La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

XXVII. GIORNO

Come debba il Cristiano conformarsi col dettame della propria coscienza.

 

« Esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo: ne forte tradat te adversarius Judici, et Judex tradat te ministro, et in carcerem mittaris. Amen dico tibi, non exies inde, donec reddas novissimum quadrantem.— Acconsenti presto al tuo avversario, mentre sei per via con esso: affinchè non ti consegni forse al Giudice, e il Giudice ti dia in mano al ministro, e sii messo in carcere. In verità ti dico, non uscirai di là, finché non abbi soddisfatto sino all’ultimo picciolo » (Vangelo di Matteo 5, 25).

 

I.

Considera, chi nel miglior senso mistico sia quell’avversario, di cui, secondo l’intelligenza de’ Santi, favellasi in questo luogo. È il dettame della coscienza. E con questo, dice il Signore, ch’hai tu da fare quello che fai con un avversario potente, il quale ha qualche pretension giusta contro la tua persona. Non sei tu sollecito, mentre egli attualmente sta per condurti dinanzi al Giudice a dargli più che puoi la dovuta soddisfazione per via di composizione, di compromesso, o di sborso, che più lo appaghi? E così hai da far col dettame della coscienza. E per qual cagione? Per non esser poi condannato a pagar con tutto rigore quel debito da cui prima ti potevi liberar con incomodo assai minore. Se intenderai ben questa verità, non sarai sì facile a disprezzare tutto dì le sue istanze, benchè giustissime.

II.

Considera come questo dettame si dice avversario tuo, non perchè egli voglia il tuo male (giacchè in tal caso si sarebbe detto inimico), ma perchè contraddice alle tue voglie scorrette, facendo con esso te quell’uffizio, che fece l’Angelo con l’inconsiderato Balaam, quando gli disse: « Ego veni, ut adversarer tibi, quia perversa est via tua, mihique contraria. —Io son venuto per attraversarmi a te, perchè la tua via è perversa, e a me contraria » (Numeri 22, 32). Alle volte questo avversario ti vuole ritrar dal male, in cui tu trascorri: e alle volte ti vuole incitare al bene, a cui sei ritroso. Però nell’un caso, e nell’altro, ti avversa sempre, e così sempre è avversario, adversatur tibi. Ma che? per questo gli vorrai male alcuno? Anzi per questo lo devi amar maggiormente. Meglio è un amico, che avversa, che non è un nimico che adula: Meliora sunt vulnera diligentis, quam fraudulenta oscula odientis (Proverbio 27, 6). Nimico che ti adula è il fornite della concupiscenza; e a questo devi voler male. Amico che ti avversa è il dettame della coscienza; e a questo devi voler bene. Che se pure non vuoi che ti avversi più, e tu soddisfalo: « Tolle adversarium, et afflige inimicum. — Togli via l’avversario, e reprimi il nimico » (Ecclesiastico o Siracide 36, 9). « Tolle adversarium — Togli via l’avversario », con soddisfare al dettame della coscienza; « et afflige inimicum — e reprimi il nimico », con reprimere il fornite della concupiscenza.

III.

Considera come a questo avversario, dice il Signore, che tu hai da consentire nelle due cose ora dette; e nell’astenerti da quel male, da cui ti tira, e nell’eseguire quel bene, al quale ti stimola. Ma dice che hai da far presto: Esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo. Non dice « statim — tosto », perchè talvolta convien pigliare qualche poco di tempo a deliberare; ma dice « cito — presto », perchè non si perda tempo: potendo massimamente accader, che l’uomo si trovi al termine della vita, quando si figura di essere ancora al mezzo. Questa via è la vita mortale: Dirige in conspectu tuo viam meam (Salmo 6, 9) in cui questo avversario benevolo mai non lascia di accompagnarci. E che sarà, se egli non avrà in tempo ricevuta soddisfazione? Allora di avversario benevolo, qual egli è, si convertirà in avversario pur troppo pregiudiziale, in accusatore, in attore, che tal è il nome, che qui gli dà il testo greco. Che ti par dunque di te? Ha qualche giusta pretension di presente co’ fatti tuoi questo avversario ora detto? Che ti dice dentro il cuor tuo? V’è qualche bene, al quale indarno ti stimoli? Deh consentigli prestamente: Esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo: perchè « post viam — dopo la via » non ti dovrà giovar punto il dispiacer di non gli aver consentito. Dirà le cose giustissime come sono: « Omnia, quae arguuntur, a lumine manifestantur. — Tutte le cose che sono da riprovarsi, son messe in chiaro dalla luce » (Lettera agli Efesini 5, 13).

IV.

Considera quanto grave sarà il tuo danno, se non avrai consentito in tempo, com’eri tenuto a fare, a quest’avversario, mentre si dice, ch’egli ti consegnerà in mano del giudice. Questo Giudice è Gesù Cristo, chi non lo sa? E in mano ad esso questo avversario ti dovrà consegnare come accusator, come attore: perchè il dettame della coscienza sprezzato, sarà quello, che ti dovrà costituire dinanzi a Cristo a guisa di reo; nè solo costituirti, ma ancor convincerti assai più di quel, ch’altri faccia, di tal maniera che a lui più che ad altri si avrà riguardo nel giudicarti. Quindi non si dubita punto, ch’egli non abbia da riportar la sentenza a proprio favore. E però nota come qui si favella. Si dice : « ne forte adversarius tradat te Judici — affinchè l’avversario non ti consegni forse al Giudice », ma non si dice poi : « ne forte Judex tradat te Ministro — affinchè forse il Giudice non ti dia in mano al Ministro ». Si dice : « ne forte. adversarius tradat te Judici — affinchè l’avversario non ti consegni forse al Giudice », mettendo la cosa in forse, perchè può essere, che sul termine almeno della tua via abbi dato soddisfazione a questo avversario con un dolore tanto intimo, tanto intenso delle ripugnanze a lui usate, ch’egli non possa in virtù di ciò ritenere più alcuna pretensione sopra di te. Ma poi si dice assolutamente : « ne Judex tradat te Ministro — affinchè il Giudice non ti dia in mano al Ministro », perchè, come questo avversario si è convertito di accusatore in attore, ha vinta la causa; non se ne può dubitare. t certo, che il Giudice ti dovrà dare al ministro, cioè all’Angelo esecutore, ed è certo, che l’Angelo esecutore ti dovrà condur nella carcere a te dovuta. Non sarebbe pertanto un error gravissimo il non aver consentito opportunamente a questo avversario, a cui si dovrà portar rispetto sì grande in quell’inappellabile tribunale? « Esto consentiens, adunque, esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo, ne forte adversarius tradat te Judici, et Judex tradat te Ministro, et mittaris in carcerem — Acconsenti presto al tuo avversario finchè sei per via con esso, affinchè non ti consegni forse al Giudice, e il Giudice ti dia in mano al Ministro, e sii messo in carcere ».

V.

Considera qual sia questa carcere, della quale qui si ragiona. Ella è doppia : il Purgatorio, e l’Inferno. Una di queste indubitatamente dovrà toccarti secondo la qualità del delitto da te operato. Ma qualunque siasi, quivi ti converrà dare intera soddisfazione. Senti, che il Signore è, che giura : « Amen dico tibi, non exies inde donec reddas novissinium quadrantem — In verità ti dico, non uscirai di là finchè non abbi soddisfatto fino all’ultimo picciolo ». La particella « donec — finchè », alle volte animate termine, e significa ciò che dipoi verrà, com’è in quel luogo di Giob : « Expecto donec veniat immutatio mea. — Sto aspettando fìnchè venga il mio cangiamento » (Giobbe 14, 14). Alle volte non lo ammette, e significa ciò, che non verrà mai, com’è in quell’altro luogo pur dell’istesso: « Donec deficiam, non recedam ab innocentia mea — Finchè avrò vita, non lascierò la mia innocenza ». Ora, se tu andrai nel Purgatorio, n’uscirai bene, ma non già fin a tanto, che non avrai soddisfatto a tutto rigore: se andrai nell’Inferno, non ne uscirai per tutta l’eternità. Questo vuol dire nell’un caso, e nell’altro: Non exies iride, donec reddas novissimum quadrantem. Figurati di tenere in carcere a tua requisizione due debitori, uno ricco di capitale, ed uno fallito. Se tu dici al ricco : « Non exies inde donec reddas novissimum quadrantem — Non uscirai di là finché non abbi soddisfatto fino all’ultimo picciolo », tu gli dici, che uscirà di là, ma quando? Quando ti avrà soddisfatto con rigor sommo. Ma se tu ciò dici al fallito, tu gli dici, che di là non dovrà più uscire, perchè egli è affatto incapace di soddisfarti. L’istesso è nel caso nostro. Nel Purgatorio le anime sono in istato di poter soddisfare, perchè hanno capitale di grazia: nell’Inferno non sono: e così quelle si può dir, che sien ricche, queste fallite. Se però si dice a un’anima del Purgatorio : Non exies donec reddas novissimum quadrantem, se le dice, ch’ella uscirà dalla carcere, ma a suo costo. Ma se ciò si dice a un’anima dell’Inferno, se le dice, che dovrà star carcerata per tutti i secoli. Qualunque però sia quella pena, di cui qui trattasi, sia temporale, sia eterna, oh quanto sarà sempre maggior di quella, che tu avresti sofferta nel concordare col tuo avversario per via! Se dunque hai senno, concorda, non differire, che il tempo passa: Esto consentiens adversario tuo cito, dum es in via cum eo.

VI.

Considera, che alcuni vorrebbono concordare con questo avversario così potente: ma in qual maniera? con tirarlo alle voglie loro : perchè vorrebbono con palliati argomenti indurre a poco a poco il dettame della coscienza ad approvar ciò, che desidererebbe il loro appetito. Ma questo non si può fare. E per qual ragione? Perchè a te tocca di stare con esso lui, e non a lui di stare con esso te. Nota come parla il Signore : « Esto consentiens avversario tuo cito, dum es in via cum eo — Acconsenti presto al tuo avversario, mentre sei in via con esso ». Poteva egli dire ugualmente bene, « dum tecum ille est in via — mentre egli è teco in via », perchè tu hai il dettame della coscienza nell’intimo del cuor tuo. Ma non ha voluto dir così. Ha voluto dire : « dum es in via cum eo — mentre sei per via con esso », perchè tu intenda, che a te tocca di seguir lui, e a lui non tocca altrimenti di seguir te. Oh quante volte procuri di adescarlo, di aggirarlo, o almeno di acchetarlo, sicchè non gridi in ricordarti il tuo debito ! Folle te, se così procedi : « Qui declinat aures suas, ne audiat legem, oratio ejus erit execrabilis. — Chi chiude le sue orecchie per non ascoltare la legge, l’orazione di lui sarà in esecrazione » (Proverbio 28, 9). Se però non gioverà, che si raccomandi a Dio uno, che avvedutamente avrà divertite le orecchie per non udire il dettame della coscienza, tanto la sua orazione sarà esecrabile; che sarà di chi avrà procurato di farlo ancora tacere, con pervertirlo? Il rimorso di coscienza, ch’è quello propriamente, che grida poi che si è fatta l’operazione, può essere più negletto, massimamente da chi è di coscienza, o paurosa, o pusilla, per non dare in tal modo luogo agli scrupoli, ma il dettame ch’è quello, che grida innanzi, vuol essere sempre udito, almeno per pigliar agio a deliberare; e tanto più vuol essere ancora udito, quanto egli grida più forte, perchè allora è più chiaro segno, ch’egli ha ragione.

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