La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

LUGLIO

 

XIX. GIORNO

Quanto sia da temersi il Giudizio, e quanto l’abbiano temuto i santi.

 

« Non intres in judicium cum servo tuo, Domine: quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens.— Non entrare, o Signore, in giudizio col tuo servo: poichè nessun uomo giustificherassi al tuo cospetto » (Salmo 143, 2).

 

I.

Considera quanto tutti ad un modo i Santi anche sommi han temuto il Divin Giudizio. Solo a pensarvi si davano per confusi, nè ardivano di fare altro più che raccomandarsi: « Etiamsi habuero quidpiam justum non respondebo, sed meum Judicem deprecabor. — Ancorchè avessi qualche ragione non risponderò, ma solo supplicherò il mio Giudice » (Giobbe 9, 15). Non è maraviglia però, se sino l’istesso Davidde dice a Dio : « Non intres in judicium cum servo tuo, Domine — Non entrare, o Signore, in giudizio col tuo servo ». Mira se davvero egli tema! Non solo prega il Signore a non giudicarlo, ma a non voler nemmeno trattare di giudicarlo : Non intres in judicium. Se tu non temi un Giudizio si spaventoso, qual dubbio c’è, che tanto più sei necessitato a temerlo, perchè già appare chiarissimo, che il tuo operare è differente da quello di tutti i Santi : « Si innocentem ostendero, pravum me comprobabo. — Se vorrò comparire innocente, mi mostrerò reo » (Giobbe 9, 20).

II.

Considera, come prima questo Giudizio è spaventosissimo dalla parte dell’uomo, ch’ha da essere giudicato. Perchè, chi è, che possa dire al Signore con sicurtà: Simore, io son mondo? Quis potest dicere: Mundum est cor meum? (Proverbio 20, 9). A vero, che talvolta può l’uomo dirgli : « Nibit mihi conscius sum — Non sono a me consapevole di colpa alcuna », ma sempre ancora egli è tenuto di aggiugnergli : « Sed non in hoc justifìcatus sum. — Ma non per questo sono giustificato » (Prima lettera ai Corinzi 4, 4). Però qui dice il Salmista : « Non intres in judicium cum servo tuo, Domine: quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens — Non entrare, o Signore, in giudizio col tuo servo, poichè nessun uomo giustificherassi al tuo cospetto ». E lo dice con buona argomentazione, perchè se « non justificabitur omnis vivens — nessun uomo giustificherassi », quanto men io, volea dir egli, che sono sì miserabile? Ora, per tornare all’intento, chi dice Omnis, non esclude veruno, e conseguentemente include anche te. Però guarda, per quanti capi hai da temere tu ancora il Divin Giudizio, senza osar di aprir bocca a giustificarti. I. Perchè sei nato figliuolo d’ira, e però di schiatta vilissima : onde innanzi a Dio non puoi ardire giammai di levar la fronte: « Pater tuus — Il Padre tuo » (Ezechiele 16, 3), che fu Adamo, « Amorrhoeus — Amorreo », cioè « rebellis —ribelle » « Mater tua — La Madre tua », che fu Eva, « Cethaea — Cetea », cioè « insipiens — stolta » « In die ortus tui non est praecisus umbilicus tuus — Nel giorno della tua nascita non fu reciso il tuo ombelico », ch’è il fomite, che t’inclina tanto vilmente ad abborrir il bene, ad amar il male. II. Perchè quantunque nel Battesimo tu fosti poi sollevato ad altissima dignità con la grazia abituale, l’hai disprezzata peccando ancor mortalmente; e così ti sei fatto da te più reo di quel ch’eri innanzi al Battesimo. III. Perchè essendo certo di aver perduta questa grazia medesima abituale, a cagione non di una colpa sola, ma di moltissime, non sei però certo di averla mai ricuperata con debita penitenza. IV. Perchè più volte hai trascurato d’usare le dovute disposizioni, affine di conseguir la grazia attuale, che Dio per altro ti avrebbe data grandissima, e piuttosto vi hai messi gagliardi ostacoli. V. Perchè moltissime volte, non ostante gli ostacoli da te posti, Iddio ti ha data cortesemente tal grazia, ancor con soprabbondanza, e tu affatto lasciasti di corrispondere, trascurando i lumi, le ispirazioni, gl’inviti, ch’egli ha spesi. in te vanamente. VI. Perchè, quando hai pur corrisposto, hai corrisposto con infinita freddezza: ond’è, che motto capitale di grazia ha per tua colpa renduto un frutto da niente: Decem jugera vinearum facient lagunculam unam. — Dieci iugeri di vigna renderanno un fiasco » (Isaia 5, 10). VII. Perchè non solo sei negligente nel bene, ma giornalmente commetti ancor molto male, almeno veniale, con varie colpe di golosità, d’impazienza, d’invidia, di maldicenza, che sono a te famigliari. VIII. Perchè se pure fai giornalmente più bene ancora che male, è un bene da niente, rispetto agli innumerabili benefizi, che pure giornalmente da Dio ricevi. IX. Perchè per poco che tu faccia di bene, ti pare di farne anzi moltissimo; ond’è che nutri vana stima di te in paragone almeno d’altri, che forse innanzi a Dio sono ancora di te migliori. X. Perchè nel poco detto bene, che fai, non solo nutri vana stima di te, ma cerchi ancora più volte, almeno fraudolentemente, la gloria umana. XI. Perchè almeno cerchi in tal bene più te, che Dio, non lo sapendo amare senza interesse, siccom’egli ama te, ma piuttosto servendolo fedelmente per isperanza di premio, o timor di pena. XII. Perchè finalmente, quantunque tu di presente servissilo come un Santo, non sei sicuro di aver a perseverare sino alla fine costantemente : « Ecce inter Sanctos ejus nemo immutabilis. — Mira come tra i Santi di lui nessuno è immutabile » (Giobbe 15, 15). Ora, va adesso, e di’, che non hai cagion di temere il Divin Giudizio. Queste dodici verità ti hanno ad essere come dodici porte, che stieno in te sempre aperte a un timor sì casto : affinchè egli per quella, che più gli piace, possa aver libero in qualunque ora l’accesso dentro il tuo petto.

III.

Considera, come secondariamente questo Giudizio Divino è spaventosissimo dalla parte di Dio, che giudica : e ciò per due capi. I. Perchè egli abborrisce infinitamente negli altri la iniquità. II. Perchè egli in sè possiede santità somma. Abborrisce prima infinitamente negli altri la iniquità, e ciò farà che la ricerchi sottilissimamente, e che severissimamente di poi puniscala. Vuoi vedere se la ricerca con sottigliezza? Ti basti udire, che egli va a ricercarla fino nelle reni, e nel cuore. dov’è più ascosta : « Scient omnes ecclesiae, quia ego .sum scrutans renes et — Le Chiese tutte sapranno, lie io sono scrutatore degli affetti del cuore (Apocalisse di Giovanni 2, 23). E se fa ciò, che sarà di noi miserabili, che siam tanto inclinati al male? Nelle reni sono i moti della concupiscibile, nel cuore sono i moti della irascibile. Questi moti a noi sono i più impercettibili: perciocchè spesso sorgono senza nostro consentimento ancor gagliardissimi, e però in questi sempre riman più difficile a giudicare, se giugnessero a peccato, ovvero non giugnessero. E pure questi moti medesimi sono quei, ne’ quali si dà vanto il Signore di voler fare il più solenne scrutinio, scrutans nel tempo stesso renes, et corda. Vuoi poi veder, se trovatala, la punisca con rigidezza? Non ne lascia impunito neppure un atomo : « Amen dico tibi, non exies iride, donec reddas novissimum quadrantem. — Ti dico in verità: non uscirai di lì prima d’ aver pagato sino all’ ultimo picciolo » (Vangelo di Matteo 5, 26). Come poi egli abborre negli altri la iniquità, così in se stesso possiede santità somma; e ciò farà, che giunta al suo cospetto qualunque nostra santità per fulgida, ch’ella sia, perda subito ogni chiarezza: « Coeli non sunt mundi in conspectu ejus. — I Cieli non son puri al suo cospetto » (Giobbe 15, 15). E però s’egli ci giudicherà secondo l’obbligazione, che pure abbian di rassomigliarlo nella santità, chi fia mai sicuro? Quindi è, che qui disse Davidde a Dio: « Non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens — Nessun uomo si giustificherà al tuo cospetto», perchè quando pur l’uomo, stando al cospetto di uomo simile a sè, potesse concepir qualche poco di sicurezza, quando poi voltisi al cospetto Divino, convien, che palpiti : « Vere scio quod ita sit, et quod non justificetur homo compositus Deo. — Veramente io so, che così è, che uomo alcuno non si giustifica in faccia a Dio » (Giobbe 9, 1). E posto tutto ciò, non ti sembra di aver tu parimente ragion di dire: « Non intres in judicium cum servo tuo, Domine, quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens — Non entrare, o Signore, in giudizio col tuo servo, poichè nessun uomo si giustificherà al tuo cospetto »? Oh quanto è meglio il tenersi lontano da un tal giudizio, che ardire di provocarlo!

IV.

Considera, che questa di Davidde può facilmente apparirti preghiera inutile, perchè per quanto tu prieghi Dio, che non entri teco in giudizio, non solo vuole entrarvi, ma proseguirlo, ma perfezionarlo, ma penetrarti, come sopra si è detto, l’ultime fibre: « Porro triumphator il Israel non parcet. — Chi in Israele trionfa non perdonerà » (Primo libro di Samuele 15, 29). Trionfatore è quegli che ti perseguita sino a guerra finita. Contuttociò pigli errore. Non solo questa non è, come tu dici, preghiera inutile; ma è la migliore, che per verità tu possa fare a pro tuo. Perciocchè dimmi: che dici a Dio, quando dici, che non entri teco in giudizio? L’udisti fin da principio. Gli dici, che ti dai per convinto, gli dici, che ti dai per confuso, gli dici, che già da te anticipatamente protestigli d’esser reo. Fa questo, e Dio più non entra in giudizio teco, perchè ti sei giudicato da te medesimo : « Si nosmetipsos dijudicaremus, non utique judicaremur. — Se ci giudicassimo da noi stessi, non saremmo certamente giudicati » (Prima lettera ai Corinzi 11, 31). Questo è il vantaggio di chi si confessa reo, ma di vivo cuore, innanzi ad un tal Giudice; che incontanente è assoluto. Dissi, di vivo cuore; perchè in prima conviene, che tu veramente ti stimi reo nella tua opinione , nè solamente pronunzilo con la bocca. Dipoi conviene, che sii nel tempo stesso risolutissimo di emendarti, altrimenti qual confessione sarebbe questa? Confessar di far male, e aver nell’istesso tempo intenzion di seguire a far quel medesimo, che tu confessi esser male? Oltre a ciò, questa preghiera, che dici inutile, val sommamente, se usi di frequentarla, a mantener l’umiltà. Ed ecco, che ancor sfuggi per altro verso il Divin Giudizio, perchè ne sfuggi, se non altro, il furore : «Veruntamen quia humiliati sunt, aversa est ab eis ira Domini. — Ma perchè si umiliarono, si calmò verso di loro l’ira del Signore ». I superbi son quei, ch’hanno ad incorrere il Giudizio Divino più formidabile, perchè questi appunto son quei, che in vece di tenerlo da sè lontano, ardiscon di provocarlo. E come lo provocano? in tre maniere. I. Con dolersi di non esser da Dio uditi nelle loro orazioni « Quare jejunavimus et non aspexisti, humiliavimus animas nostras, et nescisti? — Perchè abbiamo noi digiunato e tu non ne hai fatto conto, abbiam umiliato le anime nostre ed hai fatto vista di non saperlo? » (Isaia 58, 3) .II Con dolersi di non essere rimunerali della servitù, che gli prestano : « Ex eo tempore, quo cessavimus libare Reginae coeli indigemus omnibus. — Da quel Ilimpo, che tralasciammo di far libagioni alla regina del cielo, siam poveri di ogni bene » (Geremia 44, 18). III. Con dolersi di essere non solo non rimunerati, ma ancor afflitti con assidui flagelli nel ben che fanno, laddove altri nel male sono prosperati : « Quare via impiorum prosperatur, etc. — Per qual motivo tutto va a seconda per gli empi, ecc. » (Geremia 12, 1). Questi, che procedono così, sono quei giusti superbi, i quali dimostrano di temer tanto poco il Divin Giudizio, che ancor lo provocano. Ah sventurati! « Quid vultis mecum judicio contendere. — Perchè mai volete contender meco in giudizio?». Vedrete bene, se io saprò ritrovarvi il nodo del cespo : « Omnes dereliquistis me, dicit Dominus, etc. — Tutti mi avete abbandonato, dice il Signore » (Geremia 2, 29). Tu guarda pure al possibìle di non cadere nel numero di costoro. Mantienti sempre nella cognizione attuale della tua miseria: ricordala spesso a Dio, riconfessala, riconfermala. Torna sempre a ridirgli con cuor contrito : «Non intres in judicium cum servo tuo, Domine, quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens — Non entrare, o Signore, in giudizio col tuo servo, poichè nessun uomo si giustificherà al tuo cospetto »; e vedrai, se questa orazione frequentata così, come si conviene, ti fia giovevole.

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