La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XXVII. GIORNO

Sopra le parole « Sed libera nos a malo. amen ».

« Sed libera nos a malo. Amen. — Ma liberaci dal male. Così sia ».

 

I.

Considera come nelle due ultime petizioni precorse a questa, non abbiamo altro fatto, che supplicare il nostro Padre Celeste a liberarci dal male, che però son dagl’interpreti dette anch’esse deprecazioni, quanto sia la presente: differendo in ciò le precazioni dalle deprecazioni, che le precazioni sono ordinate al conseguimento del bene, e le deprecazioni al divertimento del male. « Exaudi orationem meam, Domine, et deprecationem meam — Esaudisci la mia preghiera, o Signore, e la mia deprecazione » (Salmo 39, 13), « orationem pro bonis, deprecationem a malis — la preghiera per conseguire il bene, la deprecazione per allontanare il male ». Col dire: « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti », chiedemmo d’esser prosciolti da’ peccati passati, e dalle pene, in cui per cagion loro eravamo incorsi. Col dire: « Et ne nos inducas in tentationem — E non ci indurre in tentazione », chiedemmo d’esser preservati da’ peccati futuri, e dalle pene, in cui per loro cagion potevamo incorrere. Che riman dunque col soggiugnere a Dio: « Sed libera nos a malo —Ma liberaci dal male », come nulla di ciò gli si fosse chiesto? Rimane il dir tanto più, quanto se dicessimo: « Sed libera nos ab omni malo — Ma liberaci da ogni male ». Perciocchè oltre la liberazione da’ peccati, e dalle pene, che corrispondono ad essi, rimane a chiedere la liberazione altresì da più altri mali, detti da noi temporali, a cui, come a tanti triti vivono in questa vita soggetti eziandio coloro, che son per l’integrità, quasi terra vergine: mali sicuramente, che sono ai triboli pari, non pure nell’afflizione, ma ancor nel numero: mentre altri son di natura, come le ignoranze, e le infermità: altri di consiglio, come le persecuzioni private, che noi patiamo, le sedizioni, le scisme, e le guerre pubbliche; ed altri, secondo il parlar nostro, di caso, come gl’incendi, le innondazioni, i fallimenti, le tempeste, i tremuoti, le carestie, e più altri simili, da cui il nostro buon Padre ama liberarci, affinchè virgulti sì rei non sopraffacciano di maniera il cuor nostro, che impediscano di dar frutto, che vaglia, ad onor Divino : ma ama di liberarcene d’ordinario in virtù delle nostre istanze : « Si conversus Populus mens deprecatus me fuerit etc. ego exaudiam de Coelo, et sanabo terram eorum — Se il Popol mio convertitosi mi pregherà ecc. io dal Cielo gli esaudirò, e da’ suoi mali libererò il loro paese » (Primo libro delle Cronache 7, 14), ond’è che tante preci son dalla Chiesa costituite a tal fine ogni dì dell’anno. E così in sostanza queste tre ultime petizioni risguardano l’altre tre, precedute immediatamente, per chiedere tutto ciò che a noi sia di bene. Con dir a Dio che ci rimetta i nostri debiti dimandiamo d’esser liberati da ciò che si oppone immediatamente alla consecuzione della nostra eredità, cioè della beatitudine celestiale, che sono i peccati, e le pene di cui siam rei. E però questa petizione : « Dimitte nobis debita nostra — Rimettici i nostri debiti », risguarda quella, « Adveniat Regnum tuum —Venga il tuo Regno ». Con dire a Dio che non c’induca in tentazione, dimandiamo d’esser liberati da ciò, che c’ impedisce immediatamente il fare la volontà del Signore, e l’amare che in noi sia fatta, che son quelle tentazioni, a cui prevede il Signore che cederemmo, se da lui fosse permesso che ci assalissero. E però questa petizione : « Et ne nos inducas in tentationem — E non ci indurre in tentazione », rimira quella « Fiat voluntas tua — Sia fatta la tua volontà ». E con dire finalmente a Dio, che ci liberi d’ogni male, dimandiam d’esser liberati da ciò che si attraversa alla somministrazione del nostro quotidiano sostentamento, tanto spirituale, quanto temporale, che sono le innumerabili traversie, alle quali giace soggetta la vita umana. E però questa petizione : « Sed libera nos a malo — Ma liberaci dal male » corrisponde a quella: « Panem nostrum quotidianum da nobis hodie — Dacci oggi il nostro pane quotidiano ». Se pure tu non vuoi dir che questa ultima petizione sia come un epilogo di tutte le precedenti. Sicchè tanto sia qui dire a Dio : « Sed libera nos a malo  Ma liberaci dal male » ; quanto dirgli tacitamente, che ci conceda ogni bene, che gli abbiam chiesto con le petizioni passate, e che non voglia lasciarci piuttosto incorrere, come a noi si dovrebbe, nel male opposto. Quindi è, ch’è giusto, qual volta si dice a Dio : « Sed libera nos a malo — Ma liberaci dal male », far questo priego con una somma umiltà, conoscendosi meritevole, non d’un solo male, o d’un altro, ma d’ogni male, e d’ogni mal, come male.

II.

Considera come ristrignendosi questa petizione a que’ soli mali o di natura, o di consiglio, o di caso, a’ quali abbiam detto che tutti vivono in questa vita soggetti anche i più innocenti (che pare l’interpretazione miglior di ogni altra) non ti dei credere, che Dio da essi ci liberi solamente con far sì, che non ci assaliscano, come si dice in ispecie che liberò l’innocente Lot dalla sovversione apprestata alle terre infami : « Liberavit Lot de subve.rsione Urbium in quibus habitaverat. — Liberò Lot dallo sterminio di quelle Città nelle quali questo aveva dimorato » (Genesi 19, 29). Una liberazion qual è questa, ch’è la totale, non può ottenersi sulla nostra valle di lagrime, da qualunque sorta di male. Onde se tu a questa anelassi allor clic tu dici : « Sed libera nos a inalo — Ma liberaci dal male », dimanderesti brevemente di andartene in Paradiso, dove non vi è nè fame, nè sete, nè sonno, nè male alcuno, non solamente di consiglio, o di caso, ma neppur di mera natura : « Ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis. — Il mondo intero sarà reso libero dalla servitù della corruzione » (Lettera ai Romani 8, 21). Se però vuoi chiedere una liberazione del male qual si conviene alla nostra misera vita, dove si sta per guadagnarsi la gloria co’ patimenti, non chiedere questa sola, ch’è la totale; ma chiedi quella che il Signore ama più secondéo la sua sapientissima Provvidenza. Conciossiachè credi forse che egli altri modi non abbia di liberarci, se non quell’uno, ch’è il meno a noi convenevole? Anzi ne ha tre altri più nobili ancor di questo. Il primo è mitigando il male con quelle consolazioni, che lo fan sopportar con facilità. E così fe’ con Giacobbe, a cui fuggiasco già dall’ ira fraterna, apparve Iddio tante volte per confortarlo con promesse magnifiche, e gli fe’ in sogno veder fino il Cielo aperto. Il secondo è contraccambiando quel male con altri beni, i quali lo contrappesano. E così fe’ con Daniele, a cui nella sua dolorosa cattività fe’ incontrar la grazia al cospetto di que’ Monarchi, i quali lo ritenevano prigioniere. Il terzo è cambiando quel mal medesimo in ben maggiore. E così fe’ con Giuseppe, a cui la sua vendita divenne la sua ventura. Quando qui però dici a Dio : « Sed libera nos a malo —Ma liberaci dal male », non gli hai, per dir così, da volere legar le mani con dirgli assolutamente, che non ti mandi la tal sorta di male in particolare, perchè tu ignori quello che a te torni meglio :  « Memento quod ignores opus ejus. — Ricordati che tu l’opera di lui non comprendi » (Giobbe 36, 24); ma gli hai da dir solamente, che te ne liberi in quella forma, eh’ egli vede più convenevole alla sua gloria. Se perciò egli ti vuole affatto liberar da un tal male, con lasciar di mandartelo interamente; sia benedetto : « Confilebor nomini tuo, quoniam liberasti me a rugientibus, praeparatis ad escam. — Grazie renderò al nome tuo, poichè mi liberasti dai leoni che ruggivano, pronti a divorare » (Ecclesiastico o Siracide 51, 4). Se non vuol far ciò, te ne liberi in quella forma, che a lui par giusta : « In justitia tua libera me. — Salvami tu, che sei giusto » (Salmo 31, 2). Può consolarti in quel male di tal maniera, che tu appena sentalo; come fu di Giacobbe. E ciò è levare al male la sua afflizione : « Superabundo gaudio in omni tribulatione mea. — Sono inondato dall’allegrezza in mezzo a tutte le mie tribolazioni » (Seconda lettera ai Corinzi 7, 4). Può contrappesartelo con altri beni equivalenti, che il facciano dimenticare, o disprezzar, quasi nullo, come fe’ con Daniele. E ciò è levare al male la sua afflizione, e ‘l suo pregiudizio : « In paucis vexati, in multis bene disponentur. — Per poche afflizioni, di molti beni saran messi a parte » (Sapienza 3, 5). E ti può convertire quel male in bene, come fe’ con Giuseppe, ch’è l’arte propria della sua Divina Sapienza, con la quale fa, che l’afflizione stessa ridondi in gaudio, e ‘l pregiudizio stesso ritorni in utilità: « Vos cogitastis de me malum, sed Deus vertit illud in bonum — Voi faceste cattivi disegni contro di me, ma Dio li convertì in bene » (Genesi 50, 20), però qui osserva come si ha da parlare a Dio. Non si dee dire: « libera nos a tributatione — liberaci dalle tribolazioni »; ma « libera nos a malo — liberaci dal male », perchè la tribolazione si cambia spesso in un bene maggiore assai di quel che sarebbe puramente il non essere tribolato, e posto ciò non ti torna conto di dirgli, che ti liberi dalla tale tribolazion, che tu non vorresti; ma che ti liberi unicamente dal male : « Dominus custodit te ab omni malo — Il Signore ti libera da ogni male » (Salmo 121, 7), altrimenti tu corri rischio di far come coloro, i quali scioccamente confondono il mal col bene, e il ben col male : « Va qui dicitis malum bonum, et bonum malum. — Guai a voi, che dite male il bene, e bene il male ! » (Isaia 5, 20). Nel resto devi ricordarti che il sommo bene, il qual si cava da’ mali di questa terra, è l’avvezzarsi a saperli portar con pace : « Tribulatio patientiam operatur. — La tribolazione produce la pazienza » (Lettera ai Romani 5, 3). E però quando Iddio, nel mal che tu provi, concedati questo bene, non cercar altro. Con questo solo si può già dir che sei libero d’ogni male.

III.

Considera come facendosi in questa sagra Orazione Dominicale dimande all’eterno Padre così elevate, parea ch’ella di ragione si dovesse terminar con la clausula sì usitata eh’ è nella Chiesa : « Per Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum — Per il nostro Signor Gesù Cristo, vostro Figliuolo » : e non con quella di un semplicissimo « Amen — Così sia », che non le può dare tal forza, qual le darìa l’altra, in cui s’interpongono la memoria ed i meriti di Gesù, per rendere l’Orazione a Dio più gradita. Ma Gesù stesso, il qual formò di sua bocca tal Orazione, dispose altramente. Dispose, che si finisse con un solo « Amen — Così sia ». Né ti stupire: prima, perchè essendo egli solito di recitare assai spesso tal Orazione, in compagnia degli Apostoli, ad alta voce (come piace a molti Dottori) non parea cosa sì con forme al costume, ch’egli nominasse ivi sè per intercessore di quello che addimandava al suo caro Padre ancora per sè, benchè non per sè, come sè, ma per sè come Capo del Corpo mistico, ch’egli si degnò di formare co’ suoi Fedeli. Di poi, perchè il Padre conosce subito le parole, i sensi, lo stile, la dettatura di suo Figliuolo; e però era superfluo che da noi fosse rammemorato il Figliuolo in quelle dimande, che non sol per ordine di esso si fanno al Padre, ma con le forme anche d’esso. Più, potresti tu dubitare a qual fine Cristo facesse qui terminare la sua Orazione con la voce « Amen — Così sia ». Ma questo ancora non fu senza pio consiglio. E’ la voce Amen una voce Ebrea, ma feconda di tanti significati, che non è stata mai trasportata in latino per non potersene ritrovare in latino una equivalente. Tuttavia, per dir brevemente, quand’ ella è nel principio del favellare, ha forza di affermazione: che però tante volte solea dir Cristo, quand’egli imprendeva a trattar d’una verità di grande importanza: « Amen dico vobis — In verità vi dico »; il che non era un giurar, come crede il volgo, ma solo un asseverare. Quando poi ella non è in principio, ma in fine, allora ha due forze: l’una di confermar ciò che si è detto, di approvarlo, di accertarlo; e l’altra di mostrar oltre a ciò di desiderarlo. Così quando si leggevano anticamente le maledizioni fulminate contro i trasgressori de’ divini precetti, si doveva dal popolo raunato a ciascuna d’esse risponder : Amen; e quando si leggevano le benedizioni donate agli osservatori, dovevasi parimente risponder : Amen. Quando rispondevasi Amen alle maledizioni, s’intendea di confermarle, di approvarle, e di accettarle a voce concorde. Quando rispondevasi Amen alle benedizioni, s’intendeva oltre a ciò di desiderarle, che però sta scritto nel Salmo: « Benedictus Dominus Deus Israel, a seculo, et usque in saeculum — Benedetto il Signore Dio d’Israele ab eterno, e in eterno » : e dipoi segue : « et dicet omnis populus: fiat, fiat — e dirà tutto il popolo: così sia, così sia », cioè Amen, Amen, come sta nell’Ebreo (Salmo 106, 48). Il che non è altro ch’esprimere un desiderio di ciò, più che vivo, più che veemente, qual fu già quello, il quale espresse il gran Vescovo S. Cipriano, quando in udire la sentenza di morte promulgata a voce alta contro di lui, qual adoratore di Cristo, non altro fe’, che a voce alta ancor egli rispondere: « Amen. — Così sia ». Ma oh che Amen fu quello di gran valore! Quando però noi diciamo Amen in fine del Pater noster, che vogliam dire? Vogliamo dire: « Ita fiat. —Sia così ». « Impleat Dominus omnes petitiones nostras. — Adempia il Signore tutte le nostre richieste » (Salmo 20, 7). E però vale anche in ultimo una tal voce a raccogliere il nostro spirito, sicché se in alcuna di quelle sette petizioni, portate dinanzi a Dio, ci siamo a sorte di• vertiti, o distratti, suppliamo ad un tal difetto con questa clausola, la quale si deve intendere come aggiunta a ciascuna di esse in particolare, benché per non avere a ripeterla tante volte, ci contentiamo di metterla solo in fine come una soscrizione, o come un sigillo, su tutte insieme. E tu ne fai sì vil conto?

IV.

Considera, che un tale Amen serve anche per gl’idioti. Perchè quantunque non ci dovrebbe nella Chiesa esser mai nessuno tanto rustico e tanto rozzo, che non sapesse assai bene ciò che addimandasi in tutte le petizioni del Pater noster, contuttociò pur troppo ogni dì si trova. E però ciascun idiota, sapendo almeno in confuso, che quanto dalla Chiesa si chiede a Dio, tutto è ragionevolissimo con un tal Amen, unisce la sua intenzione a quei che sono di spirito più sublime, e più saggio, che non è il suo. E se ciò fa con viva fede, egli impetra ciò che addimandasi a par d’ogni altro, come impetra quel contadino, che non intende la forza del memoriale, ch’ei porge al Principe, ma sol protestagli di bramar vivamente, che quanto in esso gli ha fatto esporre dai pratici, e dai periti, gli sia concesso. E di qui è, che San Paolo comandò già, che le Orazioni pubbliche nella Chiesa non si facessero sotto voce, almen tutte, o con idiomi ignoti, e inintelligibili, affinchè i Ministri (i quali tengono il luogo degl’idioti) potessero incitarli con sicurezza a risponder, Amen. « Ceterum si benedixeris spiritu, qui supplet locum idiotae, quomodo dicet: Amen, super tuam benedictionem, quoniam quid dicas, nescit? — Dappoichè se tu renderai grazie con Io spirito, quegli che sta al posto dell’idiota, come risponderà egli : Amen, al tuo rendimento di grazie, mentre non intende quel che tu dici? » (Prima lettera ai Corinzi 14, 16). Nel resto non creder già, che ti sieno inutili quelle Orazioni approvate già nella Chiesa, le quali tu non intendi. Basta che sappi coi suoi Ministri dir Amen, ma di buon cuore. Non ti sono inutili a muover Dio: perchè, quantunque tu non intenda il valore di quelle gioie, che gli offerisci, come farebbe un discernitor peritissimo di perle, di ametisti, di agate, di diamanti; ben l’intende egli, e però parimente le gradirà, come gradisce i lor prieghi infin da’ bambini : « Ex ore infantium, Deus, et lactentium perfecisti laudem. — Dalla bocca de’ fanciulli e de’ bambini di latte, o Dio, tu hai ricavata perfetta lode » (Salmo 9, 3). E non ti sono nemmeno inutili a spaventare i demoni, come a spaventare i serpenti non sono inutili le parole, che dice ogni incantatore, con l’intenzion ricercata nell’incantesimo, benchè non ogni incantatore ne intenda all’istessa forma il significato.

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