AGOSTO
XXVIII. GIORNO
Sant’Agostino.
Doti del santo divino Amore.
« Ignis Domini in Sion, et Caminus ejus in Jerusalem.— In Sionne v’è il Fuoco del Signore, e in Gerusalemme il suo Camino » (Isaia 31, 9).
I.
Considera, che questo fuoco, di cui si parla, è l’Amor Divino, il quale è vero che si ritrova qui nella nostra Sionne, ch’ è la Chiesa militante, ma tuttavia non ha qui il suo Camino : il suo Camino, e Camino in vero accesissimo, è lassù nella sovrana Gerusalemme, è nella Chiesa trionfante : perchè lassù amasi Dio daddovero : noi a gran pena ci possiamo quaggiù dar vanto di amarlo. Contuttociò da queste parole profetiche si fa noto, che il nostro fuoco non è diverso nella sua spezie da quello del Paradiso; altrimenti, come osservò S. Tommaso, non si potrebbe dir fuoco di quel Camino : « Ignis Domini in Sion, et Caminus ejus in Jerusalem — In Sionne v’è il Fuoco del Signore, e in Gerusalemme il suo Camino ». Ma se non è diverso nella sua spezie, è sommamente inferior nella perfezione; come appunto fuoco, ch’è fuori del suo Camino, cioè fuori del luogo proprio. Però chi vuole che il suo Amor verso Dio sia qual dev’esser, ch’ha da fare? Ha da procurare, che quanto più sia possibile, si conformi a quel de’ Beati. Così fece Sant’Agostino. E però oh quanto il suo amore fu mai perfetto! Cinque son quelle doti, per cui, se ben riguardasi, l’Amor che portano i Beati a Dio, vince il nostro : e sono, ch’egli è puro, conoscibile, grande, inestinguibile, inalterabile. Chi però in esse procurerà d’imitarlo, avrà un fuoco ancor egli se non eguale, almen emolo a quello ch’è nel Camino di cui favellai, come l’ebbe Sant’Agostino. Prega il Signore, che se da te non sai giungere a capir bene le doti di sì bel fuoco, voglia mandartene almeno un saggio dall’alto. Così la prova supplirà per sè sola ad ogni discorso: « De excelso misit ignem in ossibus meis, et erudivit me. — Dall’alto mandò un fuoco nelle mie ossa, e mi ammaestrò » (Lamentazioni 1, 13).
II.
Considera la prima dote del fuoco di Paradiso, la quale si è, ch’egli è puro nella materia; perciocchè questa altro non è che Dio solo. I Beati aman Dio, e noi amiam Dio; ma i Beati non aman altro che Dio, e noi con Dio amiamo ancora noi stessi, se non sopra Dio, almeno insieme con Dio : e così il nostro fuoco riesce per tal mistura fuoco men nobile, come sarebbe un fuoco fatto di cinnamomo, e di bronchi. Qual è la materia di cui formasi il fuoco, tal è l’ardore: Secundum ligna silvae sic ignis exardescit (Ecclesiastico o Siracide 28, 12). E però il fuoco del Paradiso non può esser più nobile di quel ch’egli è, perchè siccome i Beati altro affatto non amano se non Dio, il piacer di Dio, la gloria di Dio: così fuor di Dio, neppur amano se medesimi, ma bensì amano in se medesimi Dio. Mercecchè l’Amor Divino viene in essi a distruggere ogni altro amore, tanto è possente: « Ignis consumens est — E’ fuoco che consuma ». Ecco però come tu abbia a purificar quell’Amor che porti a Dio : con amar lui solamente, sicchè fuor di lui tu direttamente non ami creatura alcuna, ma bensì in tutte ami lui. Fa bene chi le creature ama in Dio, perchè questo è amare i frutti nella sua pianta: ma meglio fa chi nelle stesse creature non ama se non che Dio, perchè questo è amare la pianta in ogni suo frutto. Chi fa così, ha fuoco puro, perchè lo nutre della materia più limpida che si trovi, la qual è Dio solo. E così fece in prima Sant’Agostino, il quale dacchè si diede ad amar Dio daddovero, non sapeva amar altro in tutte le creature, se non chi le aveva create: « Injuste amatur (così soleva egli dire) Injuste amatur, deserto illo, quidquid ab illo est. — Lui trascurato, ingiustamente si ama ciò che è da lui ».
III.
Considera la seconda dote ch’ha il fuoco del Paradiso, la qual si è, ch’egli è cognoscibilissimo nella forma. Perchè lassù, chi ama Dio, sa di amarlo, e mostra a tutti che l’ama: ond’è che non solo i cuori de’ Beati vennero da Ezechiele rassomigliati a’ carboni accesi, ma ancora i volti: « Aspectus eorum quasi carbonum ignis ardentium. — L’aspetto di quelli era come carboni ardenti di fuoco » (Ezechiele 1, 13). Per contrario qui il nostro fuoco non solamente è occulto a quei che ci veggono; ma è occulto sino a noi stessi, che pure continuamente l’abbiamo in seno, mentre amiam Dio, ma non siam certi al tempo stesso di amarlo : tanta è la cenere che ricuopre un tal fuoco, o per dir meglio, l’opprime. Vero è, che se il nostro fuoco non è cognoscibile in se medesimo, come quello ch’è nel Camin di Gerusalemme, non lascia però di darsi sufficientemente a conoscere ne’ suoi effetti. Ond’è, che a lungo andare ben si viene anche a discernere sulla Terra chi sien que’ giusti, che amano Dio daddovero. E però ecco ciò che a te si conviene, perchè il tuo fuoco, più che si può, si somigli ancora nel chiarore a quel de’ Beati. Non hai da tenerlo a bello studio celato dentro il cuor tuo, quasi che ti rechi a vergogna di essere fra’ tuoi pari riconosciuto per un di quei che professano di amar Dio. Anzi se non puoi far manifesto che l’ami, fa manifesto che professi di amarlo, con superar tanti vani rispetti umani che da ciò ti ritardano. Sant’Agostino appena ebbe dato il suo cuore a Dio, che si mise in battaglia aperta contra tutti i nimici d’esso per ispiantarli, contra i Manichei, contra i Pelagiani, contra i Priscillianisti, contra gli Ariani, e contra innumerabili altri; nè sopportò che ‘I fuoco suo stesse chiuso nel suo paese d’Ippona, come in un piccolo cantoncino del Mondo, ma ne fe’ volare le vampe per tutta l’Africa.
IV.
Considera la terza dote ch’ha il fuoco del Paradiso, la qual si è, ch’è grandissimo in quantità: laddove il nostro è si. scarso, che a par di quello è come il fuoco di un piccolo foconcino, paragonato a quello di un Mongibello. Nè è maraviglia : perchè l’Amor di Dio si conforma alla cognizione. Qui conosciamo Dio solo in parte: Nunc ex parte cognoscimus, e però ancora solo in parte lo amiamo. Lassù verremo a conoscerlo pienamente, e però pienamente ancor l’ameremo: « Cum venerit quod perfectum est, evacuabitur quod ex parte est. — Venuto che sia quello che è perfetto, sarà rimosso quello che è imperfetto » (Prima lettera ai Corinzi 13, 10). Tu che hai trattanto da fare, per amare in Terra il tuo Dio più che sia possibile? Procura, più che in Terra ancor sia possibile, di conoscerlo, come fece Sant’Agostino. Pensa all’altezza de’ suoi attributi, contemplali, considerali, leggili; prega il Signore, che si degni manifestarsi anche agli occhi tuoi, come fa bene spesso agli occhi di quei che lo servono fedelmente. Ma se tu nulla poni di studio in conoscerlo, qual maraviglia si è, che sì poco l’ami? « In meditatione mea exardescet ignis. — Meditando divamperò d’amore » (Salmo 39, 4). Questa forse fu la ragione principalissima, per cui Sant’Agostino amò Dio con la volontà più di tanti e di tanti Santi, che lo amarono anch’essi, ma non al pari; perchè più sempre si affaticò di conoscerlo con la mente.
V.
Considera la quarta dote ch’ha il fuoco del Paradiso, la qual si è, ch’egli è inestinguibile nell’ardore; perchè appunto egli è fuoco nel suo Camino. Non così il nostro, che ogni tratto si estingue, e ciò per due capi : ora perchè è privo di alito, ora perchè è sopraffatto dall’acque. L’alito sono gli aiuti spirituali, di cui qui siamo necessitati a valerci di tempo in tempo per avvivarlo. L’acque sono le carnali concupiscenze, che sempre tendono ad ismorzar questo fuoco, come il maggior nimico ch’esse abbiano in sulla Terra. Ed oh così bene spesso non prevalessero! Ma in Cielo questi due mali non hanno luogo : e però quivi il fuoco sarà sicuro di ardere eternamente. Non v’han luogo le inondazioni, perchè la carne ivi sarà non solo soggetta allo spirito, ma conforme: nè v’ha luogo bisogno alcuno di aiuti spirituali, perciocchè stando ivi il fuoco nella sua sfera, non avrà mestieri di mantice come in Terra. Tu, che sai bene quanto il tuo fuoco sia disposto ad estinguersi, ch’hai da fare, se non che procurar di tenerlo vivo a qualunque costo? Così il tuo fuoco sarà simile a quel de’ Beati in Cielo, perchè sarà fuoco eterno; qual si può dire che sulla Terra fu quel di Santo Agostino, il qual dacchè l’ebbe vivo nel cuore la prima volta, non lasciò che si morisse, sì per lo studio, ch’egli pose in reprimere le carnali concupiscenze, da cui prima era dominato; e sì per i sommi aiuti spirituali, di cui di vantaggio si valse : « Ignis in altare semper ardebit. — Sempre sull’altare arderà il fuoco » (Levitico 6, 12).
VI.
Considera la quinta dote ch’ha il fuoco del Paradiso, la qual si è, ch’egli è fuoco non solo inestinguibile nell’ardore, ma saldo, stabile, fermo, nè più soggetto, come il nostro, ora a crescere, ora a calare, perchè siccome egli è fuoco nella sua sfera, così è quietissimo. Il nostro è inquieto, perchè egli anela alla sfera, e così ancora egli trovasi sempre in moto; in moto, perchè si muove, e in moto, perchè egli è mosso. Qui l’amor Divino deve avere ragion di merito, non di premio, e conseguentemente è necessario che qui sempre egli muovasi ad operar, nè mai si quieti : « Ignis, finchè è quaggiù, nunquam dicit: sufficit. — Il fuoco non dice mai : basta » (Proverbio 30, 16). In Cielo ha per contrario ragione di premio, non l’ha di merito, e così quivi non opera, ma riposa dall’operato, e solo attende a godersi l’amato bene. Di più qui ha molti, che facilmente il rimuovono dal suo stato, e così lo muovono. In Cielo non ha veruno che lo disturbi. Tu giacchè sulla Terra nè ti puoi mai promettere un amor tale, nè te lo devi promettere, procura almeno (come pur in ultimo fece Sant’Agostino) ch’ egli non abbia altro moto, che il naturale del fuoco, ch’è andare all’alto con aspirazioni perpetue.
VII.
Considera, che a questo Camino di Gerusalemme v’ è il Camino opposto, ch’è quello di Babilonia, dove i tre fanciulli, che figuravano i Giusti, rimasero tutti illesi; ma i Caldei, che figuravano gli empi, avvamparono come paglie. Questo Camino è quello dell’amor proprio, amore opposto al Divino; e questo è quello da cui ciascuno de’ miseri cava fuoco, benchè diverso, secondo la varietà di quei beni falsi, ch’essi amano più di Dio. Se però vedrai ben tutti questi fuochi, ritroverai, che finalmente si riducono a tre, di stabbio, di sarmenti, di legna morte. Il primo è quello de’ lussuriosi, il secondo è quello degli ambiziosi, il terzo è quello degli avari. I lussuriosi amano più di Dio le loro sozze brutalità, e però il fuoco di questi è fuoco di stabbio: fuoco che tanto infetta chi l’ha nel seno, quanto il riscalda, e che privo d’ogni splendore non serve ad altro, che ad ammorbare tutti i vicini col puzzo. Gli ambiziosi amano più di Dio la lor gloria vana, e però il fuoco di questi è fuoco di sarmenti: fuoco, che fa bella apparenza, ma poco dura : « Transivi et ecce non erat. — Passai ed ei più non era » (Salmo 37, 36). Gli avari amano più di Dio quel danaro che serbano chiuso in cassa : e però il fuoco di questi si può dir che sia fuoco di legna morte: fuoco che dura un pezzo, ma a nulla vale. Pare a te però che il Camino di Babilonia sia da preferirsi al Camino di Gerusalemme? Aimè, che da quello di Babilonia non altro si può far, che passare a quel dell’Inferno, dove chiunque arde, arde di un fuoco, che non è più di amore, ma di furore, furore contro Dio, furore contra i diavoli, furore contra i dannati, furore contra se stesso ! E in tal furore finalmente degenera l’amor proprio. Chi in questo mondo amerà Dio più di sè, non cambierà per tutti i secoli amore (perchè il suo fuoco è il medesimo con quello del Camino di Gerusalemme); ma verrà solamente a perfezionarlo, sicchè non abbia nulla più di penante, ma sia beato. Chi ama sè più di Dio, cambierà l’amore in furore di tal maniera, che tante volte maledirà la sua sorte, quante si ricorderà d’esser nato.