La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

GENNAIO

XXII. GIORNO

Quanto sia ragionevole temer Dio.

«Timete eum, qui postquam occiderit habet potestatem mittere in gehennam: ita dico vobis, hunc timete. — Temete colui, che dopo aver tolta la vita, ha podestà di mandare all’inferno: sì, vi dico, questo temete» (Vangelo di Luca 12, 5).

 

I.

Considera, quanto è strana cosa, che Dio con sì gran potenza ti dia sì poco timore. Se vi fosse uno il qual ti tenesse da un’alta torre pendente per li capelli, sicchè se rilasciasse la mano dovessi subito precipitar in un pozzo pieno di rospi, di scorpioni, di serpi, di draghi orribili, che colle bocche aperte ti stessero ad aspettare: saresti mai si superbo, che tu in quel tempo medesimo ardissi di voltartegli contro con un pugnale? E pur ardisci tante volte voltarti contro il tuo Dio? Non vedi misero, dove vai tosto a cadere, sol ch’egli levi la sua mano da te? Nel baratro dell’Inferno, in gehennam: e pur non lo temi, ma sei piuttosto di coloro, che lo sprezzano, che lo sii davo, che «audacter provocant Deum — da audaci provocano Dio» (Giobbe 12, 6).

II.

Considera, che voglia significare una tal Geenna. Geenna è un pozzo di fuoco, ma grande assai, giù nell’intimo della Terra, dove stanno tutte le pene, come in lor centro, e conseguentemente hanno quivi tutte maggiore attività, maggior acrimonia, che non hanno fuor di quivi. E’ un pozzo, dove, come a cloaca massima, se ne colano tutte le sozzure del Mondo, pozzo fetido, pozzo oscuro, pozzo orrido, pozzo chiuso a qualunque fiato di vento, pozzo, che benchè maggiore d’ogni altro, è nondimeno oltre modo stretto al gran numero dei dannati, che giù vi pioverà nel dl del Giudizio; ond’è, che tutti dovranno quivi poi starsene fitti insieme, ammontonati, ammassati, come una catasta di vittime, che sempre accese fumino in sagrifizio all’Ira Divina. Aggiungi, che ciascun de’ dannati peserà più, che s’egli fosse di piombo onde, che sarà, dovere addosso tenersi per tutti i secoli una soma sì sterminata: «Massam plumbeam — una massa di piombo» (Zaccaria 5, 8), di centinaia di corpi, di migliaia di corpi, di milioni di corpi, senza poterla mai scuotere un sol momento? Dovranno appunto qual piombo star tutti immobili, e benchè pieni di vessiche, di ulceri, di posteme, si sentiranno di modo ogni dì più premere, che dovranno alfine restarne più che storpi, più che schiacciati. E però figurati un poco, che pena è questa. Quando tu hai la podagra, temi in veder uno, che viene alla volta tua, e subito cominci a gridare, che non ti si accosti. Or pensa tu, che sarà fra tanti dolori, di cui tu stii spasimando, sentirti da tanti opprimere si altamente. E pure quanto ho qui detto è la sola pena, che la qualità d’un tal luogo si porta seco, per essere come un pozzo: Puteus abyssi, pozzo, che Cristo con altro nome chiamò Gehenna, che fu una Valle nella Giudea, cupa e chiusa, dove un tempo si accesero spessi fuochi per sacrificare all’Idolo Baal.

III.

Considera di nuovo, che sopra di questo pozzo Dio ti tiene ora pendente per li capelli, e però com’è possibile, che nol temi? Dì: che faresti, se uno ti tenesse pendente da un’alta torre, come già si dicea, su quel pozzo pieno di draghi? Non te gli raccomanderesti con pianti altissimi, con gemiti, con gridi, con atti i più dolorosi, che mai potessero uscire da un cuor tremante? Così bisogna, che faccia dunque ogni ora tu col tuo Dio, che «potestatem habet — ha podestà », sol che un tantino rimova da te la mano, di lasciarti andare in un pozzo, ch’è sì peggiore, «mittere in gehennam — mandarti all’inferno». Finalmente quei draghi, divorato che avessero il corpo tuo, «non habent amplius quid faciant — non possono far altro »: non potrebbono punto far danno all’anima, che ben saprebbe rimanere anche illesa fra i loro fiati. Ma nell’Inferno la minor pena sarà quella del corpo, ch’ora tu capisci; la maggior sarà quella, ch’or non intendi: sarà la pena dell’anima. Come dunque non preghi ogni dì il Signore, che si degni averti pietà?

IV.

Considera per qual ragione il Signore medesimo ha tante volte inculcato, e con tante forme questo suo continuo timore; onde avendo già detto: «Timete eum, qui postquam occiderit, habet potestatem mittere in gehennam — Temete colui, che dopo aver tolta la vita, ha podestà di mandare all’inferno », torna di nuovo a ripetere: «Sì vi dico: Ita dico vobis —questo temete — hunc timete». La ragione è, perchè vedea da una parte il bisogno grande, che di timore era al Mondo, e dall’altra parte sapea, che dovevano alcuni arrivare a dannarlo, affine di poter tutto scuoterlo un dì da sè, siccome scuote un cavallo indomito il suo morso. Hai però da sapere, che quel timore, il qual fa, che tu ritorni al Signore, o che tornato no ‘l lasci, tutto è lodevole. Però egli tanto lo bramò, quando disse: «Quis det eos talem habere mentem, ut timeant me? — Chi darà loro tale spirito, che mi temano? » (Deuteronomio 5, 29). Ma nota, che in due modi può esser il timor tuo. Puoi temere la colpa per la pena, e puoi temere la pena ancor per la colpa. Se tu temi la colpa per la pena, che Dio può darti specialmente nell’Inferno, fai bene; ma questo è tifflor da servo, e però men degno; perchè questo è quel «timor Domini — timor del Signore e, che solo «expellit peccatum — scaccia il peccato e (Ecclesiastico o Siracide 1, 27). Però ch’hai da fare? Hai da temere tutta questa pena medesima dell’Inferno, ma per la colpa, che sempre ella presuppone. Questo è timor da figliuolo, timore non sol buono, ma santo, «Timor Domini sanctus, permanens in saeculum saeculi — Timor del Signore santo, che sussiste per tutti i secoli o ; e però tanto più questo in te crescerà, quanto crescerà più quell’amore, che a Dio ti unisce.

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