GIUGNO
XXV. GIORNO
Quanto, e perché voglia Iddio che nelle persecuzioni terrene esultiamo.
« Gaudete in illa die, et exultate; ecce ením merces vestra multa est in Caelo. — Godete in quel giorno, ed esultate; poichè molta è la vostra mercede nel Cielo » (Vangelo di Luca 6, 23).
I.
Considera, che ogni esultazionc è generata dal gaudio; ma non ogni gaudio genera esultazione. La genera quello solo, ch’è assai veemente: perchè non potendo, quando egli è tale, star chiuso tra le angustie dell’animo, prorompe ancora nel corpo : Cor gaudens exhilarat faciem (Proverbio 15, 13). Che però, come dell’animo è proprio il gaudio; così propria del corpo è l’esultazione. Or ecco fino a qual segno ricerca Cristo, che tu gioisca, anche in quel medesimo tempo, nel quale tu vieni odiato per amor suo, dispregiato, deriso, perseguitato, in illa die. Vuole, che tu gioisca di modo, che una tal gioia sia manifesta; sicché non sia solo interna, ma anche esterna; valendo questa infinitamente ad accreditare la sua servitù, ad animare i suoi servi, a confondere i suoi nemici. Tu che puoi dire, mentre in quel tempo non sai nemmeno nel cuore dar luogo al gaudio, non che mostrare nel volto l’esultazione?
II.
Considera, che non senza ragione ti può il Signore richiedere, che non solo tu goda tra quei travagli, che sopporti per lui, ma che ancora esulti; mentre per essi ti promette in Cielo una gloria, che è così grande. Vien però questa gloria nel Testamento nuovo chiamata con quattro nomi : di mercede, di corona, di palio, di eredità, tutti e quattro convenientissimi. E’ necessario per ottenerla durar di molte fatiche; e così ella ha titolo di mercede, giacchè la mercede è propria de’ lavoranti : « Unusquisque propriam mercedem accipiet secundum suum laborem. — Ognuno riceverà la sua mercede a proporzione di sua fatica » (Prima lettera ai Corinzi 3, 8). E’ necessario per ottenerla resistere a quei nemici, che tanto si studiano d’impedirne l’acquisto, come sono la Carne, il Mondo, il Demonio, e però ella ha titolo di corona, giacchè la corona è propria de’ combattenti : « Non coronabitur, nisi qui legitime certaverit. — Non sarà coronato, se non chi avrà combattuto secondo le leggi » (Seconda lettera a Timoteo 2, 5). E’ necessario per ottenerla di passare innanzi a quei tanti competitori, che sono tutti chiamati all’istessa gloria, ma non eletti ; e così ella ha titol di palio, giacchè il palio è proprio de’ concorrenti: « Qui in stadio currunt, omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium. — Quegli, che corrono nella lizza, corrono veramente tutti, ma un solo riporta la palma » (Prima lettera ai Corinzi 9, 24). E’ necessario per ottenerla di essere nello stato di grazia, ch’è quanto dire, di figliuolanza divina; e così ella ha titolo finalmente di eredità, giacchè propriissima l’eredità è de’ figliuoli : « Si autem filii, et haeredes. — Se siamo figliuoli, siamo anche eredi » (Lettera ai Romani 8, 17). Ma benchè alla gloria celeste tutti questi nomi convengano così bene; contuttociò Cristo nostro Signore nel suo Vangelo si è singolarmente voluto valer del primo, cioè di quel di mercede : Merces vestra copiosa est in Coelis; mercedem prophetae accipiet; mercedem fusti accipiet: Non perdet mercedem suam. Voca operarios, et redde illis mercedem; per dinotar la certezza di conseguirla. Non c’è ricognizione veruna, che tu ti possa così di certo promettere, come quella, che ti è dovuta a titolo di mercede. Che se pur gli uomini son talora sì crudi, che te la nieghino; non dubitar già di Dio : « Promisit, qui non mentitur, Deus. — Promise Dio, che non mentisce » (Lettera a Tito 1, 2). Parea, che bastasse dire: « promisit Deus — promise Dio » ; nerchè qual dubbio, che se altro alfin non è Dio, che la Verità: Deus veritas est (Vangelo di Giovanni 14) convien, che il suo contrario sia la menzogna? Nondimeno l’Apostolo volle aggiunger con termini così espressi, « qui non mentitur — che non mentisce », a cagion di confondere te medesimo, il quale avvezzo a trattar solo con gli uomini della terra, hai spesso necessità di chi ti ricordi, che Iddio non è come quelli, coi quali tratti, cioè non è mentitore: Non est Deus quasi homo ut mentiatur (Numeri 23, 19). Che però ascolta, come il Signore ti dice, che questa mercede è già tua, benchè ancora non la possegga: Ecce enim merces vestra multa est in Coelo. Nè meno ti dice, « multa erit in Coelo — sarà molta nel Cielo », ma « multa est — è molta » : tanto vuol, che tu ne sii certo.
III.
Considera con quanta ragione questa mercede è chiamata molta: perchè di molto ella supera la fatica, che tu hai da durare per ottenerla. Quella, che riporti comunemente dagli uomini, è mercede stentata, è mercede scarsa. Questa sì, ch’è soprabbondante, mentre non è altro alla fin, che l’istesso Dio: « Ego merces big magna nimis. — Io sono tua ricompensa grande oltremodo ». Nè ti stupire, se questa mercede medesima ora sia detta grande, ora detta molta. E’ grande per la grandezza de’ beni, i quali ella abbraccia, è molta per la loro moltipli. cità: perchè qual bene ti resterà da bramare, possedendo quello, nel quale si contengono tutti i beni? « Satiabor cum apparuerit gloria tua. — Sarò satollato all’apparire della tua gloria » (Salmo 17, 15). Non troverai bene alcuno sopra la terra, che alla sua sola comparsa giammai ti sazii: piuttosto ti mette fame. Ma Dio nel tempo medesimo che apparendoti, ti porrà fame di sè, ti farà satollo, benchè lasciandoti sempre ancora affamato.
IV.
Considera, che questa molta mercede è di più nel Cielo : Merces vestra multa est in Coelo. Quando anche qui per le fatiche, che tu duri per gli uomini, riporti da essi una mercede copiosa, dove alla fin la riporti? la riporti in terra, cioè in un luogo, dov’ella facilissimamente o può perire, o può perdersi. In Cielo non è così, perchè questo è quel paese fortunatissimo, « ubi neque aerugo, neque tinea demolitur — dove nè la ruggine, nè la tignuola consuma »; e così la mercede non può perire per infezion di materia, o esterna, dinotata dalla ruggine, o interna, significata dalla tignuola : « Et ubi fures non effodiunt, nec furantur. — E dove i ladri non dissotterrano, nè rubano »; e così la mercede non si può perdere per insidie di malandrini. Di più qual bene puoi goder su la terra, che sia sincero? Ogni oro, che qui ricevi per tua mercede, è misto di scoria : « Risus dolore miscebitur. — Il riso sarà mescolato col dolore » : solo in Cielo ritrovasi bene schietto. E però mentre tu sai da Cristo, che la tua mercede è nel Cielo, sai parimente, ch’è stabile, ch’è sicura, ch’è perfettissima.
V.
Considera, che tre cose richiede Cristo nelle sue presenti parole. Che si goda : gaudete, che si esulti : exultate, e che ciò facciasi in quel medesimo tempo in cui si sta attualmente patendo per amor suo : in illa die. E però a tre richieste, che sembrano così care, contrappone quei tre premi ch’hai già sentiti: al gaudio la certezza del guiderdone, mentre è mercede, merces: all’esultazione l’ampiezza, mentre è eccedente, multa: al tempo l’eternità, mentre è nell’Empireo, in Coelo. Tu veramente hai qui per Cristo a sopportar de’ travagli ancora notabili. Ma quanto dovran durare? sol qualche dì, in illa die; laddove la ricompensa, che poi dovrai riportarne, non avrà fine. E come dunque può essere che non godi, che non esulti? Forse perchè il patimento è presente, il premio è futuro? Ma non è ancora futura quella mercede, che vien promessa all’agricoltore, all’artefice? « Apud dominum est merces eorum. — La loro ricompensa è nelle mani del padrone » (Sapienza 5, 16). E pure, chi può dir come giubila ognuno di essi, qualor gli è commesso un travaglioso lavoro? Tanto più giubila, quanto appunto il lavoro è più travaglioso. Benchè, nè anche ti hai da figurar la mercede così lontana. Eccola, eccola. Fingiti pur di vedertela innanzi agli occhi. Ti giungerà quanto prima. Ecce est.