La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

AGOSTO

 

XXV. GIORNO

San Luigi Re di Francia.

Motivi onde renderci superiori ai rispetti umani.

« Nolite timere opprobrium hominum, et blasphemias eorum ne metuatis; sicut enim vestimentum, sic comedet eos vermis, et sicut lanam, sic devorabit eos tinea: salus autem mea in sempiternum erit. — Non temete gli obbrobrii degli uomini, e non fate caso delle loro bestemmie; perocchè come veste saran consumati dal verme, e come lana saran divorati dalla tignuola; ma la mia salute sarà perpetua » (Isaia 51, 7, 8).

 

I.

Considera di quanto pregiudizio ti sia nella vita spirituale temer gli scherni, che ti convien tollerar da color che professano vita opposta. Però il Signore qui ti conforta a non farne caso. In che pertanto possono mai consistere tali scherni? O in fatti, o in parole, non è così? Ora figurati il peggio, che da tali scherni, quando sono in fatto, ti possa occorrere, ch’è il patire, non solo disonore, non solo dispregio, ma ancora obbrobrio. E figurati il peggio che possa occorrerti ancora da tali scherni, quando son di parole, ch’è il patire, non pur de’ motti, non pur delle maldicenze, ma delle esecrazioni simili a quelle, che vomita contro il Cielo la gente insana; contuttociò dice il Signore, che tu non ne faccia caso : « Nolite timore opprobrium hominum, et blasphemias eorum ne metuatis. — Non temete gli obbrobrii degli uomini, e non fate caso delle loro bestemmie ». E per qual ragione? Perchè il male, che da tali scherni riporti sopra la Terra, ti vien dagli uomini, che presto avranno a marcire, e il bene, che poi te ne succederà sulle stelle, verrà da lui, e così ancora durerà eternamente. Ti potrebbe addurre il Signore mille altri motivi da non temere tali scherni. Ma si contenta presentemente di questo, perchè è il più valido a cacciar fuora il timore. Il timor nasce dall’apprensione di un male difficile a tollerarsi. Ora questo motivo qui detto ti fa vedere, che pur troppo egli è tollerabile, e così subito caccia fuori il timore. Ma come ti fa vedere ch’è tollerabile? Perchè ti mostra, che questo male per una parte, sia qual si vuole, passerà presto; e per I’ altra ti fa meritare un premio, che non avrà giammai fine. Pensa bene a questi due punti, e vedrai, che tu non solo già lasci di temere un sì fatto male, ma lo desideri : « Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam. — Beati quelli, che soffrono persecuzione per amor della giustizia » (Vangelo di Matteo 5, 10).

II.

Considera, che questo male ora detto, se ben si guarda, consiste finalmente nella opinione; perchè consiste nella poca stima, che gli uomini di te mostrano. Vuoi però non temere tale opinione? Internati a rimirare chi sian questi uomini. Son uomini sottoposti alla corruzione. Non sono i Santi, i quali regnano in Cielo, mentre anzi questi, se fai del bene, ti tengono in alto pregio. Sono i mortali, che come tali sono di giudizio fallace, iniquo, incostante, e se non altro fra poco mancheran tutti. Nota però, come il Signore con forma viva descrive la loro mortalità. Dice, che « sicut vestimentum, sic comedet eos vermis — Come veste saran consumati dal verme », e che « sicut lanam, sic devorabit eos tinea — e come lana saran divorati dalla tignuola ». Il verme è quello, che nel panno nasce di fuori dalle bruttezze, le quali in esso si posano; la tignuola è quella che nasce in esso di dentro. Al verme sono più soggetti que’ panni, che sono in uso a ricoprir le persone, gli armari, l’arche, le mura, e l’altre cose tali, perchè sono più esposti a contrar bruttezze. Alla tignuola son più soggetti que’ panni, che non servono ad uso, ma custoditi si serbano nelle casse. Però qui al panno d’uso, che vien esposto col nome di vestimento, si ascrive il verme: e al panno semplice, che vien qui espresso col puro nome di lana, ascrivesi la tignuola. E che vuole il Signore qui farti intendere, con una tal distinzione? Vuol farti intendere, che qualunque uomo, o egli si riguardi, o non si riguardi, finalmente avrà da morire. Il verme denota quelle offese, le quali all’uomo vengono dall’ estrinseco. La tignuola quelle, che vengono dall’intrinseco. Però quando ancora a far morir presto l’uomo mancasse il verme, che si mentova in primo luogo, succederà la tignuola, cioè la sua naturale caducità: « Consumentur velut a tinea. — Saran consunti come da tignuola » (Giobbe 4, 19). Sta questa all’uomo riposta dentro le viscere; e però appunto ella è simile alla tignuola, che non solo lo mangia, come fa il verme, ma lo divora, perciocchè non perdona neppur all’ossa. Eccoti qui descritto in breve dal Signore lo stato di un uomo mortale. Va ora, e stimalo più del Signore stesso: «  Quis tu, ut timeres ab Nomine mortali, et a filio hominis, qui quasi foenum ita arescet: et oblitus es Domini factoris tui? — Chi sei tu, che tema un uomo mortale, e un figliuolo dell’uomo, che seccherà come l’erba, e ti sei scordato del Signore, che ti fece? » (Isaia 51, 12).

III.

Considera, che come hai rimirati sopra la Terra questi uomini schernitori del ben che operi, cosi per più animarti a non farne caso, gli puoi con ragione rimirare ancor nell’Inferno: giacchè nessuno è più sicuro di andarvi, di chi non pur non fa bene per se medesimo, ma nemmen può patire ch’altri lo faccia. Ora se tu gli rimirerai nell’Inferno, puoi molto aggiustatamente intendere questo verme, e questa tignuola, in senso morale, come l’intendesti pur ora nel letterale, mirandoli sulla Terra. Però assicurati, che quando quei miserabili sian laggiù, « Sicut vestimentum, sic comedet eos vermis: et sicut lanam sic devorabit eos linea —Come veste saran consumati dal verme; e come lana saran divorati dalla tignuola ». Il verme sarà il rimorso del sommo male, ch’essi sulla Terra commisero in insultarti: la tignuola sarà quivi l’invidia del sommo bene, che hanno a te nel Cielo apportato co’ loro insulti. E chi può esprimere come eternamente un tal verme, ed una tale tignuola, faranno a gara per tormentarli? Il rimorso sarà loro nel cuore, non può negarsi; contuttociò sarà loro men intimo dell’invidia, che li penetrerà sino all’ossa: « Putredo ossium invidia. — L’invidia è tarlo delle ossa » (Proverbio 14, 30). E però il rimorso vien rappresentato dal verme, l’ invidia dalla tignuola. Il rimorso solo gli dovrà rodere, sicut vestimentum, sic comedet eos vermis: ma l’invidia gli dovrà consumare, sicut lanam, sic devorabit eos tinea: non potendosi dubitare, che quantunque ne’ dannati il rimorso abbia ad essere uno struggimento atrocissimo, tuttavia senza paragone maggiore sarà l’invidia, perchè com’empi che sono, non tanto hanno dispiacere del mal che han fatto, quanto del ben che han perduto : massimamente scorgendolo godersi da quegl’istessi, ch’ebbero già tanto a sdegno : « Hi sunt, quos habuimus aliquando in derisuin, etc. — Questi sono coloro, che una volta riguardammo come oggetto di derisione, ecc. » (Sapienza 5, 3). L’invidia, la qual si porta all’acquistatore di un bene, tormenta sempre: ma non mai, più che quando il bene è grandissimo, e l’acquistatore di esso fu un nemico. E questo è ciò, che più che in altra qualunque invidia concorre nella infernale. Che importa dunque tanto ora a te, se i maligni ti fanno insulto, o di parole, o di fatti? Non dubitare, che se ora t’insultano per pochi anni, per tutti i secoli poi ti dovranno invidiare.

IV.

Considera, che però appunto il Signore tanto opportunamente soggiugne : « Salus autem mea in sempiternum erit — Ma la mia salute sarà perpetua ». Parea che agli scherni, che sulla Terra ricevi, egli dovesse contrapporre l’onore che tali scherni ti frutteran sulle stelle; ma non si è contentato di così poco. Ha contrapposta lor la salute, che abbraccia il tutto : salus: affinchè tu vegga quanto mai tali scherni ti frutteranno; se pazientemente gli tolleri, ti frutteran la salute, e ciò per due capi. Prima, perchè staccheranno te dall’amore delle creature, a cui ti affezioneresti, se in vece di schernirti nel ben che fai, si unissero ad onorarti. Poi, perchè ti guadagneranno l’amore del Creatore. E non conosci quanto egli ti amerà più, se per la servitù, che gli presti, tu sei schernito? Se fossi onorato, tu rimarresti per essa obbligato a lui. Se sei schernito, egli per contrario rimane obbligato a te. E però ecco quel caso fortunatissimo, nel quale Iddio viene ad essere tutto tuo, quando tu per lui fai del bene, e ricevi male : « Si exprobramini in nomine Christi, beati eritis. — Se siete trattati ignominiosamente pel nome di Cristo, sarete beati ».

V.

Considera, che il Signore, a questa salute, che finalmente toccherà tutta a te, dà nome di sua. Di ragion parea, ch’egli dovesse dir « vestra — vostra ».— « Salus autem vestra in sempiternum erit. — Ma la vostra salute sarà perpetua ». E pur egli ha detto « mea — mia » affinchè tu intenda, che quantunque a questa salute concorri ancora tu con la tua cooperazione, più nondimeno senza paragone vi concorre egli con la sua santissima grazia. Fa egli tanto di più, che può dirsi assolutamente che faccia il tutto. E però, se una tal salute si dice tua in ragione di acquisto, molto più sua si dee dire in ragion di dono. Ma s’è così, chi non vede, quanto per questo medesimo ti rilievi di guadagnarti il suo amore, col sopportare di essere disprezzato per cagion di esso? Ti vieni così a rendere obbligato quel Dio, da cui la tua salute dipende più che da te : « Perditio tua Israel: tantummodo in me auxilium tuum. — La perdizione è da te, o Israele: da me solo il tuo soccorso » (Osea 13, 9).

VI.

Considera, che se veruno mai bene intese una tal dottrina, l’intese quel Santo Re, del quale in questo, giorno si venera la memoria. Egli nella regia fortuna volle sposarsi (come sarebbe dovere di tutti i Grandi) non ad una virtù di lignaggio basso, ma alla più splendida, ma alla più sollevata, volli dire, alla Santità; e però i Politici stolti lo deridevano; perchè nel governare, nel vivere, nel vestire, nel conversare, usava regole tutte opposte alle loro, anteponendo al fasto l’umiltà, alla simulazione la schiettezza, agli sfoggi la semplicità, all’interesse la carità verso i poveri. Egli, assai più saggio di loro, disprezzò totalmente di essere disprezzato : e però mira a che grandezza ora è sorto. I suoi dileggiatori stan giù nel baratro dell’Inferno a invidiarlo: ed egli non solamente trionfa in Cielo, ma oggi sulla Terra medesima è il maggior Re, ch’abbia mai vantato la Francia. E così di lui giustamente anche leggesi in questo dì, che « Mendaces ostendit qui maculaverunt illum, et dedit illi claritatem aeternam Dominus Deus noster. — Il Signore Dio nostro, di bugia convinse coloro che lo aveano infamato, e gli diede una gloria eterna » (Sapienza 10, 14).

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