La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

XXIX. GIORNO

S. Michele Arcangelo.

Si medita il vizio della superbia.

« Fecit potentiam in brachio suo; dispersit superbos mente cordis sui; deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.— Operò potentemente col suo braccio; disperse i superbi da’ pensieri del loro cuore; sbalzò i potenti dal trono, ed innalzò gli umili » (Vangelo di Luca 1, 51, 52).

 

I.

Considera come Dio nostro Signore non ha mai cessato di perseguitare acremente per tutti i secoli la superbia. Ma se mai mostrò di perseguitarla davvero, fu subito ch’ella nacque, cioè a dire, nel Cielo Empireo. Quivi la sventurata sortì la sua prima origine nella mente degli Angeli a Dio ribelli; ma tosto ancora precipitò, fulminata, da un Ciel sì alto, al baratro degli abissi. Queste parole pertanto, che in questo dì ti propongo da meditare, non solo moralmente, o misticamente, ma ancora letteralmente, alludono sopra tutto a quella spaventosa giustizia, che Dio già fece di tanti sublimi Spiriti, quando per colpa della loro alterezza, non solo gli sbalzò giù dai lor sommi seggi, ma come schiavi vilissimi dannogli alle catene, dannogli a’ ceppi, anzi creò per loro stanza l’Inferno, prigion sì cupa. Beato te, se alla contemplazion di catastrofe così orrenda, pigliassi un vero abborrimento a quel vizio, il quale ne fu la cagione! Certo almen è, che quando Cristo vide alquanto i Discepoli insuperbiti per le opere prodigiose da lor fatte, benchè in virtù del suo nome: « Reversi sunt cum gaudio dicentes: Domine, etiam dnmonia subjiciuntur nobis in nomine tuo — Se ne ritornarono allegri, dicendo: Signore, anche i demonii a noi si assoggettano in virtù del tuo nome » (Vangelo di Luca 10, 17): non altro fece a reprimere i loro sensi, ed a rintuzzarli, che ridur loro a memoria la gran caduta, che fatta avea per la superbia Lucifero, fin dal Cielo: caduta simile a quella d’una saetta, cioè, veloce, ruinosa, terribile, irrevocabile : « Et ait Videbam Satanam sicut fulgur de Caelo cadentem. — Ed egli disse loro : io vedea Satana cadere dal Cielo a guisa di folgore » (Vangelo di Luca 10, 18). Però tu sappi approfittarti « Si enim Deus Angelis peccantibus non pepercit, sed rudentibus Inferni detractos in tartarum tradidit cruciandos. — Poichè se Dio non perdonò agli Angeli prevaricatori, ma cacciatili nel tartaro, li consegnò ad essere tormentati » (Seconda lettera di Pietro 2, 4); che sarà di te verme vilissimo della terra, se mai dimostri un orgoglio simile al loro?

II.

Considera come questi Angeli a Dio ribelli, son qui chiamati, quasi con propria antonomasia, i superbi; Dispersit superbos, etc., perciocchè spiriti più superbi di loro non sono a verun tempo comparsi al mondo. Basti dir, che lasciatisi subornare dal loro iniquo condottiere Lucifero, aspirarono tutti a sì gran possanza, di farsi da se stessi simili a Dio : « Similis ero Altissimo. — Sarò simile all’Altissimo » (Isaia 14, 14). Dico da se stessi, perchè nel resto tutti gli Angeli buoni, tosto che in premio della lor fedeltà furono assunti alla visione beatifica, tutti dico arrivarono ad ottener una tal simiglianza, che l’accompagna. Ma non ambirono di ottenerla da sè. Se ambirono di ottenerla (com’è probabile) mentre da Dio fu lor proposta per premio; ambirono di ottenerla per mero dono di grazia, non di natura. Gli Angeli rei solamente fur quegli altieri, che si promisero di poter a tanto arrivar con le loro forze: « Elevatum est cor tuum in robore tuo. — Il cuor tuo si è innalzato a motivo di tua robustezza » (Ezechiele 28, 5). E così affermasi che aspirarono ad essere pari a Dio: « Elevasti cor tuum, et dixisti: Deus ego sum — Hai innalzato il cuor tuo e hai detto: Io sono un Dio » (Ezechiele 28, 2), perchè aspirarono a poter da sè, come Dio, bear se medesimi. Ora questi superbi il Signor disperse da’ pensieri, che avevano concepiti nel loro cuore; ch’è ciò ch’esprimono le presenti parole: Dispersit superbos mente cordis sui. Tanto è dire, dispersit superbos mente cordis, quanto dire, « dispersit superbos e mente cordis — disperse i superbi da’ pensieri del loro cuore », cioè « e consiliis cordis, e cogitationibus cordis, ex eo quod meditabanfar in corde suo — dai consigli del loro cuore, dai pensieri del loro cuore, da ciò che meditavano nel loro cuore »; giacchè la mente del cuore non altro sono, a mirar bene, che quei disegni i quali la volontà va formando dentro se stessa. Mira però se il Signore gli disperse per verità da sì fatti macchinamenti. Speravano quegli audaci poggiare sul trono di Dio medesimo, circondati da’ splendori non punto inferiori a’ suoi: e si son poi trovati da lui lontani, al tutto dissimiglianti, al tutto difformi, star giù a penare tra le più cieche tenebre degli abissi : « Dicebas in corde tuo: in Crelum conscendam, etc. Verumtamen ad Infernum detraheris, in profundum taci. —Dicevi in cuor tuo: Salirò al cielo, ecc. Tu però se’ stato precipitato nell’inferno, nel profondo della fossa » (Isaia 14, 13, 15). Ma tu frattanto impara bene da questo passo a conoscere, in che consiste il gran male della superbia. Non consiste nell’aspirare a posti anche altissimi. Perchè qual posto più alto può mai trovarsi di quello, al quale aspiriamo noi in Paradiso? Aspiriamo a ciò, che Lucifero si promise co’ suoi seguaci. Aspiriamo a farci noi pur simili a Dio, se pur non c’ingannò chi ci disse, che in Paradiso « similes ei erimus — saremo simili a lui » (Prima lettera di Giovanni 3, 2), perchè com’egli vede sè in se medesimo, ch’è ciò che fa lui beato; così lassù parimente lo vedrem noi; non lo vedremo, come or facciamo qua giù, in immagine alcuna da lui distinta: « Similes ei erimus; quoniarn videbimus eum sicuti est. — Saremo simili a lui; perchè lo vedremo qual egli è ». Ma questa è la differenza tra noi, e Lucifero : che Lucifero aspirò di giugnere a tanto per virtù sua, come insegnò San Tommaso (1 p. q. 63, a. 4  e in più altri luoghi). Noi vi aspiriamo puramente di giugnere per opera della grazia. E conforme a questo principio, anela pure ad una sublimissima santità, che nessuno te lo contende, a somma purità, a somma povertà, a somma ubbidienza, anela a sommo dono eziandio di contemplazione , che questa non è superbia: « Aemulamini charismata meliora. —Aspirate a doni migliori » (Prima lettera ai Corinzi 12, 31). Ma sempre tienti però viva nell’animo la gran massima, che tu da te non puoi niente : « Non sumus sufficientes cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis, sed omnis sufficientia nostra ex Deo est. — Noi non siamo idonei a pensare alcuna cosa da noi, come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio » (Seconda lettera ai Corinzi 3, 5). Dimanda a Dio che ti assista incessantemente con la sua santissima grazia: ricorri a lui, raccomandati a lui, protestagli ad ogni passo la tua fiacchezza: e poi aspira quanto vuoi con Lucifero a simigliarlo, che non però sarai superbo altrimenti qual egli fu, anzi sarai umile vero, ch’è quanto dire, moderato insieme, e magnanimo.

III.

Considera come questi Angeli dinanzi detti, che avean preteso di poter con le forze di lor natura conseguir quella sublimità di grandezza, che a niuna pura creatura può esser naturale, perchè consiste in divenire, mercè la vision beatifica, se non pari, almeno simile a Dio nella sua medesima gloria; furono per giusto loro supplizio, non solo esclusi da tal grandezza, a cui non si può arrivare se non per grazia, ma furono spogliati eziandio di quella ch’essi già possedevano per natura. Però dopo essersi detto, che il Signore « dispersit superbos mente cordis sui — disperse i superbi da’ pensieri del loro cuore », mentre non lasciò che giugnessero alla beatitudine sopran naturale, che si erano scioccamente da sè promessa; si siegue a dir di vantaggio, che « deposuit potentes de sede — sbalzò i potenti dal trono », mentre di più gli privò della beatitudine naturale che già godevano. « Potentes — Potenti » sono qui chiamati i demonii per ironìa: non perchè di loro natura non abbiano possanza, ancora grandissima, ma perchè stoltamente se la promisero assai maggiore, mentre crederono di poter innalzarsi su l’ali proprie al trono Divino. Ora questi potenti, qualunque fossero, non solamente non giunsero ad un tal trono, ma furono ancor deposti vergognosissimamente da’ troni proprii, e così furono rilegati all’Inferno, di puri sozzi, di buoni felli, di belli fetidi, di splendidi tenebrosi: « Quomodo cecidisti de Cielo Lucifer, qui inane oriebaris? — Come mai sei tu caduto dal Cielo, o Lucifero, splendente al mattino? » (Isaia 14, 12). E perchè questo supplizio riuscisse loro più atroce, che fece Dio? Donò i loro troni a quegli uomini, i quali erano tanto inferiori a loro, perchè a tal vista dovessero quei superbi arrabbiar d’invidia. Quindi è, che non dicesi, che il Signore « deposuit sedes potentum — sbalzò i troni de’ potenti », ma bensì, che « deposuit potentes de sede — sbalzò i potenti dal trono », perchè i seggi degli Angeli sono riserbati a quegli uomini, i quali usino a Dio quella soggezione, che i primi possessori legittimi di quei seggi gli contrastarono. Ma tu frattanto impara ancora da ciò qual sia quella virtù che singolarissimamente ti ha da portare a seder sui sogli Angelici, l’Umiltà: « Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles — Sbalzò i potenti dal trono, ed innalzò gli umili »; cioè quelli in particolare che non si arrogano di poter nulla da sè. Perchè siccome per potenti qui sono intesi quei che credevansi di potere assai più con le loro forze, di quello che si potessero in verità; così per umili si debbono qui all’incontro intendere sopra ogni altro quei, che per se stessi confessano innanzi a Dio di non poter niente: « Ego vir videns paupertatem meam. —Uomo son io, che conosco la mia miseria » (Lamentazioni 3, 1).

IV.

Considera come questa e dispersione, e disposizion che Dio fece degli Angeli a sè ribelli, tutta fu da lui fatta per mezzo del suo grande Angelo San Michele. Di questo, più che d’ogni altro, si valse Dio, come di suo Capitano Generalissimo, a debellare un esercito così vasto, qual era quello degli Angeli sovvertiti, siccome ora di questo si vale ancora a difendere la sua Chiesa contro agli stessi divenuti sovvertitori; e di questo si varrà parimente alla fine del mando per ire incontro a quella guerra rabbiosa che solleverà l’Anticristo, quando vanamente pretenderà di tentare ancor egli in terra ciò, che non riuscì a Lucifero in Cielo, che sarà il farsi da tutti tener per Dio: « Ita ut in Tempio Dei sedeat, ostendens se tamquam sit Deus. — Così che segga egli nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio » (Seconda lettera ai Tessalonicesi 2, 4). Però si dice, che Dio nella sconfitta degli Angeli ammutinati contra di lui, « fecit potentiam in brachio suo — operò potentemente col suo braccio », perchè si valse a sconfiggerli del suo braccio, si valse di San Michele. Questi sicuramente in ogni occorrenza è stato quegli, di cui Dio si è servito come di suo primo Ministro: e però chi può mai contendere, che di questo non si sia servito altresì, come di suo braccio? « In brachio virtutis tuae dispersisti inimicos tuos. — Col robusto tuo braccio tu sperdesti i tuoi nemici » (Salmo 89, 11). So, che per braccio di Dio frequentemente nelle Scritture dee intendersi Gesù Cristo, conforme a quello: « Brachium Domini cui revelatum est? — A chi è stata rivelata la potenza del Signore? » (Vangelo di Giovanni 12, 38). Ma Gesù Cristo è braccio di Dio naturale, perchè egli fa una cosa stessa col Padre, non solo moralmente, come fa il primo ministro col suo signore, ma ancora naturalmente: « Ego et Pater unum sumus. — Io e il Padre siamo una cosa sola » (Vangelo di Giovanni 10, 30). Laddove San Michele è solamente braccio di Dio metaforico, perchè è suo primo Ministro. Comunque siasi : a lui sicuramente hai tu da ricorrere in ogni tuo affare, ma soprattutto in tempo di tentazioni. Perchè singolarmente può San Michele chiamarsi con verità braccio di Dio per questa ragione, perchè di lui Dio si è valuto, si vale, e si varrà sempre a porre in fuga i demonii : « Michael et Angeli ejus praeliabantur cum Dracone. — Michele co’ suoi Angeli combatterono contro il dragone » (Apocalisse di Giovanni 12, 7). Tutti gli Angeli, è vero, concorsero fin da prima a sì gran battaglia; ma il primo fu San Michele, che però gli altri, se ben osservi, si chiamano tutti suoi, Angelis ejus, perchè a lui soggiacciono tutti.

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