MAGGIO
XVII. GIORNO
I ricchi empi vedranno alla morte la propria miseria
« Dives cum dormierit, nihil secum auferet: aperiet oculos suos, et nihil inveniet. — Quando il ricco avrà dormito, nulla seco recherà nè per fraude, nè per forza: aprirà gli occhi suoi, e si troverà sprovveduto d’ogni cosa » (Giobbe 27, 19).
I.
Considera, che quel Ricco, di cui qui parlasi, è un Ricco iniquo : e con tutto ciò la sua morte si chiama sonno: titolo che si dà alla morte de’ giusti: « Lazarus amicus noster dormit. — Lazzaro nostro amico dorme » (Vangelo di Giovanni 11,11). Ma nota bene, e vedrai, che non è così. Tanto è da lungi, che si dica qui, che alla morte egli dormirà, ch’anzi si dice il contrario. Si dice che allora finito avrà di dormire: « Dives cum dormierit — Il ricco quando avrà dormito », non « cum dormiet — quando dormirà », ma « cum dormierit — quando avrà dormito ». I giusti in vita, come sai, tutti vegliano, perchè questo è il proprio lor pregio: « Beati servi illi, quos cum venerit Dominus, invenerit vigilantes. — Beati que’ servi, che arrivando il Padrone, avrà trovati vigilanti » (Vangelo di Luca 12, 37). E però la loro morte si chiama sonno, perchè allora cominciano a riposare dalle fatiche incessanti della vigilia : « Amodo jam dicit Spiritus, requiescant a laboribus suis. — D’ora in poi dice lo Spirito, che riposino dalle loro fatiche » (Apocalisse di Giovanni 14, 13). Gli iniqui quanto vivono, tanto dormono : « Usquequo piger dormies? — Fin a quando dormirai, o pigro? » (Proverbio 6, 9). E però la loro morte è piuttosto detta vigilia, perchè allora solamente finiscono di dormire : « Malus ad sepulturam ducetur, et in congerie mortuorum vigilabit. — L’iniquo sarà condotto al sepolcro, e veglierà tra i morti » (Giobbe 21, 32). E vaglia il vero, che sonno orrendo è mai quello, da cui questi miserabili stanno oppressi? Non si scuotono alle trombe delle predicazioni, non si svegliano ai tuoni delle proteste, non si risentono neppure agli stessi fulmini dei castighi. Ben si può dunque dire con verità, che il loro sonno sia somigliante alla morte, tanto è profondo. E s’è così, qual maraviglia sarà poi, se la morte si dovrà lor convertire in una vigilia, a cui non dovrà succedere più riposo? Oh quanto è meglio adesso a te di vegliare pazientemente per pochi giorni, che dover poi vegliare con questi miseri a forza di torture, di cavalletti, di cataste, di ruote per tutti i secoli! Allora sì che ogni iniquo avrà totalmente perduto dagli occhi il sonno : Recessit somnus ab oculis meis (Primo libro dei Maccabei 6, 10).
II.
Considera, che questo Ricco, destandosi colla morte dal suo letargo, non recherà con sè cosa alcuna, di tante che possedeva sopra la Terra. Che dissi, non recherà? non la potrà nemmeno o rubare per via di fraude, o rapire per via di forza : Dives cum dormierit, nihil secum auferet. Però non si dice « afferet — recherà », si dice « auferet — recherà per fraude, o per forza », per dimostrare, che ogni tentativo, che il misero mai facesse, al di recarsi seco nell’altro Mondo punto di ciò, che qui godè, sarebbe inutile. Il Ricco iniquo non è contento del suo; e però non solo « affert — reca » nelle sue casse tutto quel danaro legittimo, che gli viene da’ suoi proventi, ma quello che non gli viene; perchè dà ad usura, fa cambi ingiusti, fa censi iniqui, si succhia il sangue de’ poveri, non paga Chiese, non paga Chiostri, non adempie Legati pii, e così non « affert — reca » solamente, ma « aufert — reca per fraude, o per forza » ciò ch’egli può, o ingannando il suo prossimo, o angariandolo. Quanto nondimeno dovrà il meschino durar ne’ suoi ladronecci? finchè la morte gli confischi ogni cosa. Allora niente gli potran più valere quelle arti varie, colle quali ora raggira i suoi negoziati; non potrà valergli la forza, non potrà valergli la fraude: per quanto faccia, non si potrà furtivamente portare neppure un soldo: Nihil secum auferet. E’ vero, che ciò nella morte è comune a tutti, perchè nemmeno nihil allor « secum auferet — nulla seco recherà nè per fraude, nè per forza », o vogliamo dire « afferet — recherà » il Ricco giusto; ma con somma diversità. Il Ricco giusto ha mandato il danaro innanzi col trasmetterlo al banco del Paradiso, e però poco alla morte gli dovrà premere di non portarselo seco. L’andrà a riscuotere al banco con somma usura. Ma il ricco iniquo non ha mandato là niente; e però scacciato nel baratro dell’Inferno, che dovrà dire, quando vedrà di non si trovar seco tanto, che gli basti a fruttare neppure in capo a mille secoli e mille una goccia di acqua? Allora sì, che vedrà, quanto fosse vero che « qui amat divitias fructum non capiet ex eis. — Chi ama le ricchezze niun frutto caverà dalle medesime » (Qoèlet 5, 9). Perchè il Ricco giusto, ed il Ricco iniquo egualmente abbondarono di ricchezze; ma l’iniquo le amò, e però le ritenne appresso di sè; il giusto non le amò, e però le disperse ai poveri. E così che avvenne? Avvenne che il giusto ne cavò frutto immenso; l’iniquo niuno. A te sta giudicare qual fu più saggio: « Beatus vir qui post aurum non abiit. — Beato colui che non andò dietro all’oro » (Ecclesiastico o Siracide 31, 8); ma in cambio di andargli dietro qual servo vile, se lo mandò piuttosto innanzi con farla da padron grande.
III.
Considera, che sarà pertanto di questo misero Ricco giù nell’Inferno, « quando aperiet oculos suos, et nihil inveniet — quando aprirà gli occhi suoi, e si troverà sprovveduto d’ogni cosa »? Gli succederà come ad uno, il quale destatosi cerca quelle ricchezze, le quali in sogno stimava di posseder sì copiosamente, e non le ritrova; sono già sparite col sogno. Oh che afflizione! oh che angoscia! Maledirà l’infelice allora quel sonno, il quale gli dava a credere d’esser Ricco, perchè tanto più dovesse poi sospirare in vedersi povero; maledirà la sua insensatezza, maledirà la sua insania, e allora sì, che vorrebbe aver saputo ben impiegar quel danaro, che in vita non seppe spendere, perchè lo spese, come farebbe un che dorme. Ma che gli vale? non è più tempo di spenderlo, perchè il meschino ha aperti gli occhi bensì, ma quando è già ridotto a povertà estrema : e però nulla gli potrà allora giovare di saper bene spendere quel danaro, che più non ha : « Aperiet oculos suos — Aprirà gli occhi suoi », ma ad un istesso tempo « nihil inveniet — si troverà sprovveduto d’ogni cosa ». Tu frattanto nota singolarmente a tuo pro, dove i peccatori aprono gli occhi : giù nell’Inferno. Lo sventurato Epulone in Gerusalemme avea Lazzaro tutto dì sulle porte del suo palazzo, e non lo vedea (tanto era oppresso dal sonno) o almeno dava segno di non vederlo. Dipoi che avvenne? fu precipitato all’inferno : Mortuus est Dives,et sepultus est in inferno; e da quel baratro cii tanta profondità lo potè discernere fin su nel seno di Abramo, con tutto che vi fosse, com’è noto, di mezzo un intiero Caos : Elevans oculos suos, cum esset in tormentis, vidit Abrahani a longe, et Lazarum in sinu ejus (Vangelo di Luca 16, 23). Or guarda se daddovero in quei suoi tormenti egli aveva ben aperti gli occhi. Ma lui felice, se gli avesse potuti tornare a chiudere, non più col sonno di prima, ma colla morte! Vano è sperarlo; perchè « Dives cum dormierit, aperiet oculos suos, et nihil inveniet. — Quando il ricco avrà dormito, aprirà gli occhi suoi, e si troverà sprovveduto d’ogni cosa », da poter comperarsi neppure un crudo carnefice, che lo uccida.