FEBBRAIO
XXI. GIORNO
Abuso che fa il peccatore del tempo.
« Dedit ei Deus locum poenitentiae, et ille abutitur eo in superbiam.— Diegli Dio spazio di penitenza, ed ci ne abusa a divenir più superbo » (Giobbe 24, 23).
I.
Considera maraviglia! Deus, Iddio, un Signor di tanta maestà, offeso, oltraggiato, da chi? da un uomo, cioè da un verme vilissimo della terra, da un suo suddito, da un suo schiavo: gli dà, dedit ei, non per obbligo alcuno, che a ciò lo stringa: per mero affetto, per mero amore, gli dà, dico, con dono tutto gratuito locum poenitentiae, gli dà comodità di pentirsi, gli dà tempo, gli dà stimoli, gli dà aiuti; e l’uomo che fa? et abutitur eo in superbiam, e l’uomo se ne abusa in peccar più fastosamente. Oh stravaganza! oh stupore! Chi mai potrebbe credere sì gran caso, se non si vedesse continuo? Ammirerai la gran bontà del Signore, e deplorerai la corrispondenza bestiale, che ne riporta,
II.
Considera la prima cagione, per cui si dice, che il Peccatore del tempo da Dio donatogli « abutitur in superbiam — si abusa a divenir più superbo »; ed è, perchè dal vedersi concedere questo tempo medesimo piglia ardire. Se il Signor lo punisse subito, oh come s’umilierebbe! perchè lo preserva, perché lo prospera, perchè gli lascia godere un’età fiorita, per questo più insolentisce. Oh che superbia, abusare di sì gran longanimità! « Quia non profertur cito contra malos sententia, absque timore ullo filii hominum perpetrant mala. — A motivo che non così subito è proferita la sentenza contro i cattivi, per questo i figliuoli degli uomini fanno il male senza paura » (Ecclesiastico o Qoèlet 8, 11).
III.
Considera la seconda cagione, per cui si dice, che il Peccatore « abutitur in superbiam — si abusa a divenir più superbo »; ed è, perchè dappoi, ch’egli ha proceduto in questa brutta forma medesima, che si è detto, presume tuttavia di aversi a salvare. Pretende di aggiustare sull’ultimo le sue cose con somma facilità, con un picchiamento di petto, con un singulto, con un sospiro: e si promette di conseguire con leggierissima pena quel Paradiso medesimo, che ad altri è costato tanto. Oh che arroganza, oh che albagìa, figurarsi sì fortunato, che mentre de’ peccatori simili a lui, cento mila son quei che muoiono male, un solo che muoia bene, spera d’essere egli quell’uno mostrato a dito per prodigio grandissimo, come si fa di colui, che è scappato salvo da un’alta rotta campale! Tamquam qui evaserit in die belli. (Ecclesiastico o Siracide 40, 7).
IV.
Considera, se a sorte fossi tu questo Peccatore orgoglioso di cui si parla. Almeno non è verissimo, che ancor tu ti sei più volte ingratamente abusato della misericordia Divina? Pensaci un poco. Ti servi adesso tu della vita a quel fine appunto, per cui da Dio ti è donata? Sai che ella non è altro, che spazio di penitenza, locus poenitentiae? Tu la riconosci per tale? Compungiti, confonditi, umiliati, e guarda bene, perchè questo sarà il torto sommo, che farai a Dio, se « abuteris in superbiam — ne abusi a divenir più superbo ».