DICEMBRE
XXIV. GIORNO
In che si conosca la fedeltà di chi è seguace a Gesù.
« Fidem posside cum amico in paupertate illius, ut et in bonis illius laeteris— Serba fede all’amico nella sua povertà, affini di rallegrarti nelle sue ricchezze » (Ecclesiastico o Siracide 22, 28).
I.
Considera, che fin tanto ch’uno è felice, non può discernere i veri amici dai falsi : perchè sì gli uni come gli altri gli stanno egualmente attorno per fargli ossequio. A volerli discernere, gli è necessario, quantunque a suo grave costo, cambiar fortuna, col divenire, quand’egli men sel credea, di felice misero : « In mulina illius, amicus agnitus est. — L’amico si conosce nell’avversità » (Ecclesiastico o Siracide 12, 9). Figurati per tanto, che questa sia tra le principali cagioni, per le quali il Re della Gloria, se così è lecito dire, ora cambia sorte, e dal più alto della sua maestà è già già in procinto di nascere in una stalla. Vuol porre in chiaro la fedeltà di chi l’ama. Oh quanti di quegli stessi che l’adoravano, finchè con mano liberale egli attese a versar tesori sui popoli dal suo Trono, nel vederlo ora giacer sopra una mangiatoia, nudo, gelato, gemente, lo sdegneranno di modo, che arriveranno a giurare di non conoscerlo ! Tu che farai? Ti par di essere ben risoluto di assistergli, di aderirgli in un tale stato di povertà fin estrema? Beato te sel farai! Puoi tenere per fermo, che quando un dì egli arrivi a rimettersi su quel soglio dond’ora è sceso, niuno premierà nella propizia fortuna più largamente che chi non lo abbandonò nell’avversa : Fidem posside cum amico in paupertate illius, ut et in bonis illius laeteris.
II.
Considera, che vuol dire esser fedele a Gesù nel suo stato povero : Fidem posside cum amico in paupertate illius. Vuol dire amare di sopportare con esso una simile povertà; e vuol dire amar di soccorrerla. Il primo si fa con abbandonar per Cristo ogni proprio avere : il secondo, con ritenerlo bensì, ma per dispensarlo ad ora ad ora tra’ poveri piamente. Tu crederai, che per ventura il secondo a lui sia più caro; giacchè con tanta espressione egli giunse a dire: « Quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis — Ciò che faceste ad uno di questi miei minimi, il faceste a me ». Ma t’inganni assai. Gli è più caro il primo. L’amore ch’hanno a’ lor comodi, è quello che a molti affascina l’intelletto, e che fa loro parere più lodevol cosa, più salutare, più saggia, il sovvenir alla povertà del Signore, che il sopportarla. Non è così. Chi pare a te preferito nell’Evangelio? un Zaccheo divenuto limosiniere, anche splendidissimo, o un Pietro, o un Giacomo, o un Giovanni, o un Andrea, che nulla al mondo possedendo più d’una barca, abbandonarono quella ancora per Dio? Questi, con lasciar poco, arrivarono a conseguire l’Apostolato : e quegli, con donar molto, non vi arrivò : ma come notò San Girolamo, si restò nella sua statura pusilla, ancor dappoi ch’egli ebbe accolto in casa propria il Signore, ed alimentato. Tanto più stimasi chi mendica con Cristo, che chi sovviene per Cristo qualunque turba anche amplissima di mendici. Nè è maraviglia. Il primo patisce unitamente con Cristo le sue miserie, il secondo le compatisce. E che pare a te? Ti par atto forse di merito più eminente il compatire le miserie del prossimo, che il patirle? Non così mostrò di stimare il demonio stesso, il qual si rise di Giobbe, come di uomo virtuoso bensì, ma non già perfetto, finché gli vide far d’ogni suo palazzo un ricetto ai poveri. Allor lasciò di fiatare contro di lui, quando mirò, che cadutogli a terra ogni suo palazzo, si contentava di non trovar tuttavia nell’alta sua povertà chi lo ricettasse. Non voler dunque ancora tu lusingarti con darti a credere, che sia meglio per te spendere il tuo santamente, che spropriartene per seguir nudo tu pure il tuo nudo Cristo. Ma che sarebbe se tu non sapessi far nè l’uno nè l’altro; e nè ti spropriassi del tuo per patir con Cristo, e nemmen lo spendessi, come va speso, per compatirlo? Sicuramente non potrai punto anelare alle sue ricchezze, se niuna fede gli avrai voluta attenere nella sua gran povertà: Fidem posside cum amico in paupertate illius, ut et in bonis illius laeteris.
III.
Considera quali saranno queste ricchezze di cui Gesù ti farà finalmente degno, se tu gli sarai stato amico fedele in quella povertà ch’ora intende di professare. Non si può dubitar che saranno doppie, e temporali, ed eterne. Perchè, o tu gli sii stato fedele in una tale povertà, con soccorrerla umanamente; o gli sii stato fedele, con sopportarla, non solamente ti donerà il Paradiso, ma ti darà sulla terra ancora quel centuplo, che ha promesso con debita proporzione, e a chi avrà ripartite le sue sostanze con esso lui, e a chi le avrà rinunziate. Contuttociò par che singolarmente egli abbia in questo luogo voluto intendere delle eterne. Che però non ha detto semplicemente: « Fidem posside cum amico in pau pertate illius, ut et de bonis illius diteris —Serba fede all’amico nella sua povertà, affin di arricchirti delle sue ricchezze », ma di più ha detto, « ut et in bonis illius laeteris — affin di rallegrarti nelle sue ricchezze ». Chi non conosce però, che se in tali beni hai da porre la tua allegrezza, convien che sii già pervenuto colà dove sono stabili : « Anima ejus in bonis demorabitur. — L’anima di lui sarà nella copia de’ beni » (Salmo 25, 13)? E che allegrezza vuoi tu mai porre in quei beni, i quali sono ogni poco soggetti a perdersi, come sono i beni terreni? In quelli solamente hai da porla per verità, che non si perdono mai, e tali sono gli eterni. Ma qui frattanto mira che cambio inestimabile è questo ! Tu nel soccorrere la povertà del Signore, o nel sopportarla, avrai donati ad esso i tuoi beni che nulla vagliono; ed ei nel rimunerar te, ti dovrà per contrario donare i suoi, che son di valore infinito. Ma ciò vuol dire esser fedele nella sua povertà ad un principe, qual è Cristo. Se tu sarai stato fedele a un Re della Terra dicaduto in bassa fortuna, che ti potrà mai donare, quando egli torni a ricuperare il suo regno? Al più ti donerà qualche piccola parte d’ esso. Ma se tu sarai stato fedele a Cristo, ti farà seco godere il suo Regno intero. Che però nemmen ti si dice: « Fidem posside cuni amico in paupertate illius, ut et de bonis illius laeteris — Serba fede all’amico nella sua povertà, al di rallegrarti delle sue ricchezze »; si dice « in bonis — nelle sue ricchezze », perchè si sappia che il suo regno medesimo sarà altresì tutto tuo, come se tu ne fossi erede congiunto. « In tempore tribulationis illius permane alli fidelis, ut et in hareditate illius eoliwres sis — Mantienti fedele a lui nel tempo della tribolazione, affin di essere chiamato a parte della sua eredità » (Ecclesiastico o Siracide 22, 29). Eccotelo qui detto chiaro.