DICEMBRE
XXXI. GIORNO
Si contempla la Gloria della Santissima Trinità.
« Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia: ipsi gloria in saecula. Amen.— Imperciocchè da esso, e per esso, e in esso sono tutte le cose: a lui sia gloria in tutti i secoli. Così sia » (Lettera ai Romani 11, 36).
I.
Considera come le tre Persone Divine hanno un’istessa Potenza, un’istessa Sapienza, un’istessa Bontà: altrimenti ne seguirebbe, che tra loro non fossero un solo Dio, contro ciò che insegna la Fede : « Tres sunt qui testimonium dant in Coelo: Poter, Verbum, et Spiritus Sanctus: et hi tres ununi sunt. — Tre sono che rendono testimonianza in Cielo: il Padre, il Verbo, e lo Spirito Santo; e questi tre sono una sola cosa » (Prima lettera di Giovanni 5, 7). La Potenza Divina è la cagion efficiente, da cui le creature ricevon l’essere; e però si attribuisce al Padre, come a principio, da cui derivano tutte. La Sapienza è la cagion esemplare, per cui ricevon la forma; e però si attribuisce al Figliuolo, il quale procede dal Padre in ragion d’Immagine, ma d’Immagine sustanziale, rappresentante tutto il bello, che Dio può partecipare alle cose da lui creabili. La Bontà è la cagion finale, da cui ricevono l’ordine; e però si attribuisce allo Spirito Santo, come a quello il quale procede dal Padre, e dal Figliuolo in ragion di amore, cioè in ragion di movente a dare alle cose quell’essere, di cui sono capaci secondo la loro forma, ed a conservarlo. Inteso ciò, intenderai facilmente l’alto significato di queste poche parole : Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia: ipsi gloria in saecula, le quali in questo giorno estremo dell’anno hai da ponderare, per rendere d’ogni bene la gloria a Dio. E voglion dire : « Quoniam sunt omnia ex ipso — Imperciocchè tutte le cose sono da esso », come Potente : « per ipsum — per esso », come Sapiente : « in ipso — in esso », come Buono : « ipsi gloria in saecula — a lui sia gloria in tutti i secoli ». In quei termini « ex ipso, per ipsum, et in ipso — da esso, per esso, e in esso » intendi la Trinità delle Persone Divine. In quell’« ipsi — a lui » intendi l’unità della Essenza : la qual essendo la medesima in tutte, fa che non debbasi diversa gloria al Padre, diversa al Figliuolo, diversa allo Spirito Santo, per quello che da loro vien operato a pubblico beneficio; ma che si debba una gloria medesima, tutta a tutte, come ad un medesimo Dio; « Ipsi gloria — A lui sia gloria ». « Ipsi — A lui », cioè a quel Dio, il quale è Potente, e però « ex ipso omnia sunt — da esso sono tutte le cose », il quale è Sapiente, e però « per ipsum sunt — sono per esso », il quale è Buono, e però « in ipso sunt — sono in esso ». Tu trattienti qui in ponderare questa bella unione, che ha tutta la Trinità in operare singolarmente a pro tuo; e conoscendo di quanto le sei tenuto, animati ad impiegare tutto te parimente in servizio d’essa, sicchè quanto puoi, quanto fai, quanto vuoi, tutto sia per Dio, non dividendo il tuo cuore, ma risolvendoti di darlo a lui solo tutto : « In omni virtute tua dilige eum, qui te fecit. — Con tutte le tue forze ama colui che ti ha creato » (Ecclesiastico o Siracide 7, 32).
II.
Considera come non dice « de ipso omnia — di esso son tutte le cose », ma « ex ipso — da esso » ; perchè quantunque tutto ciò, che « est de ipso — è di esso », « sit ex ipso — sia anche da esso », non però tutto ciò, che « est ex ipso — è da esso », è ancora « de ipso — di esso ». Il Figliuolo è col Padre di una sostanza medesima; e però di quello si dice, che « non est — non è » solamente « ex ipso — da esso », ma ancor « de ipso, Deus de Deo — di esso, Dio di Dio ». Le creature non son tali: e però di queste non dicesi, che « sint de ipso — sieno di esso », ma solo « ex ipso — da esso ». « Omnia ex Deo. — Tutte le cose sono da Dio » (Prima lettera ai Corinzi 11, 12). Ora per quell’ornnia ha qui voluto l’Apostolo tutte intendere le cose ancora create. E quindi è, che disse egli « ex quo — da cui », non disse « de quo — di cui », mercecchè la particola ex non è ordinata ad esprimere una cagione consustanziale, com’è ordinata la particola de: « De vertice ramorum ejus tenerum distringam, et plantabo super montem excelsum, et eminentem. — Taglierò dalla vetta dei suoi rami un tenero ramoscello, e lo pianterò sul monte alto ed eminente » (Ezechiele 17, 22). Tu ama qui di osservare la differenza, la quale passa fra te, e il Figliuol di Dio. Egli non solo « ex ipso Deo est — è da esso Dio », ma « de ipso — di esso »; tu solo « ex ipso — da esso ». Vero è, che avendoti un tal Figliuolo medesimo sollevato a partecipare per grazia quella natura, ch’egli ha comune col Padre, ha fatto sì, che tu in qualche modo abbi l’essere, non solo da lui, ma di lui, sì sublimemente, che diventi anche tu figliuolo di Dio : « Dedit eis potestatem filios Dei fieri. — Diede ad essi la potestà di diventare figliuoli di Dio » (Vangelo di Giovanni 1, 12). Nè dire, che Cristo è Figliuol di Dio per natura, e tu sei solamente per adozione: perché primieramente non pare a te che sia un onor sommo, l’essere adottato da un Dio per figliuolo proprio? Si stima tanto l’essere adottato da un principe della terra. Or che fia dunque da un Dia? Dipoi considera, che l’adozion Divina è molto differente in sè dall’umana. L’umana fa che l’adottato partecipi l’eredità del padre, non fa che partecipi la natura : la Divina fa che partecipi ancora questa : « Ut efficiamini Divinae consortes naturae — Affinché diventaste partecipi della Divina natura ». Così San Pietro disse già a tutti i giusti (Seconda lettera di Pietro 1, 4). Se non che in Cristo una tal natura è forma sustanziale, la qual sussiste da sè nella persona di lui, come in un supposto, umano insieme e Divino. E però può dirsi, che Cristo è « Deus de Deo — Dio di Dio ». Ne’ giusti una tal natura è forma accidentale, la quale gli trova già sussistenti nel loro supposto compito di uomini puri. E però ben può dirsi in qualche maniera ch’essi sien Dii : « Ego dixi: Dii estis, et fluii excelsi omnes — Io ho detto : Voi siete dèi, e figliuoli tutti dell’Altissimo » (Salmo 82, 6), ma solo « ex Deo — da Dio ». « Ex Deo nati sunt. — Da Dio son nati » (Vangelo di Giovanni 1, 13). « Omnis qui natus est ex Deo, non peccat. — Chiunque è nato da Dio non pecca » (Vangelo di Giovanni 3, 8). « Omne quod natum est ex Deo, vincit mundum. — Tutto quello che è nato da Dio, vince il mondo » (Prima lettera di Giovanni 5, 4). « Omnis qui facit justitiam, ex ipso natus est. — Chiunque pratica la giustizia, è nato da lui » (Prima lettera di Giovanni 2, 29). Nel rimanente, siccome ciò che dà all’uomo il primo essere naturale, ed è il primo principio intrinseco di muoversi con moti naturali, è nell’ordine naturale la sua natura; così ciò che nell’ordine soprannaturale dà all’uomo il primo essere soprannaturale, ed è il primo principio intrinseco di muoversi con moti soprannaturali, si può affermare che sia parimenti la sua natura nell’ordine soprannaturale. E tal nell’uomo è la grazia santificante. E tu possedendo una dignità tanto eccelsa, sarà giammai possibile che la sprezzi per diventare, di figliuolo di Dio, schiavo del diavolo?
III.
Considera, che come « sunt omnia ex ipso — tutte le cose sono da esso », così « sunt omnia — tutte sono » parimente « per ipsum — per esso ». Ma perchè questa particella per ti potria cagionar equivocazione, osserva, che « Pater — il Padre » in divinis fa tutto veramente « per Filium — pel Figliuolo » « Omnia per ipsúm facta sunt. — Tutte le cose furon fatte per lui » (Vangelo di Giovanni 1, 3). Ma ciò che vuol dire? Vuol dire forse, che il Figliuolo dia virtù al Padre di far quello che fa, come la dà ai Principi della terra, di cui però favellando giustamente egli afferma, che per lui regnano? « Per me Reges regnant. — Per me regnano i Re » (Proverbio 8, 15). No, perchè il Padre ha tutta la virtù sua da se stesso. Vuol dir che il Padre opera, per dir così, mediante il Figliuolo, ma in modo altissimo : perchè nel comunicargli l’essenza, gli comunica anche la virtù di operare; non però virtù istrumentale, o diminuita, o diversa, qual è quella ch’egli comunica a’ suoi ministri, ma la medesima; senz’altro di varietà, se non che il Padre l’ha da sè, il Figliuolo dal Padre. Quindi è, che il Figliuolo ancor egli è principale operante in tutte le cose, siccome è il Padre, e non operante mai secondario; « quaecumque enim ille facit, haec et Filium similiter facit — perocchè tutto quello, che fa il Padre, questo lo fa parimente anche il Figliuolo » (Vangelo di Giovanni 5, 19), non solo « facit —fa », ma « similiter facit — parimente fa » a confusion di coloro, i quali lo volevano dichiarare inferior al Padre. Si dice contuttociò, che « Pater facit per Filium — Il Padre fa pel Figliuolo », e non si dice, che « Filius facit per Patrem — Il Figliuolo fa pel Padre », perchè non potendosi l’ordine nelle Persone Divine pigliare dalla virtù, che in tutte e tre è la medesima, si piglia dalle relazioni, ch’ hanno tra sè secondo l’origine; le quali sono diverse. E’ il Figliuolo rispetto al Padre la ragion retta di tutte quelle cose, che sono da lui fattibili, come ad Artefice sommo è la sua arte; ma arte essenziale, intima, innata, e consustanziale. Però, siccome non si dice, che « Ars operatur per Artificem — l’arte opera per mezzo dell’Artefice », ma che « Artifex operatur per artem— l’Artefice opera per mezzo dell’arte », così non si dice, che « Filius operatur per Patrem — il Figliuolo opera per mezzo del Padre », ma che « Pater operatur per Filium — il Padre opera per mezzo del Figliuolo ». Tu, dal vedere che Dio non può non operare con una Sapienza infinita, ch’è l’arte sua, tanto a lui propria, quanto la medesima essenza, impara non solamente ad amarlo nelle sue disposizioni, e ad ammirarlo ne’ suoi decreti, ma a riverirlo ancora nella profondità di quei suoi giudizi, i quali alla tua mente riescono impercettibili : « Quis dicere potest: Cur ita facis? —Chi può dirgli : Perchè fai così? » (Giobbe 9, 12).
IV.
Considera, che come « sunt omnia ex ipso, et per ipsum — tutte le cose sono da esso, e per esso », così sono anche « in ipso — in esso ». Questa particola in qui significa continenza, e così non solo alla terza persona ella può appropriarsi, ma ancora all’altre, mentre tutte le cose si contengono nel Padre, come in cagion efficiente, e nel Figliuolo, come in cagione esemplare; ma applicandosi allo Spirito Santo, conforme par che qui sia applicata, significa la cagion movente, ch’ è quella su cui si fondò la creazion di tutte le cose, e si fonda altresì la conservazione. E questa cagion movente altro senza dubbio non è che l’amor Divino : « In charitate perpetua dilexi te — Io ti ho amato con amore eterno » (Geremia 31, 3), non amando Dio le cose perchè sono, come le amiam noi, ma facendole essere, perchè le ama. La Bontà Divina è per tanto quella, che siccome fece aver l’essere da principio a tutte le cose create, così non permette che tornino al primo nulla; e però si dice che in lei sussistano tutte : « Abundaverunt deliciis in bonitate tua magna. — Nuotarono nelle delizie mercè della tua bontà grande » (Esdra 9, 25). Ma chi non sa, che la bontà, come attributo spettante alla volontà, si appropria allo Spirito Santo, eh’ è il primo Amore? E però di lui qui si dice singolarmente « in ipso sunt omnia — in esso sono tutte le cose ». Aggiugni, che lo Spirito Santo è come il congiungimento che unisce il Padre al Figliuolo, il Figliuolo al Padre, e però è come il sostegno di tutto ciò, che da loro si opera, conforme a quello : « Concordia res parvae crescunt, discordia etiam maximae dilabuntur — Le cose piccole aumentano colla concordia, vanno in rovina anche le massime colla discordia ». Quel ben però, che fa la concordia « in divinis — nelle cose divine », figurati che ella faccia ancora « in humanis — nelle cose umane ». E però quando nella comunanza in cui vivi, tu rompi la carità, sappi di portare ad essa, per quanto è in te, la rovina estrema; perchè la potenza, e ‘l sapere son necessari a mantenerla bensì, ma non son bastevoli; ci vuole in oltre l’Unione. E questa unione da chi può venire se non dall’amor reciproco tra gli uniti?
V.
Considera come però tu vedi parimente in divinis, che al Padre si appropria l’unità, Unitas; al Figliuolo l’egualità, Aequalitas; allo Spirito Santo la connessione, Nexus; al Padre si appropria l’unità, perchè l’unità non presuppone altro innanzi di sè; e posto ciò, rappresenta il primo principio, cioè una potenza somma, che da ninno riceve l’essere, e a tutti il dà: « Unus Deus, Pater, ex quo omnia. — Un solo Dio, il Padre, da cui tutte le cose » (Prima lettera ai Corinzi 8, 6). Al Figliuolo si appropria l’egualità: « Non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo — Non credette che fosse una rapina quel suo essere uguale a Dio » (Lettera ai Filippesi 2, 6), perchè l’egualità deve essere almen fra due. E benchè tutte e tre le Persone Divine sian senza dubbio tra loro eguali, e si dicano; contuttociò la prima persona non può costituir l’egualità, perchè l’egualità non può consistere nella sola unità. E la terza la trova costituita. E però si attribuisce singolarmente alla seconda, ch’è la prima a costituirla; cioè a quella, cui si attribuisce pur la Sapienza, perchè alla Sapienza appartiene agguagliar le cose. Allo Spirito Santo si appropria la connessione, la quale è quella che presuppone gli estremi già, e gli congiugne. E questa connessione tutta, come vedi, è fondata in amor reciproco, qual è quell’amore, che porta il Figliuolo al Padre, il Padre al Figliuolo. Amore, a cui si attribuisce pur la Bontà, perchè questo fa che il Padre, e il Figliuolo sien si concordi nel diffondere ancora fuori di sé tanti loro beni, sicchè il Padre niente operi ad extra senza il Figliuolo, e il Figliuolo niente operi senza il Padre, ma sia una l’operazion di ambidue, come una è ancor la virtù. Che sarà però quando in una comunanza si rompa l’amor reciproco? Non pùò più sperarsi nè dentro d’essa alcun bene, nè fuori d’essa.
VI.
Considera, che quando si dice « ex ipso, per ipsum, et in ipso sunt omnia — da esso, per esso, e in esso sono tutte le cose », tu per quell’omnia hai da intendere tutte quelle cose, che hanno qualunque sorta di essere, ma di esser vero: e però non hai da intendere in modo alcuno i peccati, perchè questi non hanno essere se non improprio, insussistente, abusivo, non essendo altro il loro essere, che mancanza di perfezione. Mira però come in qualunque peccato mancano ad un tratto tutte e tre quelle perfezioni Divine singolarmente, le quali danno a qualunque cosa il suo essere. Manca la Potenza, perchè il peccare non è atto di virtù, è atto di debolezza. La virtù consiste in sottomettere gli appetiti scorretti, sicchè mal grado loro ubbidiscano alla ragione. Manca la Sapienza, perchè il peccare non è atto di sapere, è atto d’ignoranza, se non vogliamo anzi dire di cecità. Manca la Bontà, mentre il peccare non sol non fa l’uomo buono, ma lo fa pessimo a sè, e agli altri. E però qual dubbio, che mentre si dice: « Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia, ipsi gloria in saecula — Imperciocchè da esso, e per esso, e in esso sono tutte le cose, a lui sia gloria in tutti i secoli », non possono per quell’« omnia — tutte le cose » venir compresi i peccati di modo alcuno? Quindi è, che i peccati son detti niente: « Corripe me, Domine, veruntamen In judicio, et non in furore tuo, ne forte ad nihilum redigas me. — Castigami, o Signore, ma con misura, e non nel tuo furore, affinchè tu non mi ritorni nel nulla » (Geremia 10, 24). Vero è, che se sono niente, sono il niente più orribile, che si trovi, perchè lasciano all’uomo tanto di essere, quanto ,basti a dovere un dì desiderar di non essere. E tu non pregherai il tuo Signore altresì, che non ti riduca a un tal niente? Allora si dice, ch’egli ti riduce a un tal niente, quando ti nega quegli aiuti speciali, o soprabbondanti, che tu demeriti per la tua tiepidezza, perchè sottratti questi, tu da te subito altro non puoi far, che peccare: « Ad nihilum devenient, tanquam aqua decurrens. — Si ridurran nel niente com’acqua che scorre » (Salmo 58, 8).
VII.
Considera finalmente quanto legittima conseguenza sia questa: « Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia — imperciocchè da esso, e per esso, e in esso sono tutte le cose », dunque nessuno deve ascrivere a sè la gloria di niente, ma darla a Dio, « ipsi gloria in saecula — a lui sia gloria in tutti i secoli ». E quando è che tu ascrivi a te la gloria di qualche bene che per avventura hai tu fatto? quando o te ne compiaci, o te ne commendi, non altrimenti che s_e l’avessi fatto da te. Questo è il maggior furto che tu possa fare a Dio: perchè questo è rubare a Dio quella gloria, la qual non può convenire se non a lui. La gloria di sua natura è comune anche ad altri, fuori di Dio, per lo ben che fanno: « Gloria omni operanti bonum — Gloria a chiunque opera il bene » (Lettera ai Romani 2, 10), ma con questa diversità, che la gloria che si dà agli altri, non si può dare a loro mai, come loro, ma a loro, come operanti in virtù di Dio: « Qui gloriatur, in Domino glorietur. — Chi si gloria, nel Signore si glorii » (Seconda lettera ai Corinzi 10, 17). Quella sola che si dà a Dio, si può dare a lui come lui, senza restrizione. E pur quante volte pigli tu per fine della tua gloria te stesso, pensando a te, come se tu fossi il principale operante nel ben che fai! Anzi di’ sempre: « Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia, ipsi gloria in saecula — Imperciocchè da esso, e per esso, e in esso sono tutte le cose, a lui sia gloria in tutti i secoli ». E perchè « in saecula — in tutti i secoli »? Perchè la gloria che a ciascuno si dà, si dee sempre dare proporzionata al suo merito. Ma chi non sa, che a Dio dovrebbesi dunque dare una gloria infinita? Conciossiachè essendo infinita quella virtù, con cui opera in ciascuna minima cosa, infinita l’arte, infinito l’amore, ne segue, che infinito anch’ è il merito, il qual egli ha di venirne glorificato. Però non si potendo a Dio dare dalle creature veruna gloria, la quale sia infinita nella intenzione; giusto è, che questa gli sia data almeno infinita nell’estensione, cioè per tanti secoli, e tanti, e tanti, che mai non vengano a fine: « Quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia, ipsi gloria in saecula — Imperciocchè da esso, e per esso, e in esso sono tutte le cose, a lui sia gloria in tutti i secoli » : cioè, non « aliqua gloria — qualche gloria », ma « omnis— tutta »; « gloria cordis, gloria oris, gloria operis. Amen — la gloria del cuore, la gloria della bocca, la gloria dell’opera. Così sia ».