GIUGNO
IV. GIORNO
Quanto aggradisca Iddio la confession delle labbra senza lo scrutinio dell’intelletto.
« Confiteor tibi, Pater, Doinine Caeli, et terrae, quia abscondisti haec a sapientibus, et prodentibus, et revelasti ea parvulis. — Te confesso, o Padre, Signore del Cielo, e della terra, perchè queste cose hai nascoste ai saggi, e ai prudenti, e le hai scoperte ai pargoli » (Vangelo di Luca 10, 21).
I.
Considera, come il Signore ha voluto, che quanti sagrifizi a lui si offerivano colle vittime, tanti gli si potessero offerire ancor colle labbra. Perchè quelli si potevano rendere poche volte, e questi si possono rendere ogni momento : « Tollite vobiscum verba, et convertimini ad Dominum, et dicite ei: reddemus vitulos labiorum nostrorum. — Prendete con voi parole, e volgetevi al Signore, e ditegli : a te noi offriamo le ostie delle nostre labbra » (Osea 14, 3). Ora i sagrifizi eran di quattro sorta, siccome quattro erano i fini, per cui poteano offerirsi; di protestazione, di espiazione, di lode, e di gratitudine. E ad offerire tutti questi medesimi colle labbra, è sottentrata questa parola sola « Confiteor — Confesso »; sicchè non sia neppur di necessità « tollere nobiscum verba — prendere con noi parole », ma « verbum — una parola ». Ha pertanto questa parola « Confiteor —Confesso » nelle divine Scritture quattro significati, di cui possiamo trarre ancora gli esempi da un solo Davidde, che tante volte l’usò. In senso di protestare a Dio la sua fede: « Deus meus es tu, et confitebor tibi. — Mio Dio sei tu, a te stesso io lo protesterò » (Salmo 118, 28). In senso di accusare a Dio le proprie malvagità: « Confitebor adversum me injustitiam meam Domino. — Accuserò contro me stesso al Signore la mia iniquità » (Salmo 32, 5). In senso di lodar Dio : « Confitebor tibi, quia terribiliter magnificatus es. — Darò lode a te, perchè sommamente grande ti sei dimostrato » (Salmo 139, 14). E in senso di ringraziarlo : « Confitebor tibi, quoniam exaudisti me, et factus es mihi in salutem. — Io ti ringrazierò, perchè mi hai esaudito, e sei divenuto mia salute » (Salmo 118, 28). Cristo nostro Signore non fu viator su la Terra, fu comprensore, perchè non credeva, ma vedeva; e però non potè mai dire: « Confiteor — Confesso », protestando la fede. Non fu peccatore, fu distruggitor del peccato; e però non potè mai dire, « Confiteor — Confesso », accusandosi delle colpe. Resta pertanto, che quand’egli usò questa voce, l’usasse solamente negli altri due significati, rendendo come uomo a Dio sagrifizio e di lode, e di gratitudine. E in questi due significati appunto ha da credersi, che l’usasse, quando in questo luogo rivolto al suo caro Padre gli disse: «Confiteor tibi, Pater etc. — Te confesso, o Padre ecc. ». Quanto a te poi, non v’è di certo veruno di questi sensi, in cui non ti convenga. Ama però di avere perpetuamente su le tue labbra una parola di merito così eccelso, perché quanto di significati si trova in essa, tanto puoi con essa offerire di sagrifizi: « Reddes vitulos labiorum tuorum. — Renderai le ostie delle tue labbra ».
II.
Considera qual sia la materia di questa confessione, che Cristo fece, parlando al Padre. Fu che avesse ascoste ai superbi le verità ammirabili della Fede, e scoperte agli umili : Quod abscondisti haec a sopientibus, et prudenlibus, et revelasti ea parvulis. Già tu sai bene, che queste verità, parte appartengono alla dottrina speculativa, parte alla pratica. Alla speculativa appartengono tanti misteri ineffabili, che Dio ci ha rivelati : « Deum enim nemo vidit umquam. Unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, ipse enarravit. — Nessuno ha mai veduto Dio. L’Unigenito Figliuolo, ch’è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato » (Vangelo di Giovanni 1, 18). Alla pratica appartengono tanti insegnamenti, che Cristo ha lasciati al Mondo, quanto più nuovi, tanto più salutevoli. Ora i sapienti altieri spezzarono fastosamente le verità, che spettavano all’intelletto, perchè erano superiori alla loro capacità. I prudenti arroganti derisero ‘arditamente gl’insegnamenti, che spettavano alla volontà, perchè erano tutti opposti ai loro dettami. Laddove gli umili prontamente abbracciarono gli uni, e gli altri. E di ciò Cristo dà a Dio doppio sagrifizio : sagrifizio di lode per quelle tenebre, in cui tanti superbi restavano ancora involti : sagrifizio non pur di lode, ma ancor di ringraziamento per quella luce, ch’era folgorata sì chiara agli occhi degli umili. Or vedi quanto nella scuola di Cristo giova l’umiltà, e pregiudica la superbia. In questa scuola più imparano i figliuoletti : non perchè uomini di capacità sublimissima, di acutezza, di avvedutezza, di erudizione non siano in essa riusciti scolari eccelsi (non si ritrovando al mondo altra scuola, che possa vantar tanti uomini pari ad un Agostino, a un Alberto, a un Tommaso, ed altri simili) ; ma perchè questi di grandi s’impicciolirono, e così divennero massimi. E questi sono quei pargoletti cari a Cristo : « Sinite parvulos venire ad me. — Lasciate che i pargoli vengano a me » (Vangelo di Marco 10, 14) : non son quei pargoletti, che sono privi di senno : ma son quei, che sono poveri di malizia : « Nolite pueri effici sensibus, sed malitia parvuli estote: sensibus autem perfetti. — Non vogliate divenir fanciulli nell’intelligenza, ma siate pargoletti nella malizia, e perfetti nell’intendimento » (Prima lettera ai Corinzi 14, 20). Questa è la vera sapienza, e la vera prudenza, arrivare alla Cristiana umiltà. Così una buona vecchierella Cattolica si vedrà in Cielo aver saputo assai più di Aristotele nelle speculative, di Tacito nelle pratiche; mentre avrà saputo conoscere il suo ultimo fine, avrà saputo ottenerlo. Frattanto vedi, che qui non si pretende in uno scolare vero di Cristo quella semplicità, la qual si oppone al saper di verun genere; ma quella sola, la qual si oppone alla vana stima di sè, che presuppone la più folle ignoranza, e la più dannosa. Chi è privo di questa, nella scuola di Cristo si chiama pargoletto: « Et revelasti ea parvulis — E le hai scoperte ai pargoli ».
III.
Considera, come si dica con verità, che il Padre nascondesse ai superbi quelle dottrine e le rivelasse agli umili. Se prima intenderai come le rivelasse agli umili, intenderai, come le ascondesse ai superbi. Agli umili le rivelò con dar loro lume soprannaturale a conoscerle, e così a’ superbi le ascose con negare ad essi un tal lume. Questo è tutto l’ascondere, che fa Dio. Non ti mette il velo su gli occhi, perchè ciò non è necessario, ti lascia nel puro tuo naturale, e lasciandoti in esso, ti lascia cieco. Vero è, che diede ancora a questi superbi tanto di lume soprannaturale, quanto sarebbe stato bastevole, se deposto il fumo, in cui stavano tutti involti, avessero voluto usare più applicazione, più attenzione, più studio a veder le cose; altrimenti non si direbbono inescusabili, come già chiamolli l’Apostolo: Ita ut sint inexcusabiles (Lettera ai Romani 1, 20). Ma non die’ loro tanto di lume, quanto ne diede agli umili. Ciò, che a questi diede di più, fu di grazia: ciò che a quelli diede di meno, fu di giustizia. E però Cristo con ogni vera ragione lodò il Padre, che avesse nascoste le sue verità a’ superbi, perciocchè la giustizia merita lode; né solo lo lodò, ma ancora ringraziollo, che le avesse scoperte agli umili; perciocchè la misericordia non solo merita lode, ma ancora ringraziamenti : « Confiteor, Pater. etc. —Te confesso, o Padre, ecc. ». Ora tu frattanto rimira, con quanto poco Iddio può punirti: con lasciarti in quello stato, in cui ti ritrovi nel tuo puro libero arbitrio. Quando noi sentiamo dire, che Iddio indura il cuore di uno. come indurò quello di Faraone: Induravit Dominus cor Pharaonis; che gli ottura gli orecchi, che gli offusca gli occhi, ci spaventiamo tosto a questi vocaboli, perchè ci crediamo per la nostra superbia di aver tenerezza di cuore, di aver udito, di aver vista, e che però Dio c’impedisca con un atto positivo l’uso di ciò, che si trova in nostro dominio. Non è così. Noi per noi non siam atti a fare niente che vaglia, non ad intenerirci, non ad udire, non a vedere, e però Dio per punirci non ha di necessità di far altro, se non che di lasciarci nel nostro misero stato. E però tutti questi vocaboli d’indorare, di assordire, di accecare, rispetto a Dio, non han senso positivo, qual è quello, in cui gli pigliamo, tra noi parlando; ma l’hanno sol negativo, ch’è quanto dire, significano sol negazione di benefizio. Rispetto agli altri uomini abbiamo tenerezza, abbiamo udito, abbiam vista, e però tra noi quei vocaboli hanno senso ancor positivo : rispetto a Dio non abbiamo niente : « Omnes gentes quasi non sint, sic sunt eorum eo. — Le genti tutte, come non fossero, così sono dinanzi a lui » (Isaia 40, 17); e però tra lui, e noi non hanno un tal senso, nè giammai possono averlo, almeno in rigore; perchè chi indura positivamente, presuppone tenerezza nell’indurato, chi assorda, presuppone udito, chi accieca, presuppone vista, ed in noi miseri niente di bene può giammai presupporsi, rispetto a quello, da cui ci è dato ogni bene : « Substantia mea tamquam nihilum ante te. — Il mio essere è come un nulla dinanzi a te » (Salmo 39, 6). Oh in che umiltà ci terremmo, se noi davvero intendessimo il nostro nulla!
IV.
Considera, che in questa confessione, che Cristo fa al Padre, non solo lo chiama Padre, ma ancor Signore, e Signore di tutto : « Confiteor tibi, Pater, Domine et terrae. — Te confesso, o Padre, Signore del cielo, e della terra », perchè e Padre s’era mostrato nella misericordia usata coi pargoli, e Signore nella giustizia usata ai superbi. Come Dio, lo chiamò Padre, come uomo, lo chiamò Signore : e di questi due titoli hai tu ancora da valerti continuamente, per eccitare in te nell’istesso tempo e confidenza, e tremore rispetto a Dio; benchè qualor tu lo supplichi, più hai da chiamarlo Padre, che Signore : perchè allor ti fa più bisogno di confidenza. E però vedi, che Cristo, il quale in questo luogo lo nominò ancor Signore; quando lo pregò nel Cenacolo, lo nominò solo Padre, quando lo pregò nell’orto, lo nominò solo Padre, quando lo pregò sulla Croce, lo nominò solo Padre, quando c’insegnò, come avevamo a pregarlo nel Pater noster, ce lo ricordò pur solamente sotto nome di Padre; perchè intendiamo, che bisogna andare ad orare con quella fiducia, con la qual vanno i figliuoli ad un caro Padre. Si aggiunge, che questo nome di Padre è molto più onorevole al nostro Dio, che non è quello di Signore, e così gli è molto più accetto. Ad esser Signore ha cominciato sol dopo la creazione del Mondo, ma Padre è stato per tutta l’eternità. E però potea ben essere quel che egli è, cioè pienamente beato, senza essere mai Signore; ma non già senza essere Padre, cioè senza avere una comprension si perfetta di se medesimo, sì espressiva, sì esatta, che formasse una Immagine pari a sè. Quindi è, che noi facciamo un atto di fede ancora più meritorio, quando lo chiamiamo Padre, che quando lo chiamiamo Signore. L’ esser lui Signore è cosa sì nota, che ancor nel vecchio Testamento fu già rivelato a tutti : ma non così a tutti fu rivelato lui essere ancora Padre, com’è rivelato a noi. E però possiamo sperare, che quando diamo a lui questo nome con quel sentimento di fede, che si conviene, gli facciamo ancora un ossequio oltre modo atto a conciliarci la sua santissima grazia. Ma se per eccitare la confidenza ti hai da ricordar, ch’egli è Padre; per eccitare il timore ti hai più da ricordare, ch’egli è Signore, e Signore di tutto : Dominus Cagli et terra?; e che però da per tutto fa ciò che vuole : Omnia quacumque voluit Dominus fecit in Celo, et in terra. Come Signore del Cielo, Dominus non vedi tu ciò, ch’egli fece tra gli Angeli? Ne discacciò i superbi, e n’elesse gli umili, Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles. E come Signor della Terra, Dominus terre; non vedi ciò che fece ancora tra gli uomini? Rivelò agli umili ciò, che nascose ai superbi, e così elesse gli uni, e riprovò gli altri. E tu ancora non giungi a rispettarlo almeno come Signore, quando nol sappi amar come Padre.