La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

GIUGNO

III. GIORNO

Come, e da chi debbasi osservare la Divina Legge Evangelica.

 

« Abundantius oportet observare nos ea quae audivimus, ne forte pereffluamus. — Fa d’uopo, che noi osserviamo con maggior perfezione le cose udite, affinchè per mala sorte non ci perdiamo » (Lettera agli Ebrei 2, 1).

 

I.

Considera, come questo detto primieramente appartiene a tutti i Cristiani di qualunque ordine sieno, benchè più basso, tra la cui turba annovera umilmente l’Apostolo se medesimo, e dice « Nos — Noi ». Questi tutti sono tenuti ad osservare la loro Legge Evangelica, con perfezione molto più segnalata di quella stessa, con cui gli Ebrei fossero anticamente tenuti osservar la loro; altrimenti qual dubbio c’è, che incorreranno rovina più irreparabile? I. Perchè quella fu legge promulgata non più che per bocca d’Angelo; « Ecce ego mitto Angelum meum, qui praecedat te: Observa eum, et audi vocem ejus. — Ecco che io manderò il mio Angelo, che ti preceda: Bada a lui, ed ascolta la sua voce » (Esodo 23, 20, 21). Questa fu per bocca di Cristo Figliuol di Dio : « Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite. — Questo è il mio Figliuol prediletto, nel quale io mi son compiaciuto, lui ascoltate » (Vangelo di Matteo 17, 5). II. Perchè quella era indirizzata al conseguimento di meri beni terreni, come a suo premio : « Si volueritis, et audieritis me, bona Terrae, comedetis. — Se vorrete, ed ascolterete me, vi ciberete de’ frutti della Terra » (Isaia 1, 19). Questa è ordinata alla consecuzion dei celesti: « Domine, ad quem ibimus? Verba vitae aeternae habes. — Signore, a chi anderemo noi? Tu hai parole di vita eterna » (Vangelo di Giovanni 6, 69). III. Perchè quella, rispetto a questa, era di soma intollerabile a spalle ancora robuste, sì per la mole molto maggior dei precetti, che contenea; sì per gli aiuti molto minori di grazia: « Jugum, quod neque Patres nostri, neque nos portare potuimus. — Giogo, il quale nè i nostri Padri, nè noi abbiam potuto portare » (Atti degli Apostoli 15, 10). Questa, rispetto a quella, è di peso soffribile ancora a deboli: « Jugum meum soave est, et onus meum leve. — Soave è il mio giogo, ed il mio peso è leggero » (Vangelo di Matteo 11, 30). Però tu vedi se giustamente ha ragione di dir l’Apostolo : « Abundantius oportet observare nos ea quae audivimus. — Fa d’uopo, che noi osserviamo con maggior perfezione le cose udite », da legislatore sì nobile, sì giovevole, sì discreto, « ne forte pereffluamus — affinché per mala sorte non perdiamo tutto ». Che cosa vale qui questa voce effluere? Val dannarsi. Perchè fluit chi muore di morte temporale: « Omnes morimur, et quasi aquae dilabimur in Terra, quae non revertuntur. — Tutti siam mortali, e ci sperdiamo nella Terra, come acqua, che non può più raccogliersi » (Secondo libro dei Re 14, 14). Effluit chi di più muore di morte eterna. Se però tu Cristiano non osservi la tua legge più perfettamente di ciò, che gli Ebrei la loro, non solamente efflues come è stato di essi, ma ancor perefflues, perchè la tua dannazione sarà ancora tanto maggiore, quanto maggiore sarà stata la colpa.

II.

Considera, che questo luogo appartiene secondariamente a quei Cristiani più degni, i quali sollevatisi dalla turba, anzi sequestratisine, attendono in solitudine ad udir la voce di Dio nell’esercizio della contemplazione, tra cui l’Apostolo giustamente qui annovera se medesimo, e dice: « Nos — Noi », mentre in tal esercizio era giunto anche al terzo Cielo : « Audivit arcana verba, quae non licet homini loqui. — Udì arcane parole, che ad uomo non è lecito proferire ». Però tutti questi sono tenuti osservar più perfettamente ciò, ch’essi udirono nei privati colloqui col lor Signore, abundantius oportet observare ea, quae audierunt: perchè non osservandolo perdono tutto; Ne forte pereffluant. Questo è pereffluere: essere un vaso fesso, un vaso forato, che non è più capace di tener acqua; perchè il Signore in tanto colma l’anima tua di quei doni, che nell’orazione ricevi, di quelle intelligenze, di quelle ispirazioni, di quei sentimenti §ì belli, in quanto desidera, che tu divenga perfetto. Se però tu ciò trascuri, egli non solo non ti concederà nuovi sentimenti, ma ti toglierà quegli ancora, che già ti ha dati, lasciandoti in abbandono: « Erudire, Jerusalem, ne forte recedat anima mea a te. — Impara, o Gerusalemme, affinchè per mala sorte non si allontani da te l’anima mia » (Geremia 6, 8). Credi forse, tu, che a te basti un’ordinaria bontà, qual può bastare a quei Cristiani ordinari, i quali non sono ammessi a consorzio così frequente col Signor loro, o così dimestico? T’inganni molto perchè tu stai sempre a scuola, e così più sei parimente obbligato ad approfittarti. Però poni mente, che non dice l’Apostolo: « Oportet nos observare, cioè, custodire ea, qua audivimus: ne forte ea pereffluant, ma ne forte pereffluamus — Fa d’uopo che noi osserviamo, cioè, che custodiamo le cose udite: affinchè per mala sorte esse non periscano, ma affinchè per mala sorte non ci perdiamo noi », perchè tanto a te potrà essere perder quei doni, che ora ricevi amorevolmente da Dio, quanto perdere te medesimo. E ciò non sarebbe perdersi l’acqua, e ‘l vaso? « Comminuetur sicut conteritur lagena figuli contritione pervalida: et non invenietur de fragmentis ejus testa, in qua hauriatur parum aquae de fovea. — Andrà tutto in frantume, come per una forte percossa frangesi un vaso di terra, de’ cui rottami non trovasi un coccio, con cui si possa attinger da un fosso un po’ di acqua » (Isaia 30, 14).

III.

Considera, che questo detto appartiene finalmente a quei Cristiani ancora più eccelsi, i quali non contenti di attendere a se medesimi con l’esercizio della contemplazione, a cui fanno ritorno di tempo in tempo, procurano di giovare ancora ai loro prossimi con l’azione, predicando, confessando, consigliando, insegnando; tra cui l’Apostolo con sì giusta ragione annovera ancora sè, Predicator delle genti, e Maestro massimo, e dice « Nos — Noi ». Questi sono quelli, che « audierunt in aure — udirono nell’ orecchio » i precetti del lor Signore, e poi « praedicant super tecta — li predicano sui tetti ». Però bisogna, che sieno molto solleciti di osservare più perfettamente degli altri ciò, ch’essi udirono: Abundantius oportet observare ea, quae audierunt: altrimenti corrono rischio di perdere se stessi in cercare altrui : Ne forte pereffluant. Convien pertanto, se tu sei di costoro, che lasci talmente trascorrere a pro d’altrui quei doni, di cui il Signore ti ha provveduto, che ne riserbi di molto a profitto proprio. Fluunt quei, che non contenti di vivere solo a sè, s’impiegano amorevolmente in servizio dei loro prossimi. Effluunt quei, che s’impiegano copiosamente. Pereffluunt quei, che s’impiegano totalmente. E se ti dai tutto agli altri, che rimarrà dunque di te a te medesimo? « Totum spiritum suurn profert stultus. — Lo stolto mette fuori tutto il suo spirito » : e con questo medesimo si dimostra quello, ch’egli è, si dimostra stolto, perciocchè pensa agli altri, e non pensa a sè: « Sapiens differt, et reservat in posterum — Il saggio va differendo, e serba qualche cosa per l’avvenire » (Proverbio 29, 11); e con ciò si dà a scorgere ancora saggio, perchè fa come quelle Vergini, che seppero serbar tanto di olio per le lampane proprie, che non avessero da rimanersene al buio. Non vedi tu come l’istessa limosina corporale ha da pigliar la sua regola dallo stato, in cui ti ritrovi? Molto più la spirituale; perchè nei beni spettanti al corpo tu puoi con merito amare il tuo prossimo, in molti casi, più di te stesso : ma negli spettanti allo spirito, in caso niuno : l’hai da amar quanto te, ma non più di te : Diliges proximum tuum sicut te ipsum (Vangelo di Matteo 22, 39). Però eh’ hai da fare, se per tua molta felicità ti ritrovi nel numero di coloro, i quali fluunt a benefizio dei popoli, o ancora effluunt? Hai da pigliare bell’esempio dai fiumi, che terminato un ragionevole corso tornano al mare : « ut iterum fluant — per correr di nuovo » (Ecclesiastico o Siracide 1, 7). Hai da ritirarti di tanto in tanto in te stesso, e pensare a te; perchè alla fine, che può giovarti guadagnar l’universo, se con un guadagno anche tale può star congiunto che tu perda l’anima propria? Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? (Vangelo di Matteo 16, 26).

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