OTTOBRE
XXI. GIORNO
Sopra le parole « Adveniat Regnum tuum ».
« Adveniat Regnum tuum. — Venga il tuo Regno »
I.
Considera come dopo il ben di suo padre ogni retto figliuolo può giustamente, anzi deve pensare al proprio. Ma a quale in prima? A quel che in prima egli deve amare, e apprezzare. E tal è senza dubbio l’eredità. Questo è ciò, che a lui devesi sopra ogni altro, come a figliuolo. Si filii, et haeredes (Lettera ai Romani 8, 17). E questo è ciò, che qual figliuolo egli deve sopra ogni altro ancor procurare di porre in salvo. Ecco però la ragione, per cui dopo aver detto noi al nostro Padre superno : « Sanctificetur nomen tuum —Sia santificato il nome tuo », vuol Cristo, che immediatamente gli soggiunghiamo : « Adveniat regnum tuum — Venga il tuo regno » ; perchè, se è giusto che noi, dopo aver pensato alla gloria del nostro padre, pensiamo a noi, niun’altra cosa abbiam per noi da bramare più istantemente, o da procurare, che di por bene in sicuro l’eredità, la quale a tutti i figliuoli è nella casa paterna il conseguimento del loro ultimo fine. Nè ti stupire, se possiamo a Dio chiedere con franchezza una simile eredità. Perchè non è dell’eredità celestiale, com’è delle altre. Se qui un figliuolo brami l’eredità, che dal suo padre carnale gli è apparecchiata, per questo istesso non merita di ottenerla. Mercè che questo altro non è, che un bramare la morte al padre. Ma dell’eredità celestiale, apparecchiataci dal nostro Padre superno, non è così. Perciocchè questa altro più non è, che godere di lui medesimo: « Dominus pars, cioè tota pars aereditatis meae — Il Signore è la porzione, tutta la porzione della mia eredità » (Salmo 16, 5). Veder lui, unirsi a lui, vivere in lui; e però tanto è dimandare a lui, che ci ammetta all’eredità, quanto è dimandargli, che ci conceda di stare insieme tutti i secoli eterni con esso lui. E tu non ti senti innamorare ornai di sì splendida eredità? Oh che eredità dilettevole! Oh che eredità doviziosa! « Haereditas mea prxclara est mihi. — La mia eredità è preziosa per me » (Salmo 16, 6). Non ti par giusto di chiederla ogni momento? « Adveniat regnum tuum — Venga il tuo regno ». Non però si dice qui a Dio: « Veniamus ad regnum tuum — Venghiamo al tuo regno », ma « Regnum tuum adveniat — Venga il tuo regno », cioè « Regnum tuum veniat ad nos — Venga a noi il tuo regno », perchè quando si tratta di eredità, così dee trattarsi. Non si dee voler mai prevenire l’ eredità, ma dee aspettarsi, che l’eredità, pervenendoci, giunga a noi.
II.
Considera come Cristo non ha voluto, che noi qui, chiedendo al Padre in sostanza l’eredità, glie la chiediamo altrimenti sotto un tal nome, ma sotto nome di Regno: Adveniat Regnum tuum, affinchè facessimo di tale eredità quella stima, che si conviene. Non creder già, che ereditando la visione beatifica, abbiamo ad ereditar un bene da niente. Erediteremo un Regno, che non ha pari; perchè erediteremo quell’istesso Regno, il qual è proprio di Dio, cioè la Beatitudine: « Haeredes Regni, quod repromisit Deus diligentibus se. — Eredi del Regno, che Iddio promise a coloro che lo amano ». Noi non sappiamo mai figurarci maggior beatitudine sulla terra, che quella di un re sovrano. Perchè il regnare ci par che sia quello stato, che in sè contiene un aggregato perfetto di tutti i beni : « Status bonorum omnium aggregalione perfectus. — Stato perfetto per l’aggregazione di tutti i beni ». Chi regna ha ciò che vuole. Vuol danaro, ha danaro; vuol conversazione, ha conversazione; vuol corteggi, ha corteggi; vuol delizie, ha delizie; vuol cacce, ha cacce; vuol musiche, ha musiche: che però Dio così circoscrisse il Regno di bocca propria, quando il diede a Geroboamo « Te autem assumam, et regnabis super omnia quae desiderat anima tua. — Io prenderò te, e regnerai sopra tutto quello, che tu più ami ». Ma sopra tutto chi regna ci par beato, perchè egli è padrone assoluto di tutti i popoli, e di lor dispone a suo modo. Vero è che una tale beatitudine sulla terra troppo è imperfetta. Perchè, qual è quel gran re, che non sia privo di moltissimi beni, che ancor vorrebbe; che di più da popoli non riceva disubbidienze, ritrosità, ribellioni, e mille sorta d’infedeltà almeno occulte? Il regnar proprio si è solo in Paradiso; mentre di Dio stesso vediamo che sulla terra, quantunque ne sia Re sì verace e sì universale: « Rex omnis terrae Deus — Dio è il Re di tutta la terra » (Salmo 47, 8); contuttociò neppur egli vi regna in guisa che non vi riceva da molti disubbidienze più che ordinarie. Anzi quante sono le guerre, che tutto dì gli muovon contro i suoi figliuoli medesimi congiurati con Satanasso re delle tenebre? Solo si può dir daddovero, ch’ei regni in Cielo, dove tutti i Beati rendono a lui quella soggezione interissima, che fuor del Cielo non gli rende forse veruno, neppur dei giusti. E più anche vi regnerà, quando affatto distrutto il regno diabolico, avrà egli già finito di mettersi sotto i piedi tutti i ricalcitranti, tutti i ribelli, e regnerà quietamente co’ suoi figliuoli pacifici in pace eterna : « Sion, regnabit Deus tuus. — Sionne, il Signore Dio tuo regnerà » (Isaia 52, 7). E questo propriamente è quel regno, che qui chiediam nel dir a Dio : Adveniat regnum tuum: chiediamo quella sovrana Beatitudine che ci farà regnar con lui tutti i secoli sulle stelle; quando con aver Dio, avremo tosto ogni ben desiderabile, « regnabimus super omnia quae desiderat anima nostra — regneremo per verità sopra tutto quello, che più amiamo » : nè mancheremo di vederci ancora soggetti con pace somma non solamente tutti i nostri moti inferiori, ma ancor tutti i dannati, tutti i demoni, che Cristo Giudice dovrà l’estremo dì sottomettere ancora a noi con quelle parole : « Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis Regnum a constitutione Mundi. — Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato a voi sin dalla fondazione del Mondo » (Vangelo di Matteo 25, 34).
III.
Considera come noi, domandando al Padre un tal Regno, parea che potessimo dire : « Adveniat Regnum nostrum —Venga il nostro regno », perchè se un tal Regno è, come si è detto già, quell’eredità, che a noi si appartiene come a figliuoli di Dio, parea che potessimo per conseguente anche chiederlo come nostro, paratum nobis. Ma Cristo non ha voluto. Ha voluto egli, che si dica a Dio Adveniat Regnum tuum, non Adveniat Regnum nostrum. Perchè quantunque il Paradiso abbia ad essere Regno vero, non solo del nostro Padre celeste, ma anche di noi, che siam suoi figliuoli adottivi; contuttociò ad operar santamente non 1′ abbiamo mai da bramar come regno nostro, ma come suo. Questo è diportarsi da figliuol nobile : amare l’eredità, ma non amarla, almeno principalmente, per proprio comodo; amarla per poter fare con essa più onore al Padre. Quindi è, che quando tu dici qui al tuo Signore : « Adveniat Regnum tuum — Venga il tuo Regno », non hai da pensare a nulla più che a quel Regno, il qual Iddio possederà allora sì libero sopra di tutto te, quando non rimarrà più nulla in te di te stesso che a Dio ripugni, o che da Dio si rimuova, ma sarai sempre tutto suo con la volontà, suo con la immaginazione, suo con l’intelletto, suo con la lingua, suo con qualunque particella anche minima di te stesso : « Regnabit Dominus super eos in Monte Sion, ex hoc nunc, et usque in saeculum. — Sopra di loro regnerà il Signore nel Monte di Sion, da questo punto fino all’eternità » (Michea 4, 7). Tale è il precipuo godimento, il quale hanno i Beati in Cielo, non d’esser Re, ma di veder che Dio regni sopra d’essi, super eos. E però quando essi ringraziano Cristo di quella Beatitudine, ch’egli ha loro ottenuta col proprio sangue, dicono tutti a lui con voci concordi : « Redemisti nos Deo in sanguine tuo ex omni tribu etc. et fecisti nos Deo nostro regnum, et Sacerdotes, et regnabimus super terram. — Ci hai ricomperati a Dio col tuo sangue di tutte le tribù ecc. e ci hai fatti pel nostro Dio regno e Sacerdoti, e regneremo sopra la terra » (Apocalisse di Giovanni 5, 9). Prima lo ringraziano, perchè sono stati da Dio fatti Regno : Fecisti nos Deo nostro Regnum, cioè perchè Dio dovrà regnar pienamente sopra di loro. E dipoi lo ringraziano, perchè sono essi stati anche fatti Re, ma Re Sacerdoti, quali erano tutti i Re del popolo eletto, cioè Re tali, che su toriboli d’oro, dovevano offerire a Dio sempre incenso di lodi eterne : « et fecisti nos Deo nostro Sacerdotes, et regnabimus super terram — E ci hai fatti pel nostro Dio Sacerdoti, e regneremo sopra la terra », cioè « Sacerdotes etiam regnantes super terram — Sacerdoti anche regnanti sopra la terra », regnantes su tutto ciò, che insieme con Dio dovranno tener anch’essi per tutti i futuri secoli sotto i piedi. Sicchè tu scorgi, che prima godon di esser Regno di Dio, e dipoi godon di dovere con Dio regnare ancor essi. E un sì bell’ordine, qual è questo, che tengono i Santi in Cielo, hai da tener tu parimente sopra la terra : essi godono più senza paragone d’esser Regno di Dio, che non d’esser Re, e così questo senza paragone hai pur tu da desiderare, qualunque volta tu porgi a lui questa supplica, e torni a dirgli : « Adveniat Regnum tuum — Venga il tuo Regno » ; non tanto che tu debba regnar con Dio, quanto che debba Dio nell’ istesso tempo regnar in modo perfetto sopra di te.
IV.
Considera come due ordini di persone si trovano sulla terra, che mai non possono dir a Dio, come le altre, con buona fronte queste parole : « Adveniat Reynum tuum — Venga il tuo Regno ». Il primo è quello de’ peccatori ostinati; e l’altro è quello di quei giusti imperfetti, ch’hanno il cuore attaccato più del dovere alla loro vita mortale. Non possono dirle i peccatori ostinati, perciocchè, che altro in buon linguaggio essi chieggono, quando qui chieggono a Dio, che venga il suo Regno, se non che venga la lor final dannazione? Iddio certamente ha da regnar tutti i secoli sopra tutti, non pur sui giusti, ma ancora sui peccatori : Regnabit Deus super gentes. Ma molto diversamente. Sui giusti egli regnerà in Paradiso; sui peccatori egli regnerà nell’Inferno. E così i giusti saranno Regno di Dio, perchè Iddio regnerà sopra tutti loro qual Monarca d’amore su tanti Re, che coronati da lui godranno per contraecambio di sottometter a gara le loro corone al suo Trono augusto. E i peccatori saranno Regno di Dio, perchè Iddio pur regnerà sopra tutti loro, mna qual Monarca d’orrore su tanti schiavi, che da lui condannati a carcere eterno, tenteranno in vano di scuotere le catene di ferro, e i ceppi di fuoco, sotto cui gemendo, vorrebbono disperati darsi da se medesimi ancor la morte, ma non potranno. E però ecco quel che per sè addimandano senza accorgersene i peccatori ostinati, quando addimandano a Dio che venga il suo Regno : Advenial Regium tuum. Addimandan che venga quella schiavitudine eterna, che lor si deve nel baratro degli abissi. « Vae desiderantibus diem Domini. — Guai a quelli, che desiderano il dì del Signore » (Amos 5, 18). E non possono dire queste parole quei giusti così imperfetti, i quali vivono troppo attaccati alla loro vita mortale, perchè, con qual fronte possono a Dio dimandare, che venga il suo Regno, se son nel loro cuore sì mal disposti, che quasi dissi rinunzierebbono per tutt’i secoli il Cielo, sol che Dio concedesse loro di poter con buona coscienza restarsi per tutt’i secoli in questa terra? Però qualunque volta tu reciti il Pater noster, pensa un poco fra te, in che stato ti trovi, quando addimandi a Dio, che venga il suo Regno. E se vivi in peccato, temi e trema, al pericolo in cui dimori, ove il Regno accostisi « Appropinquavit in vos Regnum Dei. — Si è avvicinato a voi il Regno di Dio » (Vangelo di Luca 10, 9). E se sei troppo attaccato ancora alla terra, procura di distaccartene: perchè, com’è mai possibile che tu viva sì affezionato ad un casale, o ad una capanna (se pur è tanto la terra rispetto al Cielo) che per non dipartirtene ti fia grave l’andare in altro paese, benchè lontano, a pigliar possesso di un regno smisuratissimo, che ti appartiene a titolo di retaggio? Anzi quando tu qui fossi non personaggio, non principe, ma anche Re de’ più rinomati, hai da dir sempre fra te, come disse Cristo : « Regnum meum non est de hoc mundo. — Il regno mio non è di questo mondo » (Vangelo di Giovanni 18, 36). Non disse « in hoc mundo — in questo mondo », ma « de hoc mundo — di questo mondo », perchè per verità egli era Re, non solo dell’altro mondo, ma ancor di questo. Contuttociò di questo non si curava, ma sol di quello : e però disse, ch’era Re di là, non di qua; perchè dal regno terreno egli non cavava le proprie consolazioni, ma dal Celeste: « Regnum meum non est hinc. — Il mio regno non è di qua ». Se farai così, ti avvezzerai a poter dire anche tu con affetto sommo in vita, ed in morte al tuo Padre Celeste queste sì belle parole : « Adveniat regnum tuum — Venga il tuo regno ». In vita con sentimento di chi desidera che venga ancora per lui il Regno di Dio, come vien per tanti. In morte con sentimento di chi scorgendolo già già arrivare, gli dà, com’è convenevole, il ben venuto.
V.
Considera, che quantunque non ti riesca o di scuotere ancora da te il peccato, o di deporre quell’eccesso di amor che porti alla terra, non devi però stimare che il Pater noster sia un’Orazione o troppo inutile a te nello stato tuo, o troppo indecente, e come tale lasciare di recitarla. Prima, perchè in essa tu ori a nome comune, orando sempre in plurale; e però una tale orazione non ti è indecente, perchè se conosci di non poter allor chiedere il ben per te, lo chiedi per altri, e così eserciti un atto di carità. Secondo, perchè con essa tu ori, se non altro materialmente, e così eserciti un atto non solo di carità, ma di Religione almeno esteriore : atto che è facile alle persone divote, ma alle indivote è molesto. Quindi è, che una tal orazione nemmen ti è inutile, perchè in riguardo di quell’atto medesimo materiale ch’è caro a Dio, tu lo puoi muovere a donarti omai grazia tale, che uscendo affatto dal tuo misero stato possi finalmente dirgli tu ancora con buona faccia, non più solo per altri, ma ancor per te : « Adveniat regnum tuum — Venga il tuo regno ».