La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

MARZO

XXVII. GIORNO

In che consista la vera Perfezione.

 

« In omnibus operibus tuis praecellens esto. — Fa con eccellenza tutte le tue opere » (Ecclesiastico o Siracide 33, 23).

 

I.

Considera, che qui alla fine si ha da ridurre tutta la tua perfezione: a far le azioni, che sono proprie di quella comunità, di quel grado, in cui Dio ti ha posto, ma farle eccellentemente: In omnibus operibus tuis praecellens esto. Tu ti lasci tosto invaghire di quelle azioni, che non appartengono a te, e ti pare, che se tu fossi in quell’altro stato, faresti ancora tu cose esimie, cose eminenti, e ti riuscirebbe arrivare alla santità. Ma chi te l’ha detto? La tua superbia. « Ne erigas oculos tuos ad opes, quas non potes habere. — Non alzare gli occhi alle ricchezze che aver non puoi » (Proverbio 23, 5). Perchè in cambio di conseguir le altrui ricchezze, perderai le proprie, da cui frattanto alzi gli occhi. Quali sono quelle opere, le quali è certo che Dio ricerca da te? Son le opere del tuo officio. Fino a tanto, che tu non ti risolvi ad usare in queste, in operibus tuis, tutta la tua diligenza; quelle altre benchè sì eccelse, alle quali aspiri, non ti fan santo: piuttosto vagliono a tenerti o inquieto, o ingannato.

II.

Considera, che la santità non consiste in far opere eccellenti, ma in farle eccellentemente. Però dice: In omnibus operibus tuis praecellens esto. Vedi tu, che la santità non si ricerca nelle opere, si ricerca nell’operante? Siano pure ignobili le opere, che a te spettano, sian triviali, sian tenui, non dubitare, basteranno a santificarti, purchè sian fatte con quella perfezione maggiore, che lor conviensi. Che fece mai di prodezze quella sì celebre donna chiamata forte? Uscì forse in campo qual Debora a scompigliare Eserciti armati? trafisse qualche Sisara, come Giaele? decollò qualche Oloferne, come Giuditta? Se ben si pondera tutte le sue bravure finiron in filar bene, Digiti ejus apprehenderunt fusum, in provvedersi di lana, in provvedersi di lino, in non lasciarsi di notte smorzar la lampana, Lucerna ejus non extinguetur in nocte. Contuttociò questo bastò a farla santa: fece bene l’uffizio suo, o per dir meglio, lo fece con eccellenza.

III.

Considera, che questa eccellenza non può ottenersi col semplice modo esterno, che tieni nell’operare, benchè perfetto: ci vuol l’interno. E però ad operar eccellentemente convien che tu procuri in. tutto una somma rettitudine d’intenzione, indirizzando quanto fai sempre a Dio, al maggior gusto di Dio, alla maggior gloria di Dio, nè mai più basso dev’essere il tuo bersaglio. Noi siamo stati tutti creati per Dio. Questo è il fine nostro: e però quando si va contro a questo fine, si fan cose inique; quando non si va a questo fine, si fanno inutili. Ti sei tu mai ritrovato su qualche grosso vascello in tempo di calma? Avrai veduto starsene i passeggieri tutti occupati in varii divertimenti a passare il tedio. Contuttociò, se dimandi loro, che facciano, ti rispondono tutti: perdiamo tempo. Ma come ciò, se frattanto giocano, cantano, cicalano, pescano? Si, ma perde tempo chi non va sempre al suo fine, e ‘l fine d’un navigante non è pescare, cicalare, cantare; è andare al suo porto. Oh quanto hai tu perduto spesso di tempo in tante opere da te fatte, perchè non le hai tutte sempre ordinate a Dio ! Le hai fatte per altri fini, se non biasimevoli, almeno umani. « Opera eorum, opera inutilia. — Le opere loro sono opere inutili » (Isaia 59, 6).

IV.

Considera, che indirizzata in tal modo l’opera tua, non hai da quietarti: Praecellens esto. Per renderla più eccellente, la devi unire, e con che? colle opere simiglianti, che Gesù fece. Queste sì che potranno a lei dar valore. Perchè finalmente fa quanto vuoi per te stesso, « Justitiae tuae quasi pannus menstruatae. — Quasi sucido panno sono le opere tue ». Mettiti pur addosso quanto a te piace di quelle robe, le quali sono proprie tue, sempre comparirai dinanzi al tuo Dio, non pur povero, ma cencioso. Che hai dunque a fare? Comparir sotto i begli abiti di Gesù: Induimini Dominum Jesum Christum (Lettera ai Romani 13, 14). Non è Gesù come Esaù, che ebbe a male, che Giacobbe si coprisse sotto i suoi panni. Ne gode infinitamente. E tu frattanto ti rubi una benedizione molto maggiore di quella, che toccherebbeti. Perchè subito che il Padre Celeste viene per tuo mezzo a sentire « vestimentorum illius fragrantiam — la fragranza delle vestimenta di lui », ch’è sì pura, ch’è sì perfetta, « sicut odor agri pleni — come l’odore di un campo ben fiorito » (Genesi 27, 27), non mira ad altro, ti stende le braccia al collo, ti accarezza, ti accoglie, e per quel diletto, che riceve da te, ti tratta da primogenito, ch’è quanto dire, ti arricchisce assai più di quello, che tu non meriti per te stesso, « Gratificat in dilecto Filio suo. — Ti rende a lui accetto nel diletto suo Figlio » (Lettera agli Efesini 1, 6). Oh che invenzione ammirabile, da farsi innocentemente tener da molto con quel d’altrui!

V.

Considera, che unita così l’azione, hai da passar oltre: Praecellens esto. L’hai da dilatare col desiderio di fare assai più per Dio, che non è quel poco, che fai. Se riduci un peccator compunto a’ suoi piedi, brama di potergli allo stesso modo condur tutto l’universo; se spargi sudori, brama di poter per lui spargere ancora il sangue; se soffri stenti, brama di poter per lui soffrire ancora strapazzi: « Longos fac funiculos tuos. — Allunga le tue funi » (Isaia 54, 2). Non sai tu quanto buono sia il Signore nostro? Fa al contrario degli uomini: paga la volontà al pari dell’opera. Ond’è, che gli ultimi lavoratori, venuti nella sua vigna all’undecima ora, furono nella mercede uguagliati ai primi, perchè, se più non avevano faticato, almeno avevano desiderato di farlo, e però erano quanto i primi comparsi fin di buon’ora sulla pubblica piazza co’ lor badili ad attendere la condotta. Mentre hai dunque a trattar con sì buon Signore, non ti racchiudere qual vil conchiglia nel guscio di quella semplice azione, che stai facendo: dilatala coll’affetto: « Dilata locum tentorii tui. — Prendi più ampio sito per le tue tende » (Isaia 54, 2), perchè tanto più sarà capace di merito. Se tu non meriti, se non a proporzione delle opere, che tu fai, meriterai molto poco. Bisogna, che tu insieme ti aiuti co’ desiderii, perchè siccome questi ti sono inutili, quando tu trascuri frattanto le azioni tue; così quando tu gli aggiungi ad esse, ti sono giovevolissimi. « Eamdem habentes remunerationem — Avendo la medesima rimunerazione », come se faceste quelle medesime opere che fo io, « dilatamini et vos — dilatatevi anche voi » (Seconda lettera ai Corinzi 6, 13), così dicea l’Apostolo ai suoi Corinti.

VI.

Considera, che neppur, dilatata così l’azione, hai da contentarti: va innanzi: Praecellens esto. E ciò sarà con raccomandare a Dio la tua medesima azione, affinché ti riesca senza difetti, o di vanità, o d’ impazienza, o d’ inconsiderazione, o di tedio. Chi può dir, quanto il nemico se ne sta sempre insidiando ogni ben, che fai? Però tu devi in ogni cosa invocare il Divino aiuto: che è ciò che tanto si commendava dai Padri antichi dell’Eremo: avere ognor sulla lingua quelle parole: « Deus in adjutorium meum intende. — Muoviti, o Dio, in mio soccorso » (Salmo 69, 2). Né darti a credere di poter mai essere a Dio molesto con questo spesso ricorso, che a lui farai. Anzi non gli potrai giammai dare maggior contento. Non sai tu, ch’egli è un amante, che va propriamente perduto dietro di te? Or questo è proprio di un grande amante: bramare di aver parte in ogni opera dell’amato, impacciarsi in tutto, ingerirsi in tutto, pigliar sopra di sè gli affari di questo, non altrimenti, che se fossero proprii. Se dunque tu vuoi dar gusto a chi tanto ti ama, addossa a lui tutte le opere, che tu fai. Dì, che se rie pigli esso cura: perchè tu da te non puoi farle, se non che tutte pienissime di difetti: « Domine ad adjuvandum me festina. Domine ad adjuvandum me respice. Adjuva me nullum aliud auxilium habentem visi te Domine. — Signore, affrettati a darmi aiuto. Signore, volgiti a darmi aiuto. Aiutami, o Signore, che io non ho altro aiuto se non te ».

VII.

Considera, che se in tutte le azioni tue, in omnibus operibus tuis, tu formerai questi quattro atti ora detti, d’indirizzarle, di unirle, di dilatarle, e di raccomandarle, le farai con piena eccellenza, praecellens eris; perchè più di questi quattro atti non pare, che possan convenire egualmente in qualunque azione, in omnibus. Laddove questi convengono tutti in tutte, come discorrendo per quelle, le quali spettano a te, tu potrai conoscere. Vero è, che da principio ti può sembrare difficile il praticarli frequentemente: ma non già se tu osserverai, che non tanto si hanno da praticare coll’intelletto, quanto col cuore. Questo è quel, che brama il Signore. «Quis est iste, qui applicet cor suum, ut appropinquet mihi? — Chi è costui che abbia fisso in cuor suo di accostarsi a me? » (Geremia 30, 21). Non dice « qui applicet intellectum — che abbia fisso nell’intelletto », dice « qui applicet cor — che abbia fisso nel cuore ». Se non ti dà però l’animo di vantaggio, fa in questo modo. Forma la mattina questi atti generalmente, sicchè cadano sopra di tutto ciò, che tu in quel giorno farai, e poi tra ‘1 giorno di mano in mano rinnovali, ma più particolarmente, quando hai da fare certe opere, se non altro più rilevanti. E così quanto più almeno ti sia possibile: « In operibus tuis priecellens esto — Fa con eccellenza le tue opere »: facendole nell’esterno con esattezza, nell’interno con eminenza di carità superiore a quella, che si usa comunemente, giacchè questo appunto è praecellere, è spiccar sopra la turba.

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