La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

DICEMBRE

 

XXIX. GIORNO

Tempi nostri quanto più degli antichi vantaggiosi alla salute.

« Multifariam multisque modis olim Deus loquens Patribus in Prophetis, novissime diebus istis locutus est nobis in Filio, quem constituit haeredem universorum, per quem fecit et saecula. — Iddio, che molte volte, ed in molte guise parlò un tempo a’ Padri per li Profeti, ultimamente in questi tempi ha parlato a noi pel Figliuolo, cui egli costituì erede di tutte quante le cose, per cui creò anche i secoli » (Lettera agli Ebrei 1, 1).

 

I.

Considera come ti può sembrar maraviglia, che nella legge nuova si pratichi tanto diversamente da ciò, che si costumò nella vecchia. Nella vecchia, non solamente era lecito, ma lodato, voler da Dio per via soprannaturale ricever le risposte sopra di ciò, che si doveva operare : « Domine Deus, unde scire possum, etc. — Signore Iddio, donde poss’io conoscere ecc.» (Genesi 15, 8), tanto che venivano bene spesso ripresi coloro, che il trascuravano : « Os Domini non interrogaverunt. — Non consultarono l’oracolo del Signore » (Giosuè 9, 14). — « Os meum non interrogastis. — Non avete domandato il mio parere » (Isaia 30, 2). Si andavano a bello studio a ritrovare i Profeti per cose minime, e a dimandarli : « Venite, et eamus ad Videntem — Venite, andiamo a trovare il Veggente » (Primo libro di Samuele 9, 9) nè solamente si potevano allora ricercare pronosticamenti, ma talor anche visioni, apparizioni, assicurazioni; anzi si offerivano : « Pete tibi signum a Domino Deo tuo in profundum Inferni, sive in excelsum sopra. — Domanda a tua posta al Signore Dio tuo un segno dal profondo dell’inferno, o lassù nell’eccelso » (Isaia 7, 11). Ora all’opposito non si può nulla di ciò : « Judaei signa petunt. — I Giudei chieggono miracoli » (Prima lettera ai Corinzi 1, 22). Chi lo facesse, non solamente non sarebbe lodato tra’ Cristiani, ma biasimato, e niuna cosa si approva più, che raccomandare a Dio bensì tutte quelle opere che imprendiamo, ma non volerne innanzi tempo sapere da lui l’evento. Può ciò sembrarti ammirabile, non te ‘l nego; ma questo nasce, perchè tu non finisci ancora d’intendere quanto bene Iddio ci abbia fatto in donarci Cristo. Dandoci questo, ci ha detto già tutto ciò che ci potea dire : « Verbum breviatum fecit Dominus superi terram. — Parola abbreviata fece il Signore sopra la terra » (Lettera ai Romani 9, 28). E la ragion è, perchè tuttociò che anticamente disse il Signore al suo popolo, parlandogli tante volte ne’ suoi Profeti, ed in tanti modi, tutto era indirizzato a prenunziar Cristo : « Finis legis Christus, ad justitiam omni credenti. — Il termine della legge è Cristo, per dare la giustizia a tutti coloro che credono » (Lettera ai Romani 10, 4). E benchè dessegli bene spesso risposte sopra affari, quali erano, se si dovesse camminare, se si dovesse combattere, ecc., quegli affari stessi erano tutti figura di ciò che dovea poi farsi da Cristo, o da’ suoi seguaci: « Omnia in figura contingebant istis. — Tutte le cose accadevan loro in figura » (Prima lettera ai Corinzi 10, 11). E però era giusto richiedere a Dio la forma certa, patente, precisa di tuttociò che si doveva eseguire, perchè nessuno potea saper, se non Dio, come si avesse a regolar la figura, affinchè non fosse discorde dal figurato. Ora il figurato è comparso : Multifariam multisque modis olim Deus loquens Patribus in Prophetis, novissime diebus istis locutus est nobis in Filio. E però, essendo finite già le figure, non altro resta che contemplare il figurato medesimo, udire ciò ch’egli disse venendo al mondo, e vedere com’egli si diportò. Facendo questo, noi saprem come ci dobbiam contenere in qualunque opera nostra. E però per qual fine star ora a ricercar altro? Chi ha innanzi l’originale, non ha più bisogno d’interrogare il maestro per udir come ha da regolarsi ne’ tratti del suo pennello : basta che guardi l’originale, e lo copii.

II.

Considera, posto ciò, quanto sia il vantaggio de’ tempi nostri su quegli antichi. Olim, cioè nell’antica legge, il Signore parlò bensì, ma parlò solamente ad alcuni pochi, Patribus, cioè al solo popolo Ebreo. In questi tempi, diebus istis, egli ha parlato a quel popolo, e a tutti gli altri : « Palam apparui iis, qui me non interrogabant. — Mi sono fatto pubblicamente vedere a coloro che non domandavano di me » (Lettera ai Romani 10, 20). Che però aggiugne, ch’egli ha parlato novissime, l’ultima volta : perchè dopo questa volta non parlerà più : ond’ è, che se prima una legge sopravveniva all’altra come ad imperfetta, un vaticinio all’altro, ed un vero all’altro; ora nella legge Evangelica è detto il tutto con perfezione : « Consummatum est. — E’ compito » (Vangelo di Giovanni 19, 30). « Olim — Un tempo » il Signore parlò a servi per bocca di servi, in Prophetis. Ora, diebus istis, ha parlato a servi per bocca di suo Figliuolo, locutus est in Filio. Che però i Profeti parlavano appunto da servi, con dire ogni tratto : « Haec dicit Dominus, etc. — Queste cose dice il Signore, ecc. ». Il Figliuolo ha parlato da Padrone : « Ego autem dico vobis, etc. — Ma io vi dico, ecc. » (Vangelo di Matteo 5, 22). E dove quegli parlavano oscuramente, come appunto è proprio de’ servi, che mai non son del segreto informati appieno: « Servus nescit quid faciat Dominus ejus — Il servo non sa quel che faccia il suo Padrone » (Vangelo di Giovanni 15, 14), egli ha parlato con chiarezza ammirabile, come appunto chi, qual figliuolo, possiede il tutto : « Unigenitus qui est in sinu Patris ipse enarravit. — L’Unigenito, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato » (Vangelo di Giovanni 1, 18). « Olim — Un tempo » il Signore parlò multifariam, multisque modis, cioè molte fiate, ed in molte forme, come fa chi non esplica il tutto insieme : « Diebus istis — In questi tempi » ha tenuto in parlare un tenor medesimo, più compendioso sì, ma tanto più scelto. Vedi però se tu sei degno di scusa, mentre non riconosci l’inestimabile benefizio che Dio ti ha fatto nel farti nascere non « olim — un tempo », ma « diebus istis — in questi tempi », in cui siam noi, « in quos fines saeculorum devenerunt — nei quali è venuta la fine dei secoli » (Prima lettera ai Corinzi 10, 11). Non hai tu dunque da voler altro al presente, che tener gli occhi, e gli orecchi rivolti in Cristo. Osserva lui per imparare com’egli si diportò, odi lui per intender ciò ch’egli disse: ed oh quanto a un tratto saprai di ciò che t’importa in pro dell’anima tua! In pro del corpo, non ti curare di voler più saper nulla; come usavasi anticamente. Perchè se a’ Giudei molte cose eran lodevoli in questo genere di conservarsi la loro vita caduca, era per l’aspettazione, in cui stavano ad ora ad ora di giugnere a veder Cristo. Però morendo un Ezechia piangea tanto con dir tra sè: « Quaesivi residuum annorum meorum, dixi: Non videbo Dominum Deum in terra viventium. — Cercava il resto degli anni miei, io dissi: non vedrò il Signore Dio nella terra de’ vivi » (Isaia 38, 11). E però giunto a vederlo, disse Simeone: « Nunc dimittis servum tuum, Domine, etc. quia viderunt ovuli mei salutare tuum. — Adesso lascia, o Signore, che se ne vada il tuo servo, ecc., perchè gli occhi miei hanno veduto il Salvatore dato da te » (Vangelo di Luca 2, 29). Ora è cessato questo rispetto laudevole. Anzi per veder Cristo, altro modo ora non v’è più, che morire. E però poco del tuo corpo devi esser già sollecito : pensa all’anima; e intorno a questa quanto vuoi saper, saprai subito in ricercarne, non i servi più del tuo principe, ma il figliuolo.

III.

Considera quanto mal si apponga chi per vaghezza di pensare a Dio puro, distoglie per sempre l’animo dalla considerazione di quello che fece Cristo. Questo in terra ha da essere il nostro Oracolo in ogni affare, in ogni andamento : « Hic est filius me.us dilectus, in quo mihi bene complacui: ipsum audite. — Questi è il figlio mio diletto, in cui mi sono compiaciuto : ascoltatelo ». Adunque come può mai venir tempo, in cui non si debba più trattar tutto con esso lui? Il trattare a faccia a faccia con Dio svelato, ci si serba in Cielo : in terra ci si impone il trattare con Dio velato. Non sappiam noi che in Cristo « inhabitat omnis plenitudo Divinitatis — abita tutta la pienezza della Divinità », ancorchè « corporaliter — corporalmente »? (Lettera ai Colossesi 2, 9). Adunque che cercar più? La Divinità è tanto in esso adattata più alla fiacchezza degli occhi nostri, quanto meno ell’è folgorante. Da lui dunque, come uomo, apprendi tu quegli esempi, ch’ hai da imitare: in lui, come Dio, adora quella infinità, ed incomprensibilità, ch’ hai da credere. Quindi è, che per rappresentartelo qual egli è, insieme Dio, insieme uomo, dopo aver l’Apostolo detto: « Multifariam multisque modis olim Deus loquens Patribus in Prophetis, novissime diebus istis locutus est nobis in Filio — Iddio, che molte volte, e in molte guise parlò un tempo ai Padri per li Profeti, ultimamente in questi tempi ha parlato a noi pel Figliuolo », soggiugne subito, « quem constituit haeredem universorum, per quem fecit et sicula — cui egli costituì erede di tutte quante le cose, per cui creò anche i secoli ». Quando dice « quem constituit hxredem universorum — cui costituì erede di tutte quante le cose », parla di lui secondo la natura umana. Quando dice « per quem fecit et saecula — per cui creò anche i secoli », parla di lui secondo la natura Divina. Secondo l’umana è Cristo costituito erede dal Padre di tutti i beni Divini, come di beni paterni, e così erede ancora di tutti i popoli, di tutti gli Angeli, di tutti gli Arcangeli, e di quanti spiriti ha il Cielo,non che l’Inferno, soggetti a Dio : « Postula a me, et dabo tibi gentes haereditatem fiumi, etc. — Chiedimi, ed io ti darò in tuo retaggio le genti, ecc. » (Salmo 3, 8). E però di Cristo secondo una tal natura qui dice l’Apostolo : « Quem constituit Deus haeredem universorum — Cui Dio costituì erede di tutte quante le cose ». Secondo la natura Divina, egli è poi il Facitore de’ secoli, e conseguentemente di tutto il resto. La cosa più difficile a concepir che sia stata fatta, presso qualunque generazion di Filosofi, è stato il tempo, tanto egli porta l’aspetto in sè di perpetuo. E posto ciò, che non avrà dunque egli fatto, chi ha fatto il tempo? Però tu vedi, che qui non dice l’Apostolo, « per quem fecit saecula — per cui creò i secoli », ma « per quem fecit et saecula — per cui creò anche i secoli », volendo con ciò egli mostrare quanto in su si sia stesa la podestà di un tal figliuolo Divino: si è stesa a formare i secoli. Nè guardare che non si dice « qui fecit sicula — il quale creò i secoli », ma « per quem Deus fecit saecula — per cui Dio creò i secoli », perchè la particella per tra le Persone Divine non significa inferiorità di potenza, ma solo coordinazione. Si dice, che per lui sono fatti i secoli, perchè sono fatti per lui, come per idea, ma per idea consustanziale all’Artefice. Nel rimanente s’egli è quegli « per quem — per cui » il gran Padre suo « fecit secula — creò i secoli », conviene dunque che non fosse il suo solo Padre innanzi de’ secoli, ma ancor egli: « Deus autem Rex noster unte saecula. — Ma Dio è nostro Re prima dei secoli » (Salmo 74, 12). Tu contemplandolo qual Facitore de’ secoli, ti umilierai riverente al suo gran potere; e contemplandolo qual erede universalissimo di quanto Dio può mai dare ad alcun di bene, ed erede non pur destinato da lui, ma costituito, cioè immobile, inalterabile, fisso, intenderai che altra eredità non può per te rimanere, se non quella che avrai per favor di Cristo: « Justificati gratia ipsius hxredes simus secundum spero vitae aeternae — Giustificati per la grazia di lui, siamo, secondo la speranza, eredi della vita eterna » (Lettera a Tito 3, 7).

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