DICEMBRE
XXIII. GIORNO
Necessita che abbiamo di ricorrere al trono della grazia, per fuggir quello della giustizia.
« Adeamus cum fiducia ad thronum Gratiae, ut rnisericordiam consequamur, et Gratiam inveniamus in auxilio opportuno.— Andiamo con fiducia al trono di Grazia, affin di ottenere misericordia, e di trovar Grazia nell’opportuno soccorso » (Lettera agli Ebrei 4, 16).
I.
Considera, che Cristo, qual vero Re, gode trono doppio. Uno è di Grazia, l’altro è di Giustizia. Su quello di Giustizia egli sederà quando verrà a giudicarci dopo la nostra vita. Su quel di Grazia egli siede finchè viviamo. Però l’uno è futuro, l’altro è presente. Su quel di Grazia egli siede, per dare or a ciascuno ciò, che convenevolmente gli si addimanda : « Petite, et accipietis. — Domandate e riceverete ». E su quel di Giustizia egli sederà, per dare quello sol, che si è meritato : « Judicabo te juxta vias tuas, et non parcel oculus meus super te, et non miserebor. — Ti giudicherò secondo il tuo operare, e l’occhio mio non s’impietosirà sopra di te, e non avrò misericordia » (Ezechiele 7, 3). Che sciocchezza è però la tua, se potendo ora andare al trono di Grazia, tu non vi vai, ma aspetti d’essere finalmente citato a quel di Giustizia? Però dice l’Apostolo : « Adeamus cum fiducia ad thronum Gratiae — Andiamo con fiducia al trono di Grazia »; perchè al trono di Grazia ognun corre il primo; a quel di Giustizia niuno suole andar mai, se non è chiamato. Non è però gran vergogna, che il Signor abbia necessità d’invitarti a ricorrere a lui, a raccomandarti a lui, ad esporgli liberamente ogni tuo bisogno? Sei reo : ma che prova ciò? Se dovessi andare al trono di Giustizia, allora avresti, come reo, cagione giusta di palpitare in andarvi, e di dire a Dio : « non intres in judicium cum servo tuo — non entrate in giudizio col vostro servo » (Salmo 143, 2), ma mentre hai da andare al trono di Grazia, di che vuoi tu dubitare, quantunque reo? « Exaequabit Gratiam Gratiae — Aggiugnerà Grazia a Grazia », cioè « Gratiam, quam tibi faciet salvando te, exaquabit Gratiae quam tibi fecit redimendo te — Aggiugnerà la Grazia, che ti farà in salvarti, alla Grazia, che ti fece in redimerti » (Zaccaria 4, 7).
II.
Considera quali siano i fini, per cui abbiamo ad andare ad un trono tale. I fini son due. L’uno è per conseguire il perdono del male fatto : l’altro è per riportare la Grazia proporzionata al bene che dobbiam fare. Però l’Apostolo dice : ut misericordiam consequamur, et Gratiam inveniamus in auxilio opportuno. Perdonarci il male si ascrive alla Misericordia, la qual ci trova in uno stato di miseria sì grande, qual è il peccato, e ce ne solleva : « In reconciliatione mea misertus sum tui. — Nella mia riconciliazione usai teco misericordia » (Isaia 60, 10). E però in ordine a tal perdono si dice: « ut misericordiam consequamur — Affin di ottenere misericordia ». Il concederci . forze da fare il bene, si attribuisce alla Grazia : « Habemus Gratiam, per quam serviamus placentes Deo, cum metu, et reverentia — Abbiamo la Grazia, per la quale accetti a Dio lo serviamo con timore, e riverenza » (Lettera agli Ebrei 12, 28). « Cum metu — Con timore », come a Padrone, « cum reverentia — con riverenza », come a Padre. E però in ordine a tali forze si dice: « et Gratiam inveniamus in auxilio opportuno — e di trovar Grazia nell’opportuno soccorso ». Nè l’un benefizio, nè l’altro possiamo noi riportare per via di merito. Non per via di merito la remissione del male, cioè del peccato, perchè fino a tanto che noi siamo in peccato, non siamo ancora capaci di meritare, essendo nemici a Dio : « Altissimus odio habet peccatores — L’Altissimo odia i peccatori » (Ecclesiastico o Siracide 12, 7). Non per via di merito la Grazia necessaria per fare il bene, perchè quantunque sia materia di merito il termine del merito, ch’è la Gloria da Dio propostaci a meritare; non può nondimeno esser materia di merito il principio del merito ch’è la Grazia: « Si Gratia, jam non ex operibus: Alioquin Gratia jam non est Gratia. — Se per la Grazia, dunque non per le opere: altrimenti la Grazia non è più Grazia » (Lettera ai Romani 11, 6). Però, che resta? Resta che l’otteniamo a forza di vivi prieghi « Adeamus cum fiducia ad thronum Gratiae— Andiamo con fiducia al trono di Grazia », cioè « cum fiducia loquendi — con fiducia nel supplicare », come si cava da un’altra lettera; perchè l’impetrar per via di suppliche non si fonda sulla dignità di chi le porge, si fonda sulla bontà di chi le riceve: « Neque enim in justificationibus nostris prosternimus preces ante faciem tuam, sed in miserationibus tizie multis. — Imperocchè sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia » (Daniele 9, 18). Come dunque, sapendo tu quanto importi ricorrere per due fini sì alti ad un trono tale, non vi ricorri? E’ segno chiaro, che tu non curi quei fini, se spregi i mezzi.
III.
Considera come hai da fare principalmente, affin di svegliare in te questa fiducia di chiedere a Dio con una gran libertà ciò che ti abbisogna in pro dell’anima tua. Hai da internarti nella cognizion del tuo nulla : « Sine me nihil potestis facere. — Senza di me non potete far nulla » (Vangelo di Giovanni 15, 5). E’ certo, che tu da te non puoi nulla affatto, nihil: non puoi risorger dal male, in cui sei caduto; e molto meno puoi far punto di bene: e nondimeno hai obbligazione ancora strettissima di far ciò, che tu da te medesimo non puoi fare. Adunque che temi tu? Vuoi sospettare, che ricorrendo alla bontà del tuo Dio per dimandar che ti assista, che ti aiuti, che ti conceda ciò che ti fa di mestieri affin di ubbidirgli, non abbia ad esaudirti opportunamente? Se in un tal caso non fosse Dio dispostissimo ad esaudirti, dunque e t’ingiugnerebbe comandi, e ti ispirerebbe consigli oltre alle tue forze. E vuoi tu mai temer tanto di un Dio sì buono? « Adeamus cum fiducia ad thronuin Gratin — Andiamo con fiducia al trono di Grazia », perchè quantunque non sia Dio per altro tenuto di darci nulla, indipendentemente dalle sue divine promesse (e però sempre sia vero ch’egli ci dà per Grazia ciò che ci dà); contuttociò non può lasciare di darcelo, non solo in virtù delle sue promesse medesime, ma de’ comandi, e de’ consigli, co’ quali or ci stringe, or ci stimola a ben servirlo. Parla dunque animosamente, cum fiducia, e chiedi a Dio il suo soccorso; ma quale? quello ch’egli sa dover essere l’ opportuno. Questo è quello che importa, e però questo anche è quello che tu gli hai sempre da chiedere instantemente: Adeamus cum fiducia ad thronum Gratiae, ut misericordiam consequamur, et Gratiam inveniamus in auxilio opportuno. Non solamente « in tempore opportuno — nel tempo opportuno », qual è quel della vita in cui solo è aperto il tribunale di Grazia: « ecce nunc tempus acceptabile — ecco adesso il tempo accettevole »; ma parimente « in auxilio opportuno — nell’opportuno soccorso » : perchè non qualunque aiuto hia per te sempre opportuno all’istesso modo; l’opportuno è quello, a cui prevede Iddio che tu non dovrai tralasciare di corrispondere: e questo incessantemente tu pure dimanda a Dio, per ravvederti dal male, e per fare il bene.
IV.
Considera come il sapere, che tu da te non puoi nulla, sicuramente dee darti un animo grande a sperar in Dio, nel modo ora detto, ed a dimandare a lui l’aiuto opportuno per tuttociò ch’ora t’ingiunge, or puramente t’ispira. Ma più deve anche dartelo, il saper certo, che Dio con precetto espresso ti obbliga allo sperare: « Spera in Deo tuo semper. — Spera sempre nel tuo Dio » (Osea 12, 6). Sicchè se no ‘l fai, non ostante qual sia gran demerito, o gran delitto, che in te conosci, tu l’ offendi a un segno gravissimo, ed egli ti registra tosto tra i ribelli suoi più esecrandi, quali sono i rei di violata maestà: « Vae illis quia in via Cain abierunt!— Guai a loro, perchè imitaron Caino! ». Che vuoi dunque tu di vantaggio? « Adeamus cum fiducia ad thronum Gratis — Andiamo con fiducia al trono di Grazia ». Se il Principe t’intimasse, che qualor tu disperi del favor suo, dicendo anche tu : « Major est iniquitas mea quam ut veniam merear — E’ sì grande il mio peccato, ch’io non posso meritar perdono » (Genesi 4, 13), egli sdegnato e ti terrà, e ti tratterà da ribelle, scacciandoti eternamente dal suo cospetto, cercheresti tu altro a sperare in lui? E perchè cerchi altro dunque rispetto a Dio? Ha egli forse mai dal Cielo mancato di fede a niuno? « Respicite, filii, nationes hominum, et scitote, quia nullus spe.ravit in Domino, et confusus est — Figliuoli, mirate le generazioni degli uomini, e sappiate, che nessuno sperò nel Signore, e rimase confuso » (Ecclesiastico o Siracide 2, 11). E perchè dunque sperando, vuoi tu essere il primo a restar confuso? Basta che tu sii di quelli che sperano, e non presumono. E chi sono quei che presumono? Son quei che pretendono di salvarsi senza fatica. Odi come qui favella l’Apostolo : « Adeamus cum fiducia ad thronum Gratiae, ut misericordiam consequamur, et Gratiam inveniamus in auxilio opportuno — Andiamo con fiducia al trono di Grazia, affine di ottener misericordia, e di trovar Grazia nell’ opportuno soccorso ». Se il benefizio ha da consistere tutto « in auxilio opportuno — nell’ opportuno soccorso », qualche cosa dunque abbiamo da operare noi pure dal canto nostro affin di salvarci, altrimenti non pretenderebbesi aiuto, cioè soccorso all’atto che si fa in operare, ma si pretenderebbe esenzion dall’opera. E questa non si dà a niuno. « Oportuit Christurn pati, et ita intrare in gloriam suam — Fu necessario, che Cristo patisse, e così entrasse nella sua gloria » (Vangelo di Luca 24, 26). Nel resto, qualor da Dio veramente tu voglia aiuto, e non esenzione, mira quant’alto hai da spiccare il tuo volo sull’ali della speranza! Hai da dire a Dio, che senza dubbio tu vuoi sperare in esso, perchè esso così ti impone. Ma che quando anche egli lasciasse di importelo, tu nondimeno vorresti seguitar come prima a sperare in lui, per quella sola stima, che fai della sua bontà: questo è trattarlo da quel Signore ch’egli è, benigno sopra ogni credere. « Etiam si occiderit me, in ipso sperabo — Quand’ anche egli mi desse morte, in lui spererò » ; così hai da dire ancora tu per trattarlo com’egli merita. Ma per dimostrare che non vuoi frattanto lasciar nè anche tu di operar dalla parte tua ciò che si conviene, hai subito da soggiugnere : « veruntamen vias meas in conspectu ejus arguam, et ipse erit Salvator meus — ma accuserò le opere mie dinanzi a lui; ed egli sarà mio Salvatore » (Giobbe 13, 15).