristo » (Seconda lettera ai Corinzi 12, 10). E perchè dicea « Placeo mihi —Mi compiaccio »? Perchè erano tutti mali venuti altronde. Se gli avesse eletti da sè, sarebbe stato facilmente dubbioso di compiacersene. E pure tu di questi sei solito compiacerti, più che di quegli. Oh quanto t’inganni! « Melior est patiens viro forti. — L’uom paziente è da più del forte ».
II.
Considera, che nella seconda parte del suo versetto viene appunto a spiegar il Savio ciò, ch’egli intende per Paziente, e ciò ch’egli intende per Forte: perchè al Paziente fa corrispondere quello, che « dominatur animo suo — domina i propri affetti », al Forte quello, che « expugnat urbes — espugna le città », e però chiaro apparisce, che per Paziente intende quello, che non cede agli assalti, per Forte quel, che gli reca. Nel resto se tu vuoi conseguire questa Pazienza, ecco quello, che ti conviene : che domini te medesimo. Se ottieni questo dominio, beato te ! non avrai più da portare invidia in tal caso neppure agli espugnatori delle città, perchè : « Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo, expugnatore urbium. — L’ uom paziente è da più del forte; e colui, che domina i propri affetti è da più dell’espugnatore di città ». Chi sono gli espugnatori delle città? Quei che con tanto gran valore le mettono a ferro, e a fuoco : chi può negarlo? Ma di questi è facile sentenziare che sia migliore, chi domina i proprii affetti. Qual dubbio c’è, che il giovanetto Davidde fu più stimabile, quando, potendo uccidere il Re Saulle nella spelonca, se ne contenne, che quando uccise Golia: anzi quando ancora espugnò trionfante la Siria, con tante piazze, e Ammonite, e Amalecite, e Moabite? Voglio che tu per espugnatori di città intenda più sottilmente quei fervorosi Predicatori, che con tanta gloria le soggiogano a Cristo, quei che le commuovono a pianto, quei che le convertono a penitenza, quei che le fanno andare con le funi al collo, in segno di debellate, a gridar pietà. Ora di questi espugnatori medesimi di città (se non sono arrivati a domare ancor essi le loro passioni, la vanità, l’interesse, l’ira, l’invidia, la maldicenza), ha da stimarsi similmente assai più quel semplice Fraticello, benchè idiota, il qual è giunto a domarle: « Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo expugnatore urbium. — L’uom paziente è da più del forte; e colui, che domina i propri affetti è da più dell’espugnatore di città ». Nè ciò ti dia maraviglia perchè assai più si ricerca a vincere un vizio proprio, che molti altrui. Quando tu assalti gli altrui, che gran cosa fai? Adoperi senza pietà tutto te medesimo contro quello, ch’è fuor di te: e però non è da stupire se ti riesca di riportarne frequentemente vittoria. Ma quando resisti ai tuoi, non puoi mai valerti di tutto te interamente. Mezzo combatti, e mezzo sei combattuto. Ti compatisci, ti lusinghi, ti lisci, ti porti amore: e nell’atto stesso di ripugnare a’ tuoi vizi, che ti assaliscono, gli difendi con mille scuse. Chi può però dubitare, che se contuttociò gli debelli, sei più glorioso? perchè nel primo caso tu vinci un altro, con impiegar tutto te: nel secondo tu vinci te, con mezzo te stesso. Vero è, che molte volte tu credi di aver debellati i tuoi vizi più di coloro, i quali s’impiegano in trionfar degli altrui, e ciò sarà falso. Se lo crederai, sarà perchè non hai sì frequenti le opportunità di cadere in vari difetti, come han coloro, che conversando del continuo con gli uomini, non possono far di meno di non apparire tal volta ancor essi umani. Nel rimanente ricordati, che chi ha detto, che « Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo expugnatore urbium — L’uomo paziente è da più del forte; e colui, che domina i propri affetti è da più, che l’espugnatore di città »; ha detto ancora, che « Melior est iniquitas viri, quam inulier benefaciens. — E’ preferibile un uomo, che nuoce, ad una donna, che fa del bene » (Ecclesiastico o Siracide 42, 14). Io so, che queste parole nel loro candido senso vogliono dire, che per te è meglio un uomo, il qual ti faccia male, che non una donna, la quale ti faccia bene; perchè un uomo col farti male ti allontana da sè, la donna col farti bene ti alletta; e per te è meglio star lontano dall’uomo, che star vicino alla donna. Ma so ancora, che più Santi le portano al caso nostro, con intender per uomo, chi va al campo, per donna, chi resta a casa. Se colui, che per Cristo è andato all’assalto, torna la sera polveroso dal campo, ed alquanto sozzo, vuoi tu per questo posporlo a chi se n’è stato tutto dì, netto di polvere, in casa sua? Se lo posponi, ti mostri a lui troppo crudo. Tanto più, che quegli alla fine scuote la polvere, e resta ricco di palme onorevolissime. Quest’altro non ha polvere, è vero, ma ne anche ha palme. Ma per ritornar all’intento; ciascuno ha necessità di acquistar quell’alto dominio di se medesimo, che finalmente è di mestieri sì al Paziente, sì al Forte: perchè posto questo, allora sarà facile, come al Paziente di essere ancora Forte, così al Forte di essere ancor Paziente: laddove senza di questo, assolutamente parlando, non può negarsi, che « Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo expugnatore urbium. — L’uom paziente è da più del forte; e colui che domina i propri affetti è da più che l’espugnatore di città ».
III.
Considera, che sembra una strana cosa, che mentre l’animo è tuo, contuttociò si abbia da stimar tanto, che tu lo domini; Dominatur animo suo. Dovrebbe di ragione ciò esserci facilissimo, e pur tu provi ogni dì, se è difficoltoso. Ma ciò vuol dire aver l’appetito ribelle. Questo è quell’animo tuo, che hai da dominare : Subter te erit appetitus tuus et tu dominaberis illius (Genesi 4, 7). E però se vuoi dominarlo, questo hai da fare, trattarlo da quel ch’egli è, cioè da ribelle. E’ possibile adunque, che tu contuttociò gli permetta di stare in pace? Mira a che non giunge ogni Principe per necessitare all’ubbidienza i suoi sudditi ribellanti! non perdona a ferro, non perdona a fuoco; impegna, a far loro guerra, tutto l’erario. E tu procedi con tanta diversità? Ma perchè l’appetito è ribelle in modo, che non può mai sottomettersi interamente, conviene, che lo debiliti con le frequenti vittorie, che di lui rechi. Questa è la via sola di giugnere a dominarlo : « Vince te ipsum. — Vinci te stesso ». Quando questa trascurisi, ogni altra è vana.