LUGLIO
XXX. GIORNO
Quale e quanta eccellenza si contenga nel precetto di amare il prossimo.
« Secundum autem simile est illi: Diliges proximum tuum tainguarn te ipsum. — Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Vangelo di Marco 12, 31).
I.
Considera, quanto eccelso è questo precetto di amare il prossimo, mentre essendo il secondo, è nondimeno detto simile al primo, ch’è quello di amar Iddio, di cui si trattò nelle due precedenti Meditazioni : Secundum autem simile est illi. Che se brami sapere per quanti capi sia detto simile al primo, eccoli qui ristretti in breve. I. Perchè obbliga come il primo. L’amare Dio non è sol di materia utile, come sono, o la povertà volontaria, o la purità verginale; ma necessaria. E però non si può sol prescrivere di consiglio : forza è che sia di precetto. E così parimente l’amare il prossimo : « Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos. —Questo è il mio precetto, che vi amiate l’un l’altro, com’io ho amato voi » (Vangelo di Giovanni 15, 13). II. Perchè è Divino come il primo. L’amare Dio non è precetto dato dagli uomini, ma da Dio : « In dextera ejus ignea lex. — Nella sua destra la legge di fuoco » (Deuteronomio 33, 2). E così parimente l’amare il prossimo : « Hoc mandatum habemus a Deo, ut qui, diligit Deum, diligat et fratrem suum. — Questo precetto abbiamo da Dio, che chi ama Iddio ami anche il suo fratello » (Prima lettera di Giovanni 4, 22) : non dice « ab homine — dall’uomo », dice « a Deo — da Dio ». E però ad un tal precetto debbon cedere tutte le disposizioni umane, tutti i costumi, tutte le consuetudini, tutte le tradizioni, quando, o direttamente, o indirettamente gli si attraversano : « Obedire oportet Deo magis quam hominibus. —Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » (Atti degli Apostoli 5, 29). III. Perchè è morale come il primo. L’amore di Dio non appartiene ai precetti Cerimoniali, che furono aboliti da Cristo nella sua Legge; nè a’ Giudiziali, che furono alleggeriti; ma a’ Morali che furono avvalorati. E così parimente l’amare il prossimo; ond’è che Cristo spese gran parte del suo sermone sul monte a saldarlo dalle sinistre interpretazioni, che gli erano state fatte, a perfezionarlo, a promuoverlo : tanto che all’ultimo de’ suoi dì potè dirlo precetto nuovo, mercè la più bella forma che gli avea data, non solo con la dottrina, ma con l’esempio : « Mandatum novum do vobis: ut diligatis invicem, sicut dilexi vos. — Un nuovo comandamento do a voi : che vi amiate l’un l’altro come io vi ho amati » (Vangelo di Giovanni 13, 34). IV. Perchè è naturale come il primo. L’amare Dio non è precetto Divino positivo, com’è il Battesimo, è naturale : perchè la natura detta che ciascun debba amare il proprio gran Padre. E così parimente l’amare il prossimo : perchè la natura anche detta, che ciascun debba amare il proprio fratello : « Omne animai diligit simile sibi. — Ogni animale ama il suo simile » (Ecclesiastico o Siracide 13, 19). E però l’amare il prossimo non è opera in tanto buona, in quanto ella è comandata; ma in tanto è comandata, in quanto ella è buona. V. Perchè è assoluto come il primo. L’amare Dio non è precetto condizionato, come quel della Penitenza, la qual s’ingiunge presupposto il peccato, ma è assoluto. E così parimente l’amare il prossimo: ond’è che non è capace di star sospeso, come quel della Penitenza, ma per sè stringe innanzi a qualsisia presupposizione : « Haec est annuntiatio, quam audistis ab initio, ut diligatis alterutrum. — Questo è l’annunzio, che udiste da principio, che vi amiate l’un l’altro » (Prima lettera di Giovanni 3, 11). VI. Perchè è affirmativo come il primo. L’amare Dio non è precetto negativo, come quello di non ricordare il suo nome invano; ma è affirmativo, perchè impone un bene, così è vero precetto; non vieta un male, il che è mera proibizione. E così parimente l’amare il prossimo. Ond’è, ch’è precetto più degno di tutti i negativi, essendo più il far bene, che il non far male. Senza che il negativo non include il suo affirmativo; ma l’affirmativo include il suo negativo. Onde chi ti ordina che non odii, non oderis fratrem tuum in corde tuo; non però ti ordina ad un’ora stessa che ami; ma chi ti ordina che ami, a un’ora stessa ti ordina che non odii: « Dilectio proximi malum non operatur. — L’ amore del prossimo non opera male » (Lettera ai Romani 13, 10). VII. Perchè è universale come il primo. L’ amare Dio non è precetto particolare, che obblighi un sesso più che un altro, uno Stato più che un altro, un paese più che un altro. È universale, che si stende a tutte le genti. E così parimente l’amare il prossimo: « Qui non diligit, manet in morte. — Chi non ama resta nella morte » (Vangelo di Giovanni 3, 14). Nè solo è universale, perchè è dato a tutti: ma universale, perchè è dato di tutti. Come tutti hanno ad amare, così pur tutti hanno ad essere amati, ancora i nimici : « Latum mandatum tuum nimis. — Esteso è assai il tuo comandamento ». VIII. Perchè è lucido come il primo. Il precetto di amare Dio non ha, se ben si guarda, bisogno di l’amerai come te, quando glielo vorrai come a te; ch’è ciò che intende il Signore, mentre egli dice: Diliges proximum tuum tamquam teipsum. Da ciò tu devi cavare tre utili conseguenze, ordinate all’esecuzion di questo precetto, ch’è sì importante; e tutte fondansi su le suddette parole. La prima, che tu non puoi per amor verso il prossimo condiscendergli in alcuna cosa, o irragionevole, o ingiusta, perchè se fai così, tu non l’ami, ma l’odii in sommo, mentre gli vuoi quel male che gli procurano tutto giorno i demonii suoi capitali nemici, qual è il peccato. E posto ciò, non solo allora tu non adempi questo precetto, ma direttamente lo violi, mentre il Signore ti dice, che tu voglia bene al tuo prossimo : Diliges: e tu non solo non gli vuoi bene, ma male, come un diavolo. La seconda, che tu devi al tuo prossimo voler bene per lui medesimo. Però quando tu ami il prossimo, perchè la sua conversazione ti è di piacere, o quando tu ami il prossimo, perchè la sua corrispondenza ti è di profitto, tu, se non contravvieni a questo precetto, almeno è di sicuro che non lo adempi, perchè « Diligis voluptatem tuam, diligis utilitatem tuam — Ami il tuo piacere, ami la tua utilità », e conseguentemente « Diligis te — Ami te », non « Diligis proximum tuum — non : Ami il tuo prossimo », e il Signore dice: « Diliges proximum — Amerai il prossimo ». Sai tu come ami il tuo prossimo in un tal caso? Come servo, non come prossimo, perchè l’ami in ordine a te. E il Signore ha voluto usare questo nome di prossimo espressamente, perchè tu intenda, che lo devi amar come prossimo, e conseguentemente che lo devi amare come pari, non come servo, giacchè, s’è prossimo a te, è nel medesimo grado con esso te, ch’è quanto dire, è in grado di potere anch’egli conseguire teco l’eterna Beatitudine. Sia per altro grande, o sia piccolo, non importa : sia paesano, sia !lzraniero: sia pio, sia scellerato: sia benevolo, sia nimico, come in Paradiso può essere tuo consorte, è prossimo tuo. Così c’insegnano i Santi. La terza, che tu non devi al tuo prossimo voler bene con una volontà fredda, stupida, scioperata, che piuttosto vien detta velleità, perchè se fai così, tu non l’ami come te stesso, tamquam teipsum, ch’è quanto dire, non l’ami « in charitate non ficta — con amor non finto ». Pare a te di appagarti in riguardo tuo d’uno sterile desiderio? Anzi oh come t’industrii per procacciarti ciò che davvero ti figuri giovevole! E così devi fare in ordine al prossimo : « Intellige quae sunt proximi tui ex te ipso. — Giudica del genio del tuo prossimo dal tuo » (Ecclesiastico o Siracide 31, 17). Altrimenti puoi persuaderti di osservare questo precetto per quella buona intenzione, ch’hai dentro il cuore, ma non l’osservi, perchè la buona intenzione non passa all’atto : « Vana locuti sunt unusquisque ad proximum suum. — Cose vane ha detto ognuno al suo prossimo » (Salmo 12, 2). Se dunque dal primo all’ultimo noti bene, tu vedrai chiaro, che pochissimi adempiono su la Terra questo precetto. Perchè molti amano il prossimo con amor pernizioso, e così l’odiano, quando credon di amarlo. Molti l’amano con amore interessato, e così amano sè, non amano il prossimo. Moltissimi l’amano con amor più morto che vivo, perchè non vogliono operare per esso, non vogliono stentare, non vogliono spendere, non vogliono incomodarsi, e conseguentemente non lo amano come sè, cioè con alacrità, con ardore, con efficacia, ma l’amano come una cosa che loro non appartenga, cioè mortissimamente. Eppure il Signore non è contento di dire: « Diliges proximum tamquam aliquid tui — Amerai il prossimo come una cosa tua »; ma « tamquam te ipsum — come te stesso ». E questa non è materia di dolor sommo? Ecco la bella Legge della santa Carità a che è ridotta. Ad avere infiniti che la trasgrediscano in verità, pochissimi che l’osservino. « Beatus qui invenit amicum verum. — Beato chi ritrova un vero amico » (Ecclesiastico o Siracide 25, 12). Eppur questa è quella Legge, che tanto vale, quanto vale quella medesima di amar Dio : « Majus horum aliud mandatum non est. — Non v’è precetto maggiore di questo » (Vangelo di Marco 12, 31).