APRILE
XXVII. GIORNO
Sopra la dilezion de’ nemici.
« Ego dico vobis: Diligite inimicos vestros, benefacite his, qui oderunt vos. — Io vi dico: Amate i vostri nemici, e beneficate coloro che vi odiano » (Vangelo di Matteo 5, 44).
I.
Considera, che ti può apparire una cosa non solo dura, ma poco men che impossibile, l’amare chi ti vuol male, e il beneficarlo: Diligite inimicos vestros, benefacite his, qui oderunt vos; mercecchè la natura ti detta tutto il contrario. Ma non è vero. Se Cristo ti comandasse, che tu amassi chi ti vuol male, e che lo beneficassi per questo medesimo, perchè colui ti vuol male, avresti ragione. Ma non ti dice così, ti dice, che tu lo faccia, perchè egli te lo comanda: Ego dico vobis. E che non si può fare in grazia di Cristo? Non vedi tu, come in grazia sua sono giunti tanti milioni di martiri a saltar, sulle fiamme, a gioir tra i ferri, a giubilar tra le fiere? E ciò senza dubbio han fatto colla virtù, che somministrava loro la grazia. Ma tuttavia non han fatto cosa punto contraria all’istinto della natura: perchè la natura ci detta, che in grazia di un nostro Padre, in grazia di un nostro Principe, in grazia di un Benefattore sì alto, qual ci fu Cristo, andiamo lieti ad incontrare la morte. E però vedi, che Cristo ben potea dire senza offesa della natura: « Diligite inimicos vestros, benefacite his, qui oderunt vos — Amate i vostri nemici, beneficate coloro che vi odiano »; mentre egli innanzi avea premesso: « Ego dico — Io vi dico »; tanto più, che dando il precetto, è tenuto a somministrare ancora le forze per adempirlo, cioè la grazia; e la grazia non può trionfare della natura? « Omnia possum in eo, qui me confortat. — Tutto mi è possibile in lui, che è mio conforto » (Lettera ai Filippesi 4, 13). Nel resto qual precetto mai potea darsi più ragionevole? Fingiti, che a ciascuno sia lecita la sua privata vendetta: che fia del Mondo? Una boscaglia di fiere. Che scompigli, che sconcerti, che danni ne seguirebbero? Ma se vietasi la vendetta, è necessario, che si comandi l’amore, perchè odiare e non poter vendicarsi, è la pena più insopportabile de’ dannati.
II.
Considera, che quei che ti sono nimici, tutti t’odiano; ma quei che ti odiano, non ti son tutti nimici : nimici propriamente son quei che ti odiano apertamente: « Inimici mei dixerunt mala mihi. — I miei nimici dissero male a me » (Salmo 41, 6): non sol « de me — di me », ma ancor « mihi — a me ». Or posto ciò, mira con che celeste prudenza parlò il Signore, allorchè ti comandò, che tu amassi gl’inimiei, e beneficassi quei che t’odiano sì, ma non te lo mostrano, quali son quei, che a distinzion de’ nimici qui si contengono sotto questo vocabolo di odiatori. Il beneficare un odiatore scoperto, qual è il nimico, non sempre ti può riuscire, mentr’egli spesso sdegnerà il tuo benefizio, Io rifiuterà, lo rigetterà trattandoti con maniere ancora villane, quando vai per accarezzarlo : ma sempre ti può riuscire il portargli amore: e però Cristo disse: « Diligite inimicos vestros —Amate i vostri nimici ». Laddove uno, che ti odia, ma non te ‘l mostra, riceverà volentieri il tuo benefizio per questo istesso, per dissimulare più l’odio; e però quanto ad esso ti può riuscire non sol di amarlo, ma ancor di beneficarlo, e però disse Cristo: « Benefacite his, qui oderunt vos — Beneficate coloro che vi odiano ». Nel resto e devi amare egualmente ancora chi ti odia, e devi beneficare, potendo, chi t’è nimico. Ma Cristo ha voluto dire: « Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos —Amate i vostri nimici, beneficate coloro che vi odiano », per usar quella formola di comando, ch’è la più atta a levar a tutti ogni scusa.
III.
Considera, che sia ciò, che Cristo pretende, mentre t’impone, che tu ami il nimico per amor suo : Diligite inimicos vestros. Non pretende, che tu ami in lui quella mala volontà, quel mal tratto, quei mali termini che lo costituiscono tuo nimico; perchè ciò sarebbe un amare non solamente il vizioso, ma ancora il vizio. Pretende, che ami ciò, che in lui resta di buono, che è l’essere non pertanto prossimo tuo, benchè peccatore; e che amandolo come prossimo, lo ami per conseguenza come te stesso, desiderando ancora a lui cordialmente, e costantemente tutto quel bene vero, che a te desideri: Diliges proximum tuum, sicut te ipsum (Vangelo di Matteo 22, 39). Ma nota, che in due modi tu puoi voler questo bene ad uno: in generale, e in particolare. E’ però di precetto, che in generale tu voglia bene ancora al nimico, perchè quando a cagion d’esempio tu ori per tutti gli altri universalmente, non t’è lecito eccettuarlo: Latum mandatum tuum nimis (Salmo 119, 96). Il mandato della dilezione è sì ampio, che abbraccia tutti. Ma non è di precetto, che tu brami a lui detto bene in particolare, se non quando presentisi l’occorrenza. Cercare studiosamente questa occorrenza è sol di consiglio. Appresso, mentre Cristo pretende, che tu ami il nimico, pretende ancora, che tu dia segni di amarlo, altrimenti, che amor sarebbe il tuo? Quell’amor che Cristo ricerca tra Cristiani, sai tu qual è? è quell’amor che ci unisce come in un corpo. Ma a ciò l’amor interno non è bastevole, ci vuole ancor l’esterno. E non ha data egli a’ Cristiani per tessera propria loro l’amor reciproco? « In hoc cognoscent omnes, quia discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem. — Da questo conosceranno tutti, che siete miei discepoli, se vi amerete l’un l’altro » (Vangelo di Giovanni 13, 35). Or qual tessera saria quella, che tu venissi studiosamente a celare sotto il mantello? Bisogna, che tu la scuopra. Ma qui pur nota, che due sorta di segni ancora si trovano; alcuni comuni, alcuni speciali. I comuni, quali son quei, che tu usi agli altri per qualche ragion comune; al paesano, perchè è paesano; al parente, perchè è parente; al vicino, perchè è vicino, è di precetto, che gli usi ancora al nimico, il qual é compreso sotto quella universalità di patria, di parentado, di vicinanza, nè puoi lecitamente negarglieli sol per questo, perchè è nimico. I particolari, quali son quei, che tu usi agli altri per ragion di amicizia particolare, convivendo, conversando, o facendo altre cose tali, non sono di precetto, generalmente parlando, son di consiglio; se non quando negandoli in qualche caso ne risulti alcun grave scandalo. Or posto ciò, mira un poco in qual disposizione di spirito ti ritrovi tu che non sai per ventura depor dal cuore le tue amarezze, almeno perfettamente. Non dir, ch’hai perdonato: non lo dire, perchè ciò non è sufficiente, se non lo mostri. Fu pur Cristo medesimo, che ordinò che se tu in atto di offerirgli alcun dono sopra l’altare, ti ricordi di alcun livore col tuo fratello, lasci il dono, vada a riconciliarti col tuo fratello, e dipoi ritorni ad offerirgli il tuo dono: Relinque ibi munus tuum ante altare, et vade prius reconciliari fratri tuo (Vangelo di Matteo 5, 24). Adunque segno è, che non basta la riconciliazione interiore; perchè questa può farsi subito sull’altare offerendo il dono medesimo: è necessario di aggiungervi l’esteriore. E questo è ciò, che Cristo pretende, qualor ti dice: « Diligite inimicos vestros. — Amate i vostri nimici ». Vuol, che tu ami il nimico non solo coll’interno, ma coll’esterno, ch’è l’amor necessario tra i Cristiani. Il primo senza il secondo resti tra i Barbari.
IV.
Considera, che sia ciò, che Cristo parimente da te pretende, mentre t’impone il beneficare chi t’odia : Benefacite his, qui oderunt vos. Pretende, che la tua dilezione non sia, com’era quella pianta di fico, ch’egli già vide in un campo, bella, ma sterile. S’è così, la maledirà; perchè da’ Cristiani vuol frutti, e frutti ancora simili a quei, che pretese da quella pianta: vuol frutti fuor di stagione, cioè difficili. Se non gli ha, guai ad essi: li maledice. Ma quali nel nostro caso sono questi frutti? Sono due sorta di benefizi: uno negativo, uno positivo. Il negativo è non offendere, chi ci offese: « Dilectio proximi malum non operatur. — La dilezione del prossimo non permette che si faccia male » (Lettera ai Romani 13, 10). Il positivo è difenderlo, pregando Dio per lui, concedendogli perdono, concedendogli pace, e facendogli almen tutto quello di giovamento, che a noi non nuoce. E questo veramente è far benefizio: « Benefacite his, qui oderunt vos. — Beneficate coloro che vi odiano ». Solo avverti, che il negativo è di precetto, il positivo è di consiglio, salvo in quei casi, in cui saresti tenuto di fargli un tal benefizio, quando non ti fosse nimico. Allora tu, perchè egli è tuo nimico,. non puoi negarglielo: se glie lo neghi già gli rechi un’offesa, e così ti vendichi. Benchè a chi più volentieri, che al tuo nimico dovresti far benefizio? Questi sono i benefizi gloriosi, questi i giovevoli, questi i giocondi. Dissi i gloriosi; perchè se tu benefichi alcuno, che ti ami, che gloria grande è la tua? « Nonne et Ethnici hoc faciunt? — Non fan eglino altrettanto anche i Gentili? » (Vangelo di Matteo 5, 47). La gloria è imitar quel Padre celeste, « qui solem suum facit oriri super bonos, et malos. — il quale fa, che levisi il suo sole sopra i buoni, e sopra i cattivi » (Vangelo di Matteo 5, 45). Dissi i giovevoli; perchè nessun benefizio fatto a un amico, in parità d’altre circostanze, ti partorirà tanto merito, quanto quello fatto a un nimico. Dissi i giocondi; perchè nemmen alcun altro colmerà il tuo cuore di sì schietta consolazione. Così tu vieni, se non altro, ad uscire di mille impegni, di mille inquietudini, di mille infelicità; ond’è che questa legge ammirabile del perdono è fatta molto più a favore di chi lo dà, che non di chi lo riceve. Beato te se l’adempi perfettamente.
V.
Considera, che si può dubitar, qual sia maggior atto, amare chi ti vuol male, o beneficarlo: Diligere, an benefacere. E qui è cosa chiara, che se tu benefichi l’avversario per motivo di amore, che tu gli porti, maggior atto è il beneficarlo; perchè il beneficarlo include l’amarlo; ma, assolutamente parlando, più è amarlo, che non è beneficarlo; perché il beneficarlo si può fare per molti fini agevolissimi alla natura : per fasto, per politica, per prudenza, per interesse, e talvolta ancora per rabbia; ma l’amarlo non si può far, se non per amore, e per qual amore? per amor di un Dio, a cui siamo tanto obbligati, per quello che ci creò, per quello che ci conserva, per quello, ch’è arrivato a morire in Croce per noi. Però tu vedi, che nella legge vecchia si die’ precetto espresso di beneficenza al nimico, non si die’ di benevolenza. Si die’ di beneficenza, perché fu ordinato l’insegnargli la strada, l’alimentarlo, l’abbeverarlo, e fin l’aiutarlo a sollevar il giumento da terra: « Si videris asinum odientis te jacere sub onere, non pertransibis, sed sublevabis cum eo. — Se vedrai l’asino di colui che ti odia cadere sotto il peso, non tirerai di lungo; ma darai mano a lui per sollevarlo » (Esodo 23, 5). Ma non si die’ di benevolenza; perché fu detto bensì: « Non oderis fratrem tuum in corde tuo. — Non odierai il tuo fratello in cuor tuo » (Levitico 19, 17); ma non fu detto più oltre. Questa gloria di dire agli Uomini con termini coni espressi: « Diligite inimicos vestros — Amate i vostri nimici », fu riserbata tutta intera a Gesù: « Ego dico vobis — Io vi dico ». E questa forse fu la ragion principale, per la quale egli chiamò questo mandato della dilezione fraterna un mandato nuovo: « Mandatum novum do vobis. — Un nuovo mandato do a voi » (Vangelo di Giovanni 13, 34), non perché fosse nuovo nella sostanza, ma perchè era nuovo ne’ termini. Non si era per tutti i secoli udito dire: « Diligite inimicos vestros. — Amate i vostri nimici », mercecchè termini tali sarebbero stati termini spaventosi, quando non gli avea potuti ancora addolcire l’amor di Cristo.