FEBBRAIO
XXVIII. GIORNO
Sopra le avversità.
« Omne gaudium existimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis.— Stimate, fratelli miei, ogni gaudio le varie avversità, nelle quali incorrerete » (Lettera di Giacomo 1, 2).
I.
Considera la forma, con cui procedono innumerabili Cristiani, e stupisci. Dicono di tener per indubitato, che sulla terra la vera beatitudine è patir molto. E nondimeno dov’è tra loro chi mai sospenda qualche bel voto d’argento, o perchè ha perduta la vista, o perchè ha perduto l’udito? Chi è, che faccia un pellegrinaggio a Loreto, perchè ha ricevuta la sentenza contraria in qualche importantissima controversia? Chi dedica una Cappella, perchè egli è stato discacciato di Corte? Chi dota un Chiostro, perchè egli è stato digradato dal carico? Chi è che celebri con qualche sorta di festa l’anniversario di quel memorabile dì, nel quale gli succedè qualche alto disastro? Piuttosto quello si reputa un dì di lutto, non di trionfo. Ma come va questa cosa? Non può dirsi altro, se non che quella fede, la quale hanno oggi i Cristiani, è troppo calante: Diminutae sunt veritates a filiis hominum (Salmi 11). Corre ben ella, qual moneta di peso, ma non è tale, è scarsa, è scema: i figli degli uomini l’han tosata, mentre alla fede ereditata da quei loro maggiori, che « ibant gaudentes a conspectu Concilii — partivano giubilando dal cospetto del Concilio », che « gloriabantur in tribulationibus — si gloriavano nelle tribolazioni », che « gloriabantur in infirmitatibus — si gloriavano nelle infermità », che « gloriabantur in Cruce — si gloriavano nella Croce », hanno tolto il meglio ch’ell’abbia, ch’è l’esser anche la regola di operare. La regola di operare non è più la fede. E’ l’apprensione, è l’appetito, è ciò che unicamente soggiace ai sensi. E però dice in primo luogo S. Giacomo: « existimate — stimate », perchè qui non si ha da operare se non a forza di vigoroso intelletto. Se non ti aiuti a persuaderti il contrario di ciò che i sensi ti dettano, sei spedito. Governati da ciò che ti disse Cristo, il quale chiamò di bocca propria beato chi più patisce; governati da San Pietro, governati da S. Paolo, governati da ciò che la ragion vuole, ch’è, che l’avversità contenga « omne gaudium — ogni gaudio », e lascia dir ciò che vuole allo stolto Mondo.
II.
Considera, che il gaudio è del ben presente, e però le avversità si hanno da stimare « omne gaudium — ogni gaudio », perchè attualmente racchiudono tutti i beni. Ma quali sono? L’onesto, l’utile, il dilettevole. Qui si riducono tutti. Racchiudon l’onesto. I. Perchè ci rendono simili al nostro Cristo, facendo, che non portiam più « imaginem terreni —l’immagine del terreno », ch’è l’uomo vecchio, ma « imaginem coelestis — l’immagine del celeste », ch’è 1’uomo nuovo. II. Perchè tra gli uomini ci sollevan dal popolo, ci sollevan dalla plebe, tra cui non è chi sappia fare quell’atto, ch’è sol de’ grandi, ostentare le cicatrici: « Ego stigmata Domini Jesu in corpore meo porto. — Io porto le cicatrici del Signor Gesù Cristo nel mio corpo » (Lettera ai Galati 6, 17). III. Perchè ci sublimano sopra gli Angeli stessi, che non possono punto patir per Dio. Gli Angeli « sunt induti decore — sono vestiti di splendore », conforme a quello: « Omnis lapis pretiosus operimentum tuum — Sul tuo vestimento era ogni sorta di pietre preziose » (Ezechiele 28, 13); ma « non sunt induti fortitudine — non sono vestiti di fortezza », perchè le loro pietre preziose non furono lavorate a forza di scalpello, come le nostre. Sol di chi per Dio neppur teme incontrar la morte può dirsi in ogni rigore: «Fortitudo et decor indumentum ejus. — La fortezza e lo splendore è il suo vestito » (Proverbi 31, 25). Racchiudono l’utile. I. Perchè questo consiste in togliere il male, e in recare il bene. Ma le avversità ci tolgono il male, perchè ci fanno scontare i nostri peccati: e così con Purgatorio più mite ci tolgono il mal di pena. « Convertam manum meam ad te, et excoquam ad purum scoriam tuam. — Stenderò sopra di te la mia mano, e purificherò la tua scoria » (Isaia 1, 25). II. Perchè ci stirpano le radici de’ vizi, ch’è l’amor proprio, il quale ci fa operare più da ragazzi, che da sensati, e così ancora ci tolgono il mal di colpa: « Stultitia colligata est in corde pueri, et virga disciplinai fugabit eam. — La stoltezza sta legata al cuore del fanciullo e la verga della disciplina ne la scaccerà » (Proverbi 22, 15). Dall’altra parte poi ci recano il bene. I. Perchè ci recano il bene proprio degl’incipienti, mentre fanno, che le creature medesime in maltrattarci ci scaccino da se, e ci spingano a Dio : «Urgebantque Aegyptii populum de terra exire velociter. — E gli Egiziani pressavano il popolo ad uscir con prestezza dalla loro terra » (Esodo 12, 33). II. Perchè ci recano il bene de’ Proficienti, sì col perfezionarci l’intelletto a cui succede ciò, che al Tabernacolo antico, illuminato di notte, ombreggiato di giorno: Per diem, ch’è la prosperità, operiebat illud nubes, et per noctem, ch’è l’avversità, quasi species ignis: e sì col perfezionarci la volontà, la quale a guisa di vite allor più fruttifica in qualunque virtù, quando ella sia più potata. « Omnem palmitem qui fert fructum, purgabit eum, ut fructum plus afferat. — Rimonderà ogni tralcio che porta frutto, affinchè fruttifichi di vantaggio » (Vangelo di Giovanni 15, 2). III. Perchè ci recano il bene, che è proprio de’ Perfetti, mentre con arricchirci di meriti, ci rendono più disposti ad unirci a Dio con perfetta contemplazione: « Nequaquam Jacob appellabitur nomen tuum — Il tuo nome non sarà Giacobbe », così fu detto a Giacobbe dopo aver lottato; « sed Israel — ma Israele», cioè «videns Deum — che contempla Dio » (Genesi 32, 29). Racchiudono il dilettevole. I. Perchè sono indizio di esser predestinati, e così ci pascono colle speranze del premio: « Multo tempore non sinere peccatoribus ex sententia agere, sed statim ultiones adhibere, magni beneficii est indicium. — Il non permettere ai peccatori di seguire per lungo tempo i loro capricci, ma dar prontamente di mano al castigo, egli è indizio di gran beneficenza » (Secondo libro dei Maccabei 6, 13). « Magnum beneficium — gran beneficio » è quel della Predestinazione, « beneficium — beneficio », perchè totalmente è gratuito: « magnum — grande », perchè tutti gli altri son piccioli al par di quello. II. Perchè sono un segno di quell’amore, che Dio porta all’anima ancora presentemente: « Quem diligit Dominus castigat. — Il Signore corregge quegli che ama » (Lettera agli Ebrei 12, 6). III. Perchè sono un segno di quell’amore, che presentemente anche l’anima porta a Dio: « Omni tempore diligit, qui amicus est, et frater in angustiis comprobatur. — Chi è amico, ama in ogni tempo, e il fratello si sperimenta nelle afflizioni » (Proverbi 17, 17). IV. Perchè Dio sa raddolcire con mille modi mirabili tutte queste amarezze per lui sofferte: « Sicut abundant passiones Christi in nobis, ita et per Christum abundat consolatio nostra. — Siccome abbondano sopra di noi i patimenti di Cristo, così pur è per mezzo di Cristo ridondante la nostra consolazione » (Seconda lettera ai Corinzi 1, 5). Vedi, che il conforto è proporzionato al patire, e però ben si dice per conclusione, che nelle avversità si trova « omne gaudium — ogni gaudio », mentre si ritrovano in esse tutti e tre i beni : onesto, utile, dilettevole, ristretti insieme in un fascetto di mirra: e se così è, nel giudicare di esse, non ti guidare dall’apprensione, non ti guidare dall’appetito; guidati dal discorso: « Existimate omne gaudium — Stimate ogni gaudio ». Non vedi tu, come a ponderar bene la cosa, non v’è altro su questa terra di più stimabile, che il patire?
III.
Considera, che tutti questi sì gran beni non vengono a chi una volta per accidente sopporta qualche tribulazione, ma a chi è per verità tribulato; che però non dice S. Giacomo: « Omne gaudium existimate, si in tentationem aliquam — Ogni gaudio stimate, se in qualche avversità », ma « si in tentationes varias incideritis — se in varie avversità cadrete » : dal che ammaestrati i Santi chiedevano a Dio, che non gli alleggerisse di una Croce, se non gli caricava di un’altra. Anzi, se osservi queste Croci medesime, non solo hanno ad essere molte, ma ancora varie, perchè taluno si saprà accomodare all’infermità, ma non si saprà accomodare alla umiliazione: un altro si saprà accomodare all’umiliazione, ma non si saprà accomodare all’ infermità. Chi fa così, non verrà a provare « omne gaudium — ogni gaudio ». « Omne gaudium — ogni gaudio » verrà a provarsi da chi sa passar per tutte, ancorchè tra loro contrarie. « Transivimus per ignem, et aquam, et eduxisti nos in refrigerium. — Siam passati per il fuoco e per l’acqua, ma ci hai quindi condotti in luogo di ristoro » (Salmi 66, 12).
IV.
Considera, che qui S. Giacomo raccoglie tutte egualmente le avversità sotto nome di tentazioni per includere tanto quelle, che si chiamano probazioni, quanto quelle che si chiamano seduzioni. Le prime sono da Dio assolutamente volute, le seconde sono permesse; ma ancor queste, in quanto permesse, non altro sono alla fine, che tante prove, le quali Dio piglia di te, mentr’egli è quello, che dà al cane licenza di abbaiare bensì, ma non già di morderti, se non vuoi. E così, se tu queste ancora sopporti costantemente, hai da stimare in questo ancora « omne gaudium — ogni gaudio », per tutte e tre le ragioni di sopra addotte, non già in quanto incitano al male, perché sempre così sono da abborrirsi, ma in quanto sono a te materia di lotta, come le altre tribulazioni. Se non che queste sono tanto più profittevoli, quanto ancora ti tengono più umiliato, ch’è il fondamento di un sublime edifizio spirituale. « Infirmitas gravis sobriam facit animam. — Grave infermità rende umile l’uomo » (Ecclesiastico o Siracide 31, 2). Questa è l’infermità, che singolarmente può dirsi grave, la suggestione, perchè questa ha di sua natura dar morte all’anima, se non è soccorsa con forti medicamenti.
V.
Considera, che non hai da stimare queste tentazioni « omne gaudium — ogni gaudio », quando in esse ti poni da te medesimo, ma quando a sorte v’incorri, si in tentationes variar incideritis: perchè se si parla delle diaboliche, tu per tua parte le hai da sfuggire quanto puoi com’è manifesto: e se delle altre, comprese già da noi sotto nome di avversità, è vero, che tu le puoi procurare, ma non sempre ti fia spediente. Che però Davidde alle volte diceva: « Tribulationem, et dolorem inveni. — Trovai tribolazione e dolore » (Salmi 114, 3), alle volte: « Tribulatio, et angustia invenerunt me. — Vennero a trovarmi la tribolazione e l’angustia » (Salmo 143). Ma le buone assai non son quelle, che tu ti trovi (giacché queste sempre riesconti più leggiere, perché l’hai elette); sono quelle, che vengono a trovar te. Queste sì che si sentono grandemente, perché non vi è nulla di tuo. E però se osservi, tu vedi, che dove Davidde nelle prime provò dolore, nelle seconde ebbe angustia. Se tu ti porti virilmente anche in queste, allora sì che dovrai sortire « omne gaudium — ogni gaudio », mentre tu sai, che « probatio fidei patientiam operatur — lo sperimento della fede produce la pazienza », come segue a dire S. Giacomo: « Patientia autem opus perfectum habet. — La pazienza poi ha in sè ogni opera perfetta » (Lettera di Giacomo 1, 3, 4). Ma ciò si spiega nella meditazione seguente. Sicchè quando l’anno sia bisestile, tu la serbi al seguente dì, e quando ordinario, possa, se ti piace, congiungerla al dì presente.