APRILE
XXII. GIORNO
Necessità delle tribolazioni.
« Calicem, quem dedit mihi Poter, non bibam illum? — Non berrò io il calice, che mi diede il Padre? » (Vangelo di Giovanni 18, 11).
I.
Considera, che Cristo in queste parole, da lui già dette a San Pietro, t’insegnò una risposta ammirabilissima, ch’hai da dare al senso ribelle, quando egli non vorrebbe, che tu accettassi con prontezza di animo quella tribolazione, che Dio ti manda, quell’ignominia, quell’infermità, quell’aggravio; ma che piuttosto, cercassi assolutamente di liberartene, con modi ancora men buoni: « Calicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? — Non berrò io il Calice che mi diede il Padre?» Così tu gli hai tosto a dire: e tienti ,per fermo, che per quanto mai puoi studiare, puoi specolare, non ti avverrà di trovar risposta più atta della presente, perchè col senso non bisogna in queste materie tener trattati, ma turargli a un tratto la bocca. Se tu vorrai con esso lui far parole, vedrai come alla fine vincerà tutto: perchè non è credibile quanto sieno le sue malizie nel persuader ciò, che brama, quanto acute, quanto artifiziose, quanto apparenti; sicchè alla fine tu crederai, che sian tutti consigli retti, e ti arrenderai. Conviene adunque procedere per una via corta; e tal è l’addotta risposta, che di vantaggio contiene in sè, come in succoso compendio, tutte quelle ragioni ch’hanno forza di renderci più conformi al volere divino. Però tu intendila bene, a cagion di potertene ben valere nelle occorrenze.
II.
Considera, che il Signore primieramente diminuì 1′ apprension di quella Passione, che gli veniva incontro qual piena orrenda, chiamandola un mero Calice, Calicem. E pur ti è noto, che passione fu quella! Tutti i profeti, ogni volta che ne trattarono, la paragonarono al mare: « Veni in altitudinem maris. — Son venuto in alto mare » (Salmo 69, 3). « Fluctus tui super me transierunt. —I tuoi flutti son passati sopra di me » (Salmo 41, 8). « Fluctus tuos induxisti super me. — Le tue procelle scaricasti sopra di me » (Salmo 88, 8). Inundaverunt aquae super caput meum; dixi: Perii. — Un diluvio di acque si è scaricato sulla mia testa; io dissi: son perduto » (Lamentazioni 3, 54) : e quello ch’è più d’orrore: « Circumdederunt me aquae usque ad animam: abyssus vallavit me: pelagus operuit caput meum. — Mi han circondato fino all’anima le acque; l’abisso mi ha serrato: il pelago ha sepolto il mio capo » (Giona 2, 6). Così parlarono di tal Passione i Profeti, nè senza ragion grandissima, perciocchè in Cristo si unirono tutti i generi di dolori, che van divisi tra gli uomini, come nell’Oceano si uniscono tutti i fiumi. E contuttociò guarda, come ne parla Cristo. La chiama Calice: Calicem; nè solo in questa occasione, ma ancora in altre: « Potestis bibere Calicem? — Potete voi bere il Calice?» (Vangelo di Matteo 20, 22). « Calicem meum bibetis. — Berrete il Calice mio » « Si non potest hic Calix transire, Risi bibam illum. — Se non può questo Calice passare, senza che io lo beva » (Vangelo di Matteo 26, 42); ed una volta, che volle variar metafora, come nomi. nolla? Battesimo : « Baptismo habeo baptizari. — Ho un Battesimo, col quale debbo essere battezzato » (Vangelo di Luca 12, 50); cioè lavanda la più leggiera, delicata, discreta, che possa usarsi anche a un tenero Bambinello. E perchè procede in tal forma? per insegnarti, che quando Iddio ti manda qualche travaglio, hai da procurare di renderlo a te più soffribile, con diminuirne la stima. Ma tu fai tutto il contrario. Ti riduci a mente tutte quelle ragioni, le quali vagliono a farlo apparir più grave di quel ch’egli è. E qual maraviglia, se di poi subito ti atterrisci, stimando, che assorbir quello, sia come appunto il dover assorbire un mare? Non far così: cerca anzi quelle ragioni, le quali vagliono a farlo apparire un Calice, cioè travaglio assai piccolo. E come ti parrà piccolo? col paragonarlo singolarmente a tre cose: a’ peccati, che hai commessi; alla grazia, che ti conforta; alla gloria, che ti corona; Ad culpam qui dimittitur: ad gratiam quae immittitur: ad gloriam, quae promittitur (S.Bernardo). Cristo non potè chiamar Calice il suo patire, a forza anch’egli di un simile paragone. Perchè quanto a’ peccati n’ era purissimo; della grazia già n’era pieno; della gloria già n’era posseditore; e pure lo chiamò Calice: e a forza di che misura? a forza di. amore. Procura dunque ancora tu qualche poco d’un amor tale verso chi tanto stimò sempre soave il patir per te, e allora vedrai, che dove adesso ogni piccol Calice ti par mare, allora ogni gran mare ti parrà Calice: « Inundationem maris quasi lac suges. — Succhierai come latte la piena del mare » (Deuteronomio 33, 19).
III.
Considera, che in secondo luogo disse Cristo, che quel Calice gli era stato dato dal Padre, non da Giuda, non dagli Scribi, non da’ Farisei, ma dal Padre: Calicem, quem dedit mihi Pater. E perchè disse così? per insegnarti, che tu non hai da riguardare quella cagione immediata, da cui ti viene il travaglio; quell’avversario, s’egli è male a te procurato, o quell’accidente, s’egli è male fortuito : hai da guardar la mediata, la quale è Dio, con rammemorarti, che tutti gli avversarii, che tutti gli accidenti, che tutte le creature possibili a immaginarsi non avrebbero contro dì te forza alcuna, se da Dio non la ricevessero: « Non haberes potestatem adversus me ullam, nisi tibi datum esset desuper. — Non avresti potere alcuno sopra dí me, se non ti fosse stato dato di sopra » (Vangelo di Giovanni 19, 11). E come dunque tu ti dimentichi totalmente di Dio, nè ad altro pensi, che alle cagioni seconde? Questo è far come il cane, che morde il sasso, e non bada punto a quel braccio, che lo avventò. Qual maraviglia è però, se come il cane ancor operi senza senno, con impazienza, con ira? Ma neppur finisce qui tutto. Perocchè Cristo in cambio di dir « Pater — Il Padre », potea dir « Deus — Dio », come disse già Geremia: « Accepi Calicem de manu Domini. — Ho ricevuto il Calice dalla mano del Signore » (Geremia 25, 17): ma non disse così, disse « Pater — Il Padre » perciocchè tu pensi, che Dio, si è quegli che ti dà quel travaglio, hai da pensare, che te lo dà come Padre, ch’è quanto dire, con viscere pietosissime, per ben tuo. « Quem enim diligit Dominus corripit, et quasi Pater in Filio complacet sibi. — Perocchè dà travagli il Signore a colui ch’ei ama, e in lui pone il suo affetto come un Padre nel Figlio » (Proverbio 3, 12). Credi tu forse, che il Padre allora solamente si mostri Padre, quando abbraccia, quando accarezza? No certamente; perchè far vezzi ad un nobile pargoletto è comune ancora a coloro, che gli sono servi. Allora più si dimostra anche Padre, qualor corregge; perchè ciò a niuno de’ servi può appartenere, se non è loro espressamente commesso. E perchè, se Dio, travagliandoti, non fa altro dunque, che portarsi da Padre, tu con modo sì strano te ne perturbi? Non vedi ch’egli non perdonò neppure al proprio figliuol suo naturale, che pur era tanto innocente? Etiam proprio Filio suo non pepercit (Lettera ai Romani 8, 32). E come dunque tu vuoi, che perdoni a te? Anzi ti devi a tal esempio confondere a un segno altissimo. Perciocchè Iddio ha voluto in tal fatto usar come un Padre, il quale vedendo un suo minor figliuoletto troppo avverso alle correzioni, benchè le meriti, che fa per ammaestrarlo? corregge in sua presenza il figliuol maggiore, benchè di nulla colpevole, affinchè dalla modestia, con cui questi di subito cala gli occhi, e tace, e tollera, e verecondo s’inchina al furor paterno, impari quegli, che tosto fa l’arditello, a non risentirsi.
IV.
Considera, che di vantaggio disse il Signore: « Calicem quem detta mini Pater — 11 Calice che mi diede il Padre »; non disse: « quem dat — che mi dà », ma « quem dedit — che mi diede », per dinotare, che non era quella una nuova risoluzione, era una disposizione antichissima, fatta già dal suo Padre fino ab eterno, benchè solo allora dovesse finalmente ridursi ad esecuzione. Così hai da procedere ancor tu. Hai da ricordarti, che quel travaglio, che il Signore or ti manda, fu da esso preordinato sin da quando da lui tu venisti eletto, cioè sin dall’eternità. E la ragion è, perchè fin da quando egli ti elesse alla gloria, determinò ancora i mezzi, con cui tu dovevi necessariamente acquistartela: e tra gli altri fu quel travaglio, ch’ora ti assalisce. Sicchè se tu scuoti questo, distorni a un tratto con un disordine sommo tutta la serie della tua predestinazione, e conseguentemente ti esponi a un sommo pericolo di dannarti: perché può essere, che a un tal travaglio abbia il Signore legata di modo la tua salute, che senza d’esso non abbia mai da donartela. Certo è, che se la salute degli Uomini a veruna cosa è legata, più fortemente è legata al patire: « Omnes, qui placuerunt Deo, per multas tribulationès transierunt fideles. — Tutti quelli, che piacquero a Dio, mantenendo la fede, passaron per molte tribolazioni » (Judith 8, 23). E però, quando vuoi scuotere questo patimento presente, che Dio ti manda, temi, e trema, perché scuoti ciò, che a salvarti è più necessario. So che tu anzi n’eleggeresti qualcuno di un’altra specie, perché sempre il più duro, e il più doloroso par quello, che si patisce. Ma se Dio ha preordinato piuttosto quello di qualunque altro travaglio, che vuoi tu fare? « Si non potest hic Calix transire. nisi bibam illum. fiat voluntas tua. — Se non può questo Calice passare, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà » (Vangelo di Matteo 26, 42): non « Calix — Calice » semplicemente, ma « Calix hic — questo Calice ». Vuoi tu ribellarti alla sua determinazione? non ti figurare nell’animo, che ti abbia sol permesso un tal Calice quasi a caso. L’ha destinato con modo particolare a te, come a te, dedit tibi, non sol « permisit — lo permise »; ma « dedit — lo diede », e « dedit tibi — lo diede a te », perchè conobbe il tuo bisogno speciale, misurò il tuo fervore, misurò le tue forze, e con tutti questi riguardi il preordinò: « Potum dabis nobis in lacrymis in mensura. — Bevanda di lagrime darai a noi con misura » (Salmo 80, 6). Mira dunque, s’è giusto, che accetti questo: questo, dico sì; questo, questo, « Calicem, quem dedit — quel Calice, che mi diede », non altro qual tu vorresti. E’ tanto giusto accettarlo, che non solo l’hai da accettare, ma da gradire, ma da gioirne, ma da renderne ancora divote grazie, mercè l’alto favor, che gli va.connesso, che è la elezione alla gloria: « Calix mens inebrians, quam praaeclarus est! — Quanto è mai buono il mio Calice, che m’innonda di gioia! » (Salmo 23, 5).
V.
Considera, che finalmente disse il Signore: «Non bibam illum? — Non lo berrò?» per continuare la metafora, che avea folta dal Calice a lui proferto; ma che volle ancor di vantaggio accennar con ciò? che quel travaglio è un travaglio al fine che passa, mentr’è bevanda. Tu bevi la medicina. Provi, non si può negare, in tal atto amarezza somma, provi sdegno, provi schifezza; ma finalmente questo bere si termina, e tra non molto succede all’amarezza della medicina il piacer della sanità. Altrettanto è nel caso nostro. Quanto dovrà mai durare quel gran travaglio, in cui ti ritrovi? un intero secolo? Alla fine ancor passerebbe: ma durerà molto meno, venti anni, dieci anni, talvolta anche un solo mese : « Sanitas tua citius orietur. — La tua salute verrà più presto » (Isaia 58, 8), che tu non pensi. E tu perciò ti vuoi tosto smarrir di volto? non ti smarrire. Piglia pure da tuo Padre il Calice con man ferma, accostalo alle labbra, sorbiscilo, succhialo, che questo è beverlo tutto, non « aliquid illius — parte di lui », ma « illum — tutto lui »: perchè s’è amaro, è Calice finalmente di medicina, che all’amarezza farà tra poco succedere la salute: « Calicem salutaris accipiam. — Prenderò il Calice di mia salute » (Salmo 115, 13).