La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

OTTOBRE

 

XIX. GIORNO

Sopra le parole « Qui es in Coelis ».

« Qui es in Coelis. Che sei ne’ Cieli ».

 

I.

Considera come un Padre sì nobile, qual è quello, che si è descritto nelle due precedenti meditazioni, ben si conosce non poter esser alcun padre terreno. Contuttociò a distinzion più cospicua di tutti loro, dopo aver detto noi « Poter noster — Padre nostro », dobbiamo aggiugnere subito: « Qui es in Coelis— Che sei ne’ Cieli ». E per qual fine? Forse attiri di cattarci, com’è costume, la benevolenza di esso, con un preambolo sì specioso, e sì splendido, qual è questo? No certamente. Perciocchè tali artilizi sono tutti superflui, parlando al padre. Lo dobbiam fare, per eccitar noi medesimi a ricordarci, che parliamo a un Padre celeste : e che però ad un tal Padre non dobbiamo chiedere nulla mai di terreno, almeno qual ultimo fine de’ voti nostri; ma che gli dobbiam solo chiedere ciò che è degno di chiedersi a sì gran Padre: « Quae sursum sunt qiuerite, quae sursum sunt sapite: non quae super Terram. — Cercate le cose di lassù, abbiate pensiero delle cose di lassù, non di quelle della Terra » (Lettera ai Colossesi 3, 1). Non pare a te, che faresti al Sole un gran torto, se qualor egli fosse dotato di senso, gli andassi a chiedere lambrusche, giunchi, ginestre, ranocchi ignobili? E’ vero, che da lui pure devi tu riconoscere questi parti, che sono agli uomini anch’essi di qualche pro. Contuttociò dovendo indirizzar prieghi al Sole, gli chiederesti fiori, frumento, oro, perle, piropi, diamanti eletti, perciocchè questi sono i suoi doni più propri. Così quantunque vengano da Dio tutti i beni ancor temporali, contuttociò, se tu vuoi punto trattarlo da quel ch’egli è, non gli hai da chieder quei beni, che chiederebbongli anche i cavalli, anche i cani, se a lui parlassero. Gli hai sol da chiedere quei, che egli si gloria di dare, quali sono tutti i belli spirituali, perciocchè gli altri, se ti saranno giovevoli, ti verran dati da esso, benchè non chiesti: « Haec omnia adjicientur vobis. — Avrete di soprapiù tutte queste cose » (Vangelo di Matteo 6, 33). Che stile dunque è il tuo nelle suppliche che tu porgi a così gran padre? Lo tratti da quel ch’egli è? da Padre celeste? Tu ad un tal Padre dimandar cose da niente, come se tu fossi un Gentile? Ad un sì savio, dimandar cose inette? Ad un sì santo, dimandar coseinique? Gli fai torto maggiore nel far così, di quello, che tu faresti ad un Re sovrano, quando con alte istanze gli andassi a chiedere, che si degnasse colmarti il seno di lezzo.

II.

Considera come, affine di rammemorarci, che ad un Padre celeste non dobbiam dimandare, se non quei beni, che sono proporzionati alla sua Maestà, sarebbe stato bastevole, che noi nell’invocarlo dicessimo « Pater noster — Padre nostro », e poi soggiungessimo incontanente « Ccelestis — Celeste » : giacché tale è il suo titolo pur usato : « Respicite volatilia Coeli, etc. Pater vester Coelestis pascit illa. — Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell’aria, ecc. il vostro Padre Celeste li pasce » (Vangelo di Matteo 6, 26). Cristo nondimeno ha voluto, che qui piuttosto di dir « Coelestis — Celeste », dicessimo, « quis es in Coelis — che sei ne’ Cieli ». E perchè ciò? perchè solleviamo più vivamente lo spirito da quella bassa parte di mondo, ove noi viviamo, e lo portiamo di subito quasi a volo alla più sublime, che sono i Cieli eccelsissimi, su tutti i quali noi sogliam figurarci, che Dio soggiorni, come in sua Magione Reale : « Ad te levavi oculos meos, qui habitas in Coelis. — Alzai gli occhi miei a te, che fai tuo soggiorno ne’ Cieli » (Salmo 123, 1). Non è oramai chi non sappia, che Dio dimora per tutto all’istesso modo : « Quo ibo a spiritu tuo? — Dove andrò io lontano dal tuo spirito? ». Egli è ne’ campi, nelle montagne, ne’ mari, e infin negli abissi : « Si descendero in Infernum, ades. — Se scenderò nell’Inferno, tu se’ presente » (Salmo 139, 8). Contuttociò più propriamente si dice, ch’egli è ne’ Cieli : « Qui habitat in Ccelis, irridebit eos — Colui che ne’ Cieli risiede, si burlerà di costoro » (Salmo 3, 4), perchè siccome ancor lo spirito nostro, benché stia tutto in qualunque parte animata del corpo, per infima, ch’ella sia, si dice tuttavia con maniera più singolare, ch’egli è nel cuore, e nel capo, perchè ivi esercita le sue più riguardevoli operazioni, nel cuore, come principio della vita animalesca, nel capo, come principio della vita intellettuale; così quantunque Iddio pure sia sempre tutto in qualunque infima parte dell’universo, si dice non per tanto in più proprio modo, ch’egli è ne’ Cieli, habitat in Ccelis; nel Cielo Etereo, e nel Cielo Empireo, perché ivi esercita tutte le sue operazioni più segnalate; nell’Etereo, qual Monarca dell’ordine naturale, e nell’Empireo, qual Monarca dell’ordine soprannaturale : « Habitaculum ejus sursum. — Colassù è il suo abitacolo » (Deuteronomio 33, 27). Se non che il nostro spirito è contenuto dal corpo, entro cui dimora come in un suo ricettacolo; ma Dio non è contenuto. Anzi con maniera ineffabile contiene in sè quegli spazi stessi vastissimi, entro cui grossamente noi ci fingiamo, che stia compreso, e con più vasta immensità gli trapassa: « Elevata est maanificentia tua super Coelos. — La tua maestà è elevata fin sopra de’ Cieli » (Salmo 9, 2). Questo è pertanto ciò, che prima di ogni altro hai da procurare, qualunque volta ti metti a fare orazione; levar la mente da terra con viva fede, e portarla più alto, che tu mai possa, cioè non solo laddove il tuo nobil Padre. crual Monarca dell’ordine naturale, manda auaguiù tutti quegli influssi più propizi, e più puri, che piovono a noi dagli astri : ma ancor laddove qual Monarca dell’ordine soprannaturale fa beati tanti Angeli, tanti Arcangeli, e tante schiere di Eletti, che lo circondano con augusta corona, perciocchè (Tuella propriamente è la stanza, che il tuo buon Padre tien apparecchiata anco a te, se tu la vorrai. Quindi è, che Cristo qualor faceva orazione, soleva anch’egli levare al Cielo i suoi occhi: « Sublevatis oculis in Coelum, dixit: Pater, venit bora: clarifica Filium tuum, etc. — E levati gli echi al Cielo, disse; Padre, è giunto il tempo; glorifica il tuo Figliuolo ecc.» (Vangelo di Giovanni 17. 11) Per insegnarne che molto più, quando vogliam farla noi miserabilissimi, dobbiamo rappresentarci, che il nostro Padre stia ad ascoltarci dall’alto, affin di staccar di terra lo spirito, nel parlare, che a lui facciamo, giacchè per ora non ne possiamo distaccare anco il corpo. E questa è la prima ragione, per cui il Sianore non ha qui voluto, che dicasi « Pater noster Coelestis — Padre nostro Celeste », ma « qui es in Coelis — che sei ne’ Cieli », per eccitare con la presenza locale Più vivamente la fede, nel Principio dell’Orazione, a creder, che Dio v’è, ed è ne’ Cieli, qual caro Padre, ad udirne su regio trono : « In Coeln sedes eius. — Nel Cielo ha sua sede » (Salmo 11, 5).

III.

Considera come Cristo ha voluto, che qui anzi si dica « Pater, qui in Coelis es — Padre, che sei ne’ Cieli », che « Pater Coelestis — Padre Celeste », non solamente per eccitare in noi più viva la fede, come or si è detto, ma per eccitar con la fede ancor la speranza, necessaria in sommo a chi ora. E’ indubitato, che la speranza sempre di sua natura tende a cose ardue, eccelse, eminenti: giacchè le cose agevoli non si sperano : « Quod videt quis, quid sperat? — Come sperare quel che uno vede? » (Lettera ai Romani 8, 24). Si tengono quasi in conto di possedute. Dovendo adunque in questa Sacra Orazione Dominicale far tu or ora a tuo Padre dimande grandi, ti giova infinitamente il figurartelo lassù nel sommo de’ Cieli; perchè così tosto intendi, che solo a un porgerti, che di là ti faccia, di mano, ti potrà levar seco a posti anche altissimi .. « Misit de summo, et accepit me, et assumpsit me. — Mi porse la mano dall’alto, e mi prese, e mi trasse » (Salmo 18, 17). Nè dir per avventura, che stando egli sì in alto, ti dovrà facilmente smarrir di vista, massimamente fra tanti uomini, e tanti di te maggiori fra cui tu vivi. Ch’anzi per questo medesimo hai da sperar di non venir da lui smarrito di vista, perchè egli sta tanto in alto : « In altis habitat, et humilia respicit. — Abita in alto, e delle basse cose tien cura » (Salmo 113, 5). Perchè il Sole sta in posto così elevato, non è chi sulla terra diffidi di poter al pari aver parte nei suoi favori. Sia pur egli al mondo unico non importa; ciascun ne gode. Tanto egli di là rimira con attenzione un piccolo fiore, quanto rimira un’infinità di palme, di cedri, di cipressi, di platani, appo cui quel fiore sparisce, più che un pigmeo tra un popolo di giganti : « Sol illuminane per omnia respicit. — Il Sole lucente illumina tutte le cose » (Ecclesiastico o Siracide 42, 16). E perchè dunque temi tu meschinello nell’ immensità di tanti uomini riguardevoli, in tam immensa creatura, che Dio non debba discernere ancora te ? Ti discerne assai più, che il Sole stesso non discerne quel fiore fra tante piante. Anzi siccome il Sole dal comunicar se medesimo a tante piante, che sulla terra germogliano a mille a mille, non lascia di comunicarsi tutto frattanto a quel fiore ancora, come se sulla terra non avesse egli altro oggetto su cui versar la piena de’ suoi splendori: così fa Dio pur a te, sol che tu non ponga riparo, che l’impedisca. E però quando tu dici a lui : « Qui es in Coelis — Che sei ne’ Cieli », confida pure, perchè non senza ragione egli vuol, che tu te lo figuri sì in alto, e non già chiuso in un tempio, o in una tribuna, come tra’ Giudei se ‘l figurava una volta la turba semplice, la qual però dava a credersi, che per orare fosse di necessità correr ogni volta a trovarlo nel Tabernacolo. L’hai su ne’ Cieli: « In Sole posuit tabernaculum suum — Ha posto nel Soie il suo tabernacolo », in luogo anerto, in luogo ampio, in luogo elevato; l’hai, dico, in parte, ove ascoltati donde vuoi, da piani, da monti, da peschiere, da mari, da giardini, da boschi, basta che di là tu lo chiami : « Clamabo ad Deum Altissimum. — Alzerò le mie grida al Dio Altissimo » (Salmo 57, 3). Perciocchè standosi egli, non pur nel Sole, ma più infinitamente anche su del Sole, non v’è pericolo, ch’egli non ti abbia presente in qualunque lato, più di quel, che ti abbia presente l’istesso Sole: « De Calo respexit Dominus: vidit omnes filios hominum. — Dal Cielo mirò il Signore: vide tutti i figliuoli degli uomini » (Salmo 33, 13). E pur v’è di più. Perchè siccome dallo star Iddio tanto in alto, ne viene, che per conseguente egli vegga con libertà tutto ciò, che vuole, come facciam noi da una torre rilevatissima, cosi pure ne viene che il possa. E per qual ragione? Perchè nessuno lo domina. Il tuo Padre è ne’ Cieli, est in Ccelis, e v’è senza dubbio qual loro moderatore. Adunque, che temer tu la fatalità degli aspetti a te dispettosi, come i Gentili, che però stimavano inutile ogni Orazione? tutto l’opposto: « A signis Cali nolite metuere quae timent gentes. — Non temete i segni celesti, de’ quali hanno timore le genti » (Geremia 10, 2). Il tuo gran Padre sta in luogo, donde tien tutte sotto di sè queste cagioni, da noi chiamate seconde, tutte le intelligenze, tutte le sfere, tutte le stelle, tutte le potenze inferiori; e però qual di queste si troverà, che gli possa ostare all’esecuzione de’ suoi Divini decreti, s’ei vuol salvarti? Nessuna affatto: « In ditione tua cuncta sunt posita, et non est qui possit tuae resistere voluntati, si decreveris salvare Israel —In tuo dominio sono tutte le cose, e non avvi chi al tuo volere resister possa, quando tu abbi risoluto di salvare Israello », diceva a Dio Mardocheo nelle sue afflizioni. E questo è quello, che gli dici anche tu, ma più compendiosamente, qualor gli dici : « Pater noster qui es in Coelis — Padre nostro che sei ne’ Cieli ».

IV.

Considera come questa forma di dire, insieme con la fede, e con la speranza, vale a eccitar in te similmente la carità, perchè non può essere, che esprimendo qui con un poco di riflessione, qual sia quel luogo, ove il tuo gran Padre risiede, tu non goda infinitamente della sua cosi giusta felicità. Di un Re non si dice mai, ch’ egli sia in quella città, nella quale dimora incognito, si dice, ch’egli sia solo in quella, nella qual egli è Conosciuto, amato, apprezzato, e corteggiato da’ popoli ossequiosi, qual è fra tutte l’altre la sua metropoli. Il tuo Padre è Re generale dell’Universo, non ve n’ha dubbio; anzi per verità egli è da per tutto; tanto è in terra, quanto è su in Cielo. Ma in terra si può dir, che stia come incognito, tanto poco qui ricev’egli di quegli ossequi, che sono dovuti alla sua sovrana Maestà. E però si può quasi dire, che qui non v’è. Dov’è? E’ su ne’ Cieli, dove daddovero è trattato da quel ch’egli è: « Omnes cognoverunt eum a minimo usque ad maximum.— Dal più piccolo fino al più grande tutti il conobbero » (Geremia 31, 34). E cosi quando tu dici a lui: « Qui es in Coelis — Che sei ne’ Cieli », che devi fra tanto intendere con quell’« es — sei »? Devi intendere, « es cognitus, es amatus, es collaudatus, es glorificatus, es exaltatus. —Sei conosciuto, sei amato, sei lodato, sei glorificato, sei esaltato ». E in un tal dire, oh quale unitamente dev’essere la tua gioia! E’ vero, che misurando tu allora la gran distanza ch’è dalla terra, in cui tu vivi, qual figliuolo esule dal Cielo; ti verrà voglia di aver quasi ali di colomba da giugnere sin lassù a trovare il tuo caro Padre. Ma non l’avrai : e però ancora ti affliggerai con dir ansioso fra te : « Quis mihi tribuat ut cognoscam illum, et inveniam affini et veniam usque ad solium ejus? — Chi mi darà di poter conoscerlo anch’io, e di saper trovarlo, e giugnere fino al suo trono? » (Giobbe 23, 3). Ma non importa. Questo pur sarà effetto di carità. E però questo dovrà pur muovere tanto più il Signore ad udir la tua Orazione. Quel figliuolino, il quale vede il gran re suo padre, assiso su trono augusto, vorrebbe subito andar la su per tanti gradi a posarsi sulle sue braccia: ma non ha lena; però, che fa? Non potendo far altro, si mette a piagnere. E con ciò riman consolato: perchè piagnendo, obbliga il Padre stesso a discendere fin dal trono ad accarezzarlo. Così avverrà pur di te. Con quelle lagrime, che spargerai nel vedere il Padre tuo così all’alto, e te così al basso, farai, ch’egli subito discenda a te per amore, e che a sè ti unisca, infine, a tanto, che giunga l’ora di chiamarti a sè qual figliuolo già fatto adulto, su quel trono medesimo, ov’egli siede, a sedere insieme, e a regnare con esso sè.

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