La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XXV. GIORNO

Sopra le parole « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ».

«Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.— Come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore ».

 

I.

Considera, che se v’è cosa alcuna, nella quale un padre di numerosa famiglia ha d’aver premura, si è, che tutti i suoi figliuoli tra loro vivano in pace : « Ecce quam bonum, et quam jucundum habitare fratres in unum. — Oh quanto buona, e dolce cosa ella è, che i fratelli sieno insieme uniti ! » (Salmo 133, 1). Bonum, perchè è di giovamento; jucundum, perchè è di gioia. Altrimenti, dove la casa, con la pace ch’ell’ha, pare un Paradiso, tolta la pace, quasi a un girar di scena, si cambia subito di Paradiso in Inferno. Quindi è, che dove il nostro Padre Celeste è soddisfatto, che tutte l’altre petizioni comprese nel Pater noster, per ample, che giammai sieno, si presentino a noi senza condizione: in questa sola, con cui gli chiediamo la remission de’ peccati, ha fatto il contrario. Perchè vuol egli, che addimandiamo tal remissione bensì, ma con questo patto, di darla noi parimenti ai nostri fratelli : « Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. — Rimettici i nostri debiti, come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore ». Questa particella « sicut — come » non è qui pertanto addotta a Dio come regola di quella remissione, che da lui bramiamo. Altrimenti miseri noi! Troppo più son quei debiti, i quali egli rilascia a noi, di quei, che noi rilasciamo, o possiamo mai rilasciare ai prossimi nostri. Noi rilasciamo non più che cento danari, com’è nella bella parabola del Vangelo, ed ei ci rilascia fin a dieci mila talenti, il che vince ogni paragone. E poi quanto al inondo; Iddio rilascia i nostri debiti a noi con amore immenso, e noi a’ prossimi nostri con limitato; Iddio con prontezza, e noi con ritrosità; Iddio con piacere, e noi con ripugnanza; Iddio con tale animosità, che sprofondali in seno al mare, sicchè più non tornino a galla : « Projiciet in profundum maris omnia peccata nostra — Getterà tutti i nostri peccati nel profondo del mare » (Michea 7, 19); e noi con tal debolezza, che sempre restanci per così dir a fior d’acqua : tanto siamo difficili a perderne la memoria. Non è dunque un tal « sicut — come », portato a Dio da noi, come regola, ma sol come condizione; non però da adempirsi, ma già adempita, o che si adempie attualmente. Ond’è che non devi dire, « Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittemus debitoribus nostris — Rimettici i nostri debiti, come noi pure li rimetteremo a chi ci è debitore », ma « sicut dimittimus — come li rimettiamo », affinchè tu non faccia da truffatore, che se riceve la grazia innanzi di adempire la condizione, o non l’adempie, o va lento nell’adempirla. Che se pur vuoi ch’una tal particella « sicut — come » non sia sol condizione, ma ancora regola (come par che la intendano i più de’ Padri) non si dee stimar che sia regola di perfezione veruna, ma soltanto di proporzione. Non è regola di perfezione; perchè chi siam noi vermicciuoli della terra, che vogliamo dar a Dio legge intorno al modo di operar i suoi atti perfettamente? Dobbiamo noi pigliar da lui legge tale, non dobbiamo dargliela : « Estote perfetti, sicut et Pater vester Coelestis perfectus est. — Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro Celeste » (Vangelo di Matteo 5, 48). Ma è regola di proporzione, perchè a proporzione di quell’amor con cui noi perdoneremo a’ prossimi nostri, Iddio perdonerà pur a noi. Se noi non faremo nulla più di quello, a che siamo tenuti a tutto rigore, ch’è di perdonare l’ingiurie; così Dio farà pure a noi. Se noi oltre al perdonarle, le contraccambieremo di più con benefici straordinari, speciali, soprabbondanti, così Dio pur verso di noi si diporterà: « In qua mensura mensi fueritis, remetietur vobis. — Colla misura onde avrete misurato, sarà rimisurato a voi » (Vangelo di Matteo 7, 2). E però vedi, che parola è questa di « sicut — come », parola piccola è vero, ma di tal sugo, che a digerirla non sarebbe bastevole un giorno intero.

II.

Considera come questa particella « sicut — come » è qui giustissima, non ha dubbio. Contuttociò parea che bastasse di sottintenderla puramente qual patto tacito, quantunque non si esprimesse. Perchè, o si piglia qual condizione necessarissima, affine di ottenere perdon da Dio, e questa condizione era già stata abbastanza imposta da Cristo in quelle parole: « Cum stabitis ad orandurn dimittite, si aliquid habetis adversus aliquem, ut Pater vester, qui in Coelis est, dimittat et vobis peccata vestra. —Quando vi presenterete per orare, se avete qualche cosa contro di alcuno, perdonategli, affinchè il Padre vostro, che è ne’ Cieli, perdoni anch’esso a voi i vostri peccati » (Vangelo di Marco 11, 25). 0 si piglia qual regola di proporzione; e questa pure era già stata dal medesimo Cristo intimata appieno in quell’altro detto : « In quo judicio judicaveritis, judicabimini. — Secondo il vostro giudicare sarete voi giudicati » (Vangelo di Matteo 7, 2). A che serviva mai dunque voler di più, che una simil particella si tornasse sempre ad appor con tanta espressione, sicchè non si possa recitar il Pater noster, neppure una volta in vita, senza protestare al Signore con note chiare, determinate, distinte, che perdoniamo? A che serviva? Serviva infinitamente. Perchè quando nel Pater noster addimandì a Dio, che ti rimetta i tuoi debiti: Dimitte nobis debita nostra, o tu sei disposto a rimetter i loro a’ tuoi debitori, o non sei disposto. Se sei disposto, adunque l’aggiugner subito, « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris — Come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore », ti dà un grandissimo incitamento a rimetterli con ampiezza, perchè un tal « sicut — come » ti si rappresenta allora qual regola, e ti ricorda, che a quella proporzione, con la quale tu rimetterai, ti verrà rimesso. Se non sei disposto, adunque l’aggiugner « sicut —come » ti obbliga a rientrar dentro te medesimo, perchè un tal « sicut —come » ti si rappresenta allor qual condizion necessarissima, e ti rammemora, che senz’avere adempita ogni condizione, non pur sia vano, ma stolto, sperar la grazia. Oltre a che dimmi: Qual confusione dev’esser mai la tua, se recitando tutto dì il Pater noster, e in privato e in pubblico, ti rammenti di fare appunto il contrario di quello, che a Dio istesso affermi di fare? Se in un memoriale, da te presentato al tuo Principe, ti scorgi da lui colto in una bugia, di quelle specialmente che il rendono surrettizio, tu resti tanto colmo in quell’atto di confusione, che se sei persona d’onore, vorresti andar poco men che a nasconderti negli abissi. E poi non dubiterai di dire a Dio tante volte, che ti perdoni, atteso che anche tu perdoni al tuo prossimo, mentre un tal presupposto è così mendace? Se tu procedi in questa forma, ti meriti, che qualunque volta tu arrivi nel Pater noster, alle suddette parole: « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris — Come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore », tutti i demoni ti stiano intorno gridandoti : Menti, menti, non è così. Noi sappiamo esser tanti mesi, che al tale, e al tale neppur tu rendi il saluto, non che gli uffici più cortesi, e più cari che a tutti si usano in segno di vera pace. E tu affermi di perdonare?

III.

Considera come a sfuggir sì giusti rimproveri, tu dirai forse, che piglierai per partito di saltar, quando reciti il Pater noster, queste moleste parole, che tanto apertamente ti fanno apparir bugiardo. Ma credi forse tu, che sia questo un partito nuovo? Leggi Cassiano, e vedrai che così appunto usavano anticamente di fare alcuni, più superstiziosi in orare, che religiosi. Però tu guardati, che mai non ti cada in animo d’imitarli. Conciossiachè credi tu che il Padre Celeste, con cui favelli, sia sì dimenticato, o stia sì distratto, che non accorgasi incontanente del salto, ch’hai fatto nel recitare la sua Orazione? Sa quel che taci, e sa ancora perchè lo taci. Nè dire, che tu lo taci per riverenza di non mentire ad un Dio di tanta Maestà. Perchè se la riverenza ad un Dio di tanta Maestà ti stimola a non mentir dinanzi a lui con dirgli, che tu perdoni, non perdonando; perchè dunque più non ti stimola ad ubbidirgli col perdonare? Non è riverenza, è vergogna di te medesimo, che vedi lo stato misero in cui ti trovi, e non ti dà cuore d’uscirne. Però fa così. Di’ le parole suddette, e dille interamente, com’è dovere. E se in quell’atto, posta una tal debolezza, non puoi finire di cambiare ancora il tuo cuore, desidera di cambiarlo. In questo modo, se non perdoni attualmente, avrai almeno qualche intenzione di perdonare: e ciò farà che dicendo tu a Dio queste gran parole: « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris — Come noi pure li rimettiamo a chi ci è debitore », tu non mentisca; non solo perchè le dici a nome comune (il che se bastasse a scusarti, non accaderebbe che tutti i Santi ad una voce gridassero sì altamente contro chi le dice ogni poco, e non le adempisce) ma ancor perchè se non ti trovi anche in termine di perdonar, come gli altri, ti trovi in via. Il mal sarebbe, quando tu non avessi un tal desiderio, nè ti curassi di averlo. E in questo caso, che ti posso io qui soggiugnere? Che lasci affatto di recitare più il Pater noster, giacchè non è convenevole il dimezzarlo? Dio me ne liberi. Ma dico bene, che quando lo dovrai recitare, ti protesti dinanzi a Dio, che tu non ti meriti di recitarlo più che a nome comune del Cristianesimo, non potendo tu, come tu, dirnandargli ancora il perdono de’ tuoi peccati, mentre non l’hai per amor suo dato al prossimo.

IV.

Considera, che quantunque il perdonare sia condizion necessaria affine di ottenere da Dio perdono, non è però condizione ancora sufficiente, come già l’intesero alcuni. Perchè, se insieme col perdonar che tu fai, non discacci le male pratiche; se non restituisci la fama a chi l’hai levata; se non rendi le facoltà; se non fai tutto il resto che t’impone la legge del Signore tuo, è indubitato che egli non ti rilascia i tuoi debiti, per quanto tu gli rilasci a’ tuoi debitori. Perciocchè questa è la differenza che passa nelle Scritture, tra le promesse che diconsi affermative, qual sarìa quella, « Qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus erit — Chi crederà, e sarà battezzato, sarà salvo », e tra le negative, qual è l’opposta, « Qui vero non crediderit, condemnabitur. — Chi poi non crederà, sarà condannato » (Vangelo di Marco 16, 16). Che le negative s’intendono illimitate; e così è certo che a dannarsi basta il non credere. Ma le affermative s’intendono sempre con questa limitazione, purchè non manchivi il resto. E così scorgi, che a salvarsi non bastà il credere, e il battezzarsi, come vorrebbon gli Eretici d’oggidì; ci vuole ancora operar poi da credente, se più si vive, e da battezzato. Così accade nel caso nostro. Se tu non rimetti a’ tuoi debitori i loro debiti, è chiara cosa che Dio non gli rimette nemmeno a te. Perciocchè questa è condizion di un’asserzione negativa: « Si non dimiseritis hominibus, nec Pater vester dimillel vobis peccata vestra — Se voi non perdonerete agli uomini i loro mancamenti, nemmeno il Padre Celeste perdonerà a voi i vostri » (Vangelo di Matteo 6, 15), e però ell’è illimitata. Ma non è però sufficiente, per far che Dio a te rimetta i tuoi debiti, l’averli tu già rimessi a tuoi debitori. Perciocchè questa è condizione d’una asserzione che afferma : « Si dimiseritis hominibus peccata eorum, dimittet et vobis Pater vester Ccelestis delicta vestra. — Se voi perdonerete agli uomini i loro mancamenti, il vostro Padre Celeste vi perdonerà similmente i vostri peccati ». E però intendesi con la limitazion sopraddetta, che tu adempia anche il rimanente. Sii casto, sii sincero, sii sobrio, sii costumato; altrimenti qual dubbio v’è, che il solo perdonare non basta a salvarti? Contuttociò non pensare, che dunque Cristo faccia promesse più splendide, che reali, quand’egli tanto, e in tanti modi ci replica, che il modo di ottener da Dio perdono, è donarlo al prossimo : « Dimittite, et dimittemini — Perdonate, e sarà a voi perdonato » (Vangelo di Luca 6, 37). Perchè quantunque donar il perdono al prossimo non sia di certo un’opera sufficiente per se medesima ad ottenerlo da Dio; contuttociò è per se medesima un’opera a Dio sì cara, che in riguardo di essa si muove Dio molte volte a cambiare i cuori degli uomini, con maniere anche prodigiose (siccome videsi in un S. Giovanni Gualberto) a compungerli, a convertirli, ed a far loro adempir con facilità tutto quel di più che ricercasi ad ottenere perdon da Dio. Laddove, per l’atto opposto è Dio talvolta venuto a scacciar da sè chi già già stava per riportare la bella palma di Martire, come si scorse nell’infelice Saprizio. E però oh quanto ha da premerti a tener contento il tuo Padre in questa materia! Egli, come buon Padre, vuol sopra tutto vedere la pace in casa. Guai a que’ fratelli rissosi, che tra lor vengano però tosto a contendere, e a corrucciarsi. Non accade che sperino da lui bene, perchè quant’è di ragione, ch’egli esalti i figliuoli quieti, tanto è di necessità, che deprima i tumultuanti : « Non enim est dissensionis Deus, sed pacis. — Imperciocchè Iddio non è il Dio della dissensione, ma della pace » (Prima lettera ai Corinzi 14, 33).

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