GENNAIO
XXVIII. GIORNO
Vera casa dell’uom qual sia.
«Ibit homo in domum aeternitatis suae.— L’uomo andrà nella casa di sua eternità » (Qoèlet 12, 5).
I.
Considera, che quella casa, nella quale tu abiti, di presente, non è altrimenti, a dir vero, la casa tua. Ella è piuttosto un ospizio, che ti ricetta a tempo, e a tempo anche breve. Non andrà molto, che i tuoi più cari saranno i primi a scacciartene tosto fuori, perchè non gli ammorbi col puzzo. La casa tua qual sarà? La tua sepoltura, che dalle leggi medesime ha riportato il titolo di Perpetua; e però non hai da stupirti, s’è intitolata anche casa di eternità: Domus aeternitatis. Per tutta l’eternità tu non ne uscirai a riveder più veruno su questa Terra, a riveder paesani, a riveder parenti, a rivedere alcuno più di coloro, senza cui non ti pare di poter vivere. Infimo a tanto che durerà quella casa starai là dentro: « Sepulchra eorum domus illorum in aeternum — I loro sepolcri saranno le loro case in eterno » (Salmo 49, 12). Allora sol n’uscirai, quando, nell’universal distruzione del mondo tutto, sarà ita anch’essa in rovina, benchè tu forse te la sii fabbricata di miglior marmo, che non è quello, dentro cui lasci riposare le ossa di più d’un Santo.
II.
Considera, che quantunque sia vero ciò che ho qui detto, con tutto ciò questa tua medesima casa, la sepoltura è una casa impropria. Non è la tua vera casa di eternità. Perchè là dentro non sarai tu, che vi vada, sarà il tuo cadavero; anzi neppur questo vi andrà, vi sarà portato. Laddove qui si dice: « Ibit homo in domum aeternitatis suae — L’uomo andrà nella casa di sua eternità ». Dunque la tua casa vera di eternità, o sarà il Paradiso, o sarà l’Inferno. Non ve n’è altra. Ma, oh che differentissime case! Mi sapresti tu dir qual sia per toccarti? Piaccia al Signore, che tu non abbia molta ragion di rispondermi: « Infernus domus mea est. — L’inferno è la mia casa » (Giobbe 17, 13),
III.
Considera, che almeno a te sta l’eleggere fin d’adesso quale a te piace: e però dice: «Ibit homo — L’uomo andrà », perchè ciascuno là va, dove vuol andare: Iddio non ti sforza: « Ecce do coram vobis viam vitae, et viam mortis — Ecco che io pongo dinanzi a voi la via della vita, e della morte » (Geremia 21, 8). Sarai però così stolto, che tu voglia piuttosto andare all’Inferno, che al Paradiso? Così non fosse. Quanto fai per dannarti, quanto stenti, quanto sopporti! Basterebbono talvolta a comperarti il Cielo la metà di quelle fatiche, le quali duri a guadagnarti l’Inferno. E non è vero, che molte volte lo vedi anche aperto dinanzi agli occhi, e tu per isfogar quella rabbia, quell’ambizione, quell’avarizia, quella libidine, ti vai pazzamente a cacciar tra le sue fauci, come fa appunto la donnola in bocca al rospo? « Deus mortem non fecit — Dio non ha fatta la morte », dice l’alto scrittore della Sapienza: «Impii autem manibus et verbis accersierunt illam. — Ma gli empii a sè la chiamarono e coi fatti e colle parole » (Sapienza 1, 16).Guarda che furor d’appigliarti alla dannazione! Non ti è bastante di aspettarla, la provochi. La provochi co’ fatti, la provochi con le parole. E rimira come. Di ragione quando si provoca uno, si fa prima colle parole, e dipoi co’ fatti. Ma gli empii provocando la dannazione, fanno al contrario, prima coi fatti, e poi colle parole : manibus et verbis, non « verbis et manibus — colle parole e coi fatti». Perché prima fanno opere degne di dannazione, e poi cominciano, per dir così, a farne beffe, a deriderla, a disprezzarla; nè temono talvolta ancor di risponderti: Se mi dannerò, faccia Dio. Faccia Dio? Se Dio ti danna, non farà se non quello, che tu vuoi fare. «Ibit homo — andrà l’uomo ».
IV.
Considera, che se tu entri in si rea casa una volta, non n’esci più: che però si nomina casa di eternità: Domus aeternitatis. Ma ti sei tu fisso giammai di proposito a ponderare ciò, che dir voglia un’eternità si penosa? Molte sono le vie. Ti propongo questa. Figurati, che avvampando tu nell’ Inferno fra tanto fuoco, il Signor chiamiti improvvisamente, e ti dica: orsù, sta pur lieto, ch’io ti voglio alla fine cavar di qui. Ma quando sarà, o Signore? Da qui ad un secolo? E’ poco. Da qui a dieci secoli? E’ poco. Da qui a venti secoli? E’ poco. Da qui a cento secoli? E’ poco. Da qui almeno a un milione? E’ poco anche questo. Te ne caverò, quando siano trascorsi già tanti secoli, quante furono tutte le goccie d’acque, che costituirono il Diluvio universale del mondo. Oh Dio ! che parrebbe a te di una nuova tale? Non ti verrebbe incontanente a languire quell’alto giubilo, che dapprima avevi conceputo? E pur è certo, che questa nuova sarebbe la più beata, che ogni dannato giammai potesse ricevere. Quando saranno trascorsi già tanti secoli, che corrispondano a quelle si innumerabili goccie d’acque minutissime, non sarà trascorso ancor niente. Passerà tutto quel numero, non una volta sola, ma mille, e poi mille, e poi mille, e poi di nuovo incessantemente altre mille. E pur la cosa è da capo. Terribile eternità! Chi può mai capirla? E nondimeno a te non par male di alcun rilievo il metterla a rischio? Tu senti orrore in pensare al fuoco, che piovè sopra di Sodoma. E pur ella andò finalmente ridotta in cenere dentro di un breve momento Subversa est in momento (Lamentazioni 4, 6). Che sarà dunque, quando non una pioggia, ma un diluvio di fuoco così peggiore ti cada addosso per tutti i secoli, senza che mai ti dilegui, senza che mai ti distrugga; anzi senza che in tanto tempo giammai ti porga un momento breve di pace? E pur è così. Non ci è al dannato più pace per tutti i secoli guerra, guerra: Et pluet super illum bellum suum (Giobbe 20, 23).
V.
Considera per contrario questa medesima eternità in Paradiso. Oh quanto è diversa! Quivi non sarà guerra, che piova in capo ai Beati: perpetua pace, perpetuo riso, perpetue ricreazioni, perpetua festa: Laetitia sempiterna super capita eorum (Isaia 35, 10): sicchè si andranno a poco a poco annegando in un soave naufragio di contentezza, senza che mai trovino fondo. Sol ti potrebbe parere, che dopo tanti gran milioni di secoli, e milioni, e milioni, dovesse finalmente la beatitudine stessa venire a tedio. Ma non è vero. Sempre sarà come nuova. Che però quando S. Giovanni la vide, disse che quivi i Beati tutti: « cantabant quasi canticum novum — cantavano quasi un cantico nuovo » (Apocalisse di Giovanni 14, 3). Non nuovo, perchè era sempre l’istesso di lode a Dio; ma quasi nuovo, perchè era sempre si giocondo, sì grato, si dilettevole, come se allor cominciasse. Da qui argomenta però, che strana beatitudine sarà quella, la quale sempre ti pasce, sempre ti piace, e mai non ti sazia. Una canzone di tre ore, per bella ch’ella sia, non può più patirsi, un convito, che duri un intero dì, una commedia, che duri una intera notte. E pure quella beatitudine è tanto cara, che allora non sarebbe più beatitudine, quando sorgesse sospetto, ch’ella dovesse cessare un momento solo, o pure alterarsi.
VI.
Considera, che sciocchezza è dunque la tua, mentre trattandosi di due case di eternità si diverse, quali sono il Paradiso, e l’Inferno, non procuri comperarti a qualunque costo quella, che è tanto migliore. Tu fai tanto per avere in terra una casa, la quale sia comoda, ariosa, allegra, di bella vista, benchè tu vi abbia da stare come a pigione; e non vuoi far niente per averla almeno tale colà, dove dovrai soggiornare per tutti i secoli? Ibiit homo in domum aeternitatis suae?. Nota frattanto, che l’eternità non è attribuita, con le presenti parole, all’abitazione, ma all’abitante; che però non dicesi: «Ibit homo in domum suam aeternitatis —L’ uomo andrà nella sua casa di eternità », ma « in domum eaternitatis suae — nella casa di sua eternità » ; perchè tu di qua venga a raccogliere totalmente la immortalità dell’anima umana. Se l’eternità fosse della casa, non si proverebbe con ciò, che tu fossi eterno; ma la eternità è propria tua, eaternitatis suae, e così chiaro apparisce, che sei immortale. Vero è, che quella non solo sarà la casa tua dell’eternità, ma sarà ancora casa di eternità tua; perchè l’una e l’altra forza hanno quelle voci : «Ibit in domum aeternitatis suae — andrà nella casa di sua eternità» e cosi vuol dirsi con ciò, che sei tu eterno, che la casa è eterna, e che vi avrai da abitare anche eternamente.