La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

NOVEMBRE

 

XXIX. GIORNO

Sopra la negligenza in ciò che riguarda il bene.

« Qui timet Deum nihil negligit. — Chi teme Dio niente trascura, e niente disprezza » (Qoèlet 7, 19).

 

I.

Considera come questa voce negligere ha doppio significato: significa trascurare, e significa disprezzare. In senso di trascurare l’usò l’Apostolo, quando disse a Timoteo : « Noli negligere gratiam, qux data est tibi. — Non trascurare la grazia che ti è stata concessa » (Prima lettera a Timoteo 4, 14). E in senso di disprezzare l’usò Dio per bocca del medesimo Apostolo quando disse: « Quoniam ipsi non permanserunt in testamento meo, et ego neglexi eos, dicit Dominus. — Poichè essi non perseverarono nella mia alleanza, ed io gli ho disprezzati, dice il Signore » (Lettera agli Ebrei 8, 9). Da una tal voce negligere, usata nel primo senso di trascurare, ne deriva latinamente quel suo verbale, che dicesi « negligentia — trascuranza ». E dalla medesima usata nei secondo di disprezzare, ne deriva quello, che si dice « neglectus — disprezzo ». Chiariti però ben questi termini, che tu avevi bensì nella mente tua, ma confusamente, subito intendi ciò che vuole il Savio affermare, mentr’egli dice, che qui timet Deum, nihil negligit. Vuol dire, che chi teme Dio, nihil boni negligit, cioè non trascura niente di bene, come superfluo. E che chi teme Dio, nihil mali negligit, cioè non disprezza niente di male come leggiero. Su questi due quasi cardini di salute si può dir, che si regga tutta la macchina della perfezion Cristiana. Laddove la rovina di tanti, anche irreparabile, donde nasce? Dal non si tener essi ben fermi su questi cardini. Giacchè però son sì importanti le conseguenze, che possono provenire dall’eseguire un sì nobile documento, o dal mancar d’eseguirlo, procura quanto mai sia possibile di penetrar sino all’intimo l’uso d’esso.

II.

Considera come il Savio non dice, che « Qui timet Deum, nihil boni omittit — Chi teme Dio, niente tralascia di bene ». Perchè, qual è quel gran Santo, che non tralasci ad ora ad ora di fare qualche bene di quello che far potrebbe oltre l’ordinario? Dice « nihil boni negligit — niente trascura di bene », perchè se un tal Santo lo tralascia di fare, lo tralascia per fragilità, lo tralascia per fiacchezza, nol tralascia per quel brutto vizio, ch’è detto di negligenza. La negligenza è propria di queglisoli, che non solo non eseguiscono maggior bene di quello ch’essi potrebbono, se volessero, ma che nè anche si curano di eseguirlo, contenti di far ciò che basta a non perdere la grazia del lor padrone. E questo oh quanto è gran male! Perciocchè questo altro non è che un demeritar quegli aiuti soprabbondanti, che Dio suol concedere a quei che egli vede solleciti di piacergli. Ma chi non sa, che questi aiuti soprabbondanti sono alla fine quell’ali grandi, chiamate d’aquila, su cui in brevissimo tempo ti miri da Dio portare ad altissima perfezione? « Vos ipsi vidistis, quomodo portaverim vos super alas aquilarum et assumpserim mihi. — Voi stessi avete veduto come io vi ho portati sulle ali, quale aquila, e vi ho presi per me » (Esodo 19, 4). Laddove per mancanza di questi aiuti, oh quanti del continuo periscono a poco a poco, come coloro ch’han la loro entrata bensì, ma di modo scarsa, che appena han tanto da reggere la loro vita. Però pur dice il Savio in un altro luogo : « Qui negligit viam suam mortificabitur. — Chi trascura la sua via si dispone alla morte » (Proverbio 19, 16). Oh che parola infaustissima! Non dice « morietur — morrà », perchè per questa negligenza, che usi nella via del Divin servizio, tu non incorri formalmente la morte orrenda dell’anima, cioè la dannazione, ma dice « mortificabitur— si dispone alla morte », perchè se tu non incorri formalmente la morte dell’anima per una tal negligenza, come per quella, che non arriva sempre a colpa mortale, ti disponi almeno ad incorrerla, mercè la somma penuria di spirito, e di sostegno, a cui ti riduci : « Egestatem operata est manus remissa. — La mano oziosa produce la mendicità » (Proverbio 10, 4).

III.

Considera qual virtù sia quella, che deve opporsi alla negligenza ora detta. La diligenza, la qual consiste secondo i Santi in tre cose. I. Consiste nello studiare tutti que’ mezzi, quantunque piccoli, che possono più speditamente condurci alla perfezione che Dio ricerca da noi nello stato nostro. E un tale studio si oppone alla negligenza, in quanto ella è trascuraggine di elezione. II. Consiste nel por tali mezzi in opera con prontezza. E questa prontezza si oppone alla negligenza, in quanto ell’ è trascuraggine di esecuzione. III. Consiste nel por tali mezzi in opera con applicatezza. E questa applicatezza si oppone alla negligenza, in quanto ell’è trascuraggine di attenzione. Ma tu come ti diporti? Esamina te medesimo, e vedrai, che spessissimo manchi in alcuna di queste tre diligenze sì fruttuose, se pure anche talora non manchi in tutte. Però fa quello che ti dice il Signore : « De negligentia tua purga te cum paucis — Purificati dalla tua negligenza coi pochi » : perchè pochi sono coloro i quali facciano caso di accusarsi in Confessione di una tal negligenza in particolare, qualunque siasi delle tre sopraddette. Al più al più se n’accuseranno talora con termini generali, che nulla esprimono. Pochi, che se ne pentano daddovero. E pochi, che daddovero propongano di emendarsene. Ma tu non badare a ciò che facciano i molti. Fa quello, che fanno i pochi : De negligentia tua purga te cum paucis: giacchè i pochi alla fine sono quegli ancora che si avranno a salvare, non sono i molti: « Multi sunt votati, pauci vero eletti. — Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti ».

IV.

Considera come il Savio non dice, che « Qui timet Deum nihil mali operatur —Chi teme Dio non fa niente di male ». Perchè qual è quel gran Santo, che ad ora ad ora non commetta qualche peccato, almeno veniale? « In multis off endimus omnes. — In molte cose tutti inciampiamo » (Lettera di Giacomo 3, 2). Dice, « nihil mali negligit — niente di male disprezza », perchè se un Santo commette qualche peccato veniale, non lo disprezza, massimamente se fu peccato veniale deliberato, anzi se ne rammarica sommamente. Colui disprezzalo, il quale in suo cuore lo reputa un mal da nulla, perchè è veniale. Ma un peccato veniale è un male da nulla? Povero te, se dimori in sì sciocco errore! Il peccato veniale è il maggior male di quanti mai sono al mondo, o vi posson essere, dopo il peccato mortale. Sicchè l’avere addosso un peccato veniale deliberato, quantunque solo, è maggior male per te, che se avessi addosso tutte le scabbie dell’universo, tutte le piaghe, tutte le posteme, tutte le febbri, tutte le podagre, tutte le paralisie, tutte le furie, anzi tutti insieme i diavoli dell’Inferno : ond’è, che per evitar tutti questi mali tu non puoi giugnere a dire con buona coscienza una sola bugia, quantunque giocosa, non a tentare un piccolo furto, non a tramare una piccola furberia. Nè solo ciò: ma se di più con un tal peccato veniale tu avessi modo di ridurre in un giorno alla fè di Cristo tutti i Giudei, tutti i Tartari, tutti i Turchi, tutti i Gentili, tutti in una parola i suoi popoli a lui ribelli, tu non puoi farlo : nè Dio ti rimarrebbe punto obbligato per una tal riduzione, ma ti punirebbe con pena ancor sì sensibile, e sì severa, qual è quella del Purgatorio, ch’eccede tutti i tormenti del nostro mondo. E tu con tutto questo hai mai cuore di disprezzare un peccato veniale deliberato, e di dire  che gran mal è? Qui timet Deum nihil mali negligit, perchè è vero, che col peccato veniale tu non arrivi ad offender Dio gravemente come fai col mortale, ma pur l’offendi, lo disgusti, lo disonori. E come dunque puoi disprezzar tal peccato per quello ch’egli è in se stesso, con dir fra te qual figliuolo mal costumato : purchè mio padre non riceva da me niun’offesa grave, mi basta questo? Di più è vero, che il peccato veniale non è una tal malattia, che dia per se medesima morte all’anima, com’è il peccato mortale, il qual è una malattia consumata, cioè compita, piena, perfetta, che fin arriva a distruggere nel cuor d’essa il suo principio vitale, ch’è la carità; ma è senza dubbio un incominciamento di simile malattia. E come dunque puoi disprezzare un tal peccato per quello ch’è ne’ suoi effetti, con dir fra te qual insano : purchè il peccato ch’io fo non sia peccato mortale, non curo d’altro? Disprezzi tu per ventura ogn’infermità, che non sia mortale? Anzi ti guardi da tutte più che tu puoi, perchè tutte disprezzate ti possono a poco a poco ridurre a segno di contrarne una irreparabile. E perchè dunque vuoi sol fare l’opposto nel caso nostro? Qui timet Deum nihil mali negligit, sì per quello che un tal male è in sè, sì per quello che è ne’ suoi effetti : che però quand’odi mai dire, che il peccato veniale è un peccato leggiero, non ti dare a credere, che ciò mai si dica parlando assolutamente, ma solo relativamente, cioè a paragone del peccato mortale. Nel resto egli è quel mal sommo ch’hai già sentito.

V.

Considera, che a parlar più aggiustatamente, pare che il Savio non avrebbe dovuto dire: « Qui timet Deum nihil negligit — Chi teme Dio nulla trascura », ma dir, « qui diligit Deum — chi ama Dio » perchè il non trascurare alcun bene come non importante, o il non disprezzare alcun male come leggiero, nihil boni negligere, et nihil mali, par che sia molto più proprio di chi ama Dio gran’ demente, che non è proprio di chi soltanto lo teme. Ma t’inganni assai. Conciossiachè quantunque per un verso sia vero ciò che tu opponi, contuttociò era più opportuno per l’altro, che il Savio qui dicesse piuttosto : « Qui timet Deum — Chi tenie Dio », che « qui diligit Deum — Chi ama Dio » : affinchè nessun si credesse, che « nihil boni negligere, et nihil mali — nulla trascurar di bene, e nulla di male », si appartenesse solo a certi gran Santi, i quali ardono tutti di amor di Dio. Ha voluto egli che sappiasi, che questo è debito fin di tutti coloro, che non son giunti a nulla più che a temerlo : mentre è cosa già indubitata, che per peccati anche piccoli di omissione, o di commissione, Iddio suol dare gastighi, ancora orrendissimi, nè gastighi sol negativi, quali son quei che consistono in semplice sottrazione di benefici, ma gastighi ancor positivi, quali sono, esser divampato dal fuoco, esser divorato dalle fiere, ed altri sì fatti, che si raccontano nelle istesse Sacre Scritture. Se dunque tu trascuri tanto di bene che far potresti, o giugni a disprezzar davvantaggio tanto di male: che segno è ciò? Che non ami Dio? Questo è poco. E’ segno, che neppur lo temi come dovresti. « Qui timet Deum — Chi teme Dio », ch’è l’istesso che dire, « Quicumque timet — Chiunque teme », è di fede, che « nihil negligit — nulla trascura », cioè « nihil boni negligit et nihil mali — nulla di bene trascura, e nulla di male ». « Quicumque negligit — Chiunque il trascura », bisogna dire che « non timet — non teme ».

 

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