La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

DICEMBRE

 

IV. GIORNO

Delle due pene che debbon patire nell’inferno i dannati : pena di senso e pena di danno.

« Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum, et luctum.— Quanto si innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli di tormento, e di lutto » (Apocalisse di Giovanni 18, 7).

 

I.

Considera come due sono quasi le fonti d’ogni peccato nell’uomo infetto : l’irascibile, e la concupiscibile. La concupiscibile fa che l’uomo, disprezzando il dettame della ragione, tenda a volere disordinatamente cercare i proprii diletti .. l’irascibile fa che tenda a volere disordinatamente cercar la propria eccellenza. All’irascibile si riducono singolarmente i peccati spirituali, alla concupiscibile i peccati carnali. La concupiscibile fa che l’uomo sregolatamente si lasci trasportare ad amar le cose create. L’irascibile fa che, per amar le cose create, volti l’uomo quasi ribelle le spalle a Dio, che glielo divieta. Quindi è, che a queste due fonti d’ogni peccato, hanno nell’Inferno a corrispondere le fonti ancor d’ ogni pena, e così a dividersi in due, di danno, e di senso. La pena di danno corrisponde specialmente agli eccessi dell’ irascibile, ne’ quali si fondò l’avversion da Dio. La pena di senso agli eccessi della concupiscibile, ne’ quali si fondò la conversione alle creature. E così la pena di senso fa che si scontino i diletti disordinati, che l’uomo già si pigliò, massimamente per compiacere il suo corpo; la pena di danno fa che si sconti l’alterezza di spirito. E però• tu ora intenderai facilmente il significato di queste voci dette a’ demonii dalla giustizia divina a terrore d’ ogni anima peccatrice : « Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum, et luctum — Quanto s’innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli di tormento, e di lutto ». In quelle parole « glorificavit se — si innalzò », intendi i peccati più proprii dell’irascibile, che son gli spirituali. In quelle « et in deliciis fuit — e visse nelle delizie », intendi i più proprii della concupiscibile, che sono i carnali. In quelle parole « date illi tormentum — dategli tormento », intendi la pena di senso, corrispondente più singolarmente ai peccati della concupiscibile. In quelle « date illi luctum — dategli lutto », intendi la pena di danno, corrispondente più singolarmente ai peccati dell’ irascibile. E tu a queste pene, le quali tanto infallibilmente si apprestano ancora a te, se mai ti lasci signoreggiar da passioni così scorrette, non ti senti già nelle vene gelare il sangue? Ah superbo, ah delicato, rimira dove hanno a terminare il tuo fasto, le tue delizie !

II.

Considera, che come la pena deve esser proporzionata alla colpa nella sua qualità, così deve esser proporzionata altresì nella quantità. E però dicesi qui : « Quantum glorificavit se, et in deliciis fui!, tantum date illi tormentum, et luctum —Quanto s’ innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli di tormento e di lutto ». Ora nel peccato mortale due sono i mali, come hai veduto : l’avversion dal Creatore, la conversione alla creatura. L’ avversione dal Creatore è avversion da un bene infinito. E per questo capo il peccato mortale contiene in sè un genere di malizia quasi infinita. La conversion alle creature, non solo è conversione a un bene finito, ma è conversione fatta ad esse con atti ancora finiti. Però all’avversione da Dio corrisponde con più di specialità la pena del danno, la quale è pena in certo modo infinita, mentr’ell’è privazione d’un bene infinito : alla conversione verso le creature corrisponde con più di specialità la pena del senso, la quale è pena finita, perchè è pena in chi maggiore, in chi minore, secondo la quantità di tal conversione, la qual fu in ciascuno finita ; ond’è che chi più disordinatamente amò le medesime creature, è punito più : chi meno, è punito meno : « Pro mensura peccati erit et plagarum modus. — La quantità delle battiture sarà secondo la misura del peccato » (Deuteronomio 25, 2). Quando però tu qui senti queste parole « quantum — quanto », e « tantum — tanto », che hai da pensare? Forse che quel tormento, il quale i dannati riporteran nella pena, non debba esser maggiore di quel diletto, il quale da loro si sperimentò nella colpa? No di certo: perchè anzi sarà egli maggiore eccessivamente. Per un diletto lievissimo proveranno un tormento maggiore assai di quanti n’abbiano tollerati mai tutti i martiri uniti insieme. Hai da pensare, che qui il « tantum — tanto », e « quantum — quanto », non significa eguaglianza, significa proporzione: sicchè chi peccò più, più ancora patisca, non solamente nella pena di senso, ma nella pena di danno; non perchè questa non privi tutti egualmente di un egual bene, qual è la vision beatifica, ma perchè chi più facilmente potè conseguir tal bene, e non lo curò, maledirà con tanto più di agitazione, e di angoscia la sua pazzia. E però dice: « Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi — Quanto s’innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli », non solamente « tormentum — tormentò », ma ancora « luctum — lutto ». Tu, che dalla colpa sì poco apprendi però quanto sia gran male il peccato; sappi almeno conoscerlo dalla pena.

III.

Considera, che come la pena dev’essere proporzionata alla colpa nella quantità dell’acerbità; così ti può sembrare che dovrebbe essere ancora nella quantità della durazione, e che però non sai capir come osservisi questa legge : « Quantum glorificavit se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum, et luctum — Quanto s’innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli di tormento, e di lutto », mentre il peccato durò talora un momento, e pur la pena dovrà durar ne’ dannati un’eternità. Ma quanto a ciò, qual è quel tribunale ancora tra gli uomini, il quale non punisca un delitto con pena tale, che duri più di quel che durasse il delitto? Un omicidio si commette in un attimo, eppure tuttodì i principi lo puniscono con discacciare l’omicida in perpetuo, non solamente dalla loro repubblica, ma dal mondo. E la ragion è, perchè le pene, ch’ han fine, tutte finalmente appariscono disprezzabUi a un cuore audace; quelle che davvero si temono son l’eterne. E però affine, che il timor dell’Inferno fosse più atto a raffrenare o la passione, o la protervia degli uomini dal peccare, convenne, che le pene di esso, non solo fossero acerbe, ma ancor perpetue; « ibunt hi in supplicium aeternum. — Andranno questi all’eterno supplizio » (Vangelo di Matteo 25, 46). Che se le suddette pene, come perpetue, sono eccedenti la diuturnità del peccato, non però sono eccedenti la gravità. Non v’è peccato, per minimo ch’egli sia, pur che sia mortale, che non contenga una gravità di malizia quasi infinita per essere contro Dio. Però non si potendo questo punire con pena che sia infinita nell’ intensione, giusto è che puniscasi con pena almeno infinita nell’ estensione : tanto più, che restando il peccato non ritrattato, giusto è che questo, tanto ne’ dannati puniscasi, quanto dura, alinen moralmente; e quanto segue, in virtù dell’atto preterito, a renderli veramente mali, immondi, iniqui, odievoli a Dio, e tuttor meritevoli di supplizio, quanto erano quando peccavano attualmente. Però si dice : « Quantum glorificavi! se, et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum, et luctum — Quanto s’ innalzò, e visse nelle delizie, tanto dategli di tormento, e di lutto » ; perchè quantunque l’ atto di glorificarsi ne’ reprobi sia passato, e sia passato anche l’atto di deliziare, contuttociò il merito di patire per atti tali, cioè per atti puniti sì, ma non mai puniti abbastanza, non è in essi passato, è presente sempre. Nè ripigliare, che i dannati si pentono del mal fatto, con dir tra sè: « Ergo erravimus a via veritatis, etc. — Dunque noi smarrimmo la via di verità, ecc. » (Sapienza 5, 6), perchè non se ne pentono per dispiacer della colpa, ch’essi commisero; anzi alla colpa, come colpa, ritengono un amor sommo : se ne pentono solo per dispiacer della pena, che gli contrista : « Anima illius super semetipso lugebit. — L’anima di lui lo compiangerà » (Giobbe 14, 22). Tu, se non vuoi ridurti a dovere un dì fare tal penitenza, quanto più inutile, tanto più interminabile, non indugiare a farla ornai qual conviensi; giacchè se per lo passato attendesti a dar diletti al tuo corpo, gloria al tuo spirito, sai che ci vuole al presente : tormento, e lutto.

Archivio delle meditazioni