GIUGNO
XVII. GIORNO
Sopra il Vendicativo.
« Si quis aliter docet, et non acquiescit sanis sermonibus Domini nostri Jesu Christi, et ei, quae secundum pietatem est, doctrinae, superbus est, nihil sciens, sed languens circa quaestiones, et pugnas verborum. — Se alcuno insegna diversamente, e non s’acquieta alle sane parole di nostro Signore Gesù Cristo, e a quella dottrina, che è conforme alla pietà, è un superbo, che nulla sa, ma languisce intorno a controversie, e contese di parole » (Prima lettera a Timoteo 6, 3, 4).
I.
Considera chi siero coloro, di cui giustamente può dirsi, che « Non acquiescunt sanis sermonibus Domini nostri Jesu Christi, et ei, quae secundum pietatem est, doctrinae. — Non si acquietano alle sane parole di nostro Signor Gesù Cristo, e a quella dottrina, che è conforme alla pietà ». Gl’infedeli? No, perchè questi non solo non s’acquietano a ciò, che Cristo insegnò, non acquiescunt; ma 1′ oppugnano apertamente, aliter docent. Quegli, che (a parlare con proprietà), « non acquiescunt — non s’acquietano », sono quei fedeli, che noi chiamiamo di Mondo : ma tra questi, se ponderi sottilmente, sono specialmente coloro, i quali offesi non credono di poter mai risarcire a pieno l’onore, se non si vendicano. In nessun’altra materia troverai che oggi i fedeli di Cristo « non acquiescunt — non s’ acquietano » a quello, che egli insegnò più che in questa del perdonare; perchè è vero, che si dipartono dalla dottrina di esso in molte altre cose, ma con la volontà, non coll’intelletto : e però « non acquiescunt —non s’acquietano » con la volontà agl’insegnamenti di Cristo, perchè gli stimano duri, ma « acquiescunt — s’acquietano » con l’intelletto, perchè gli stimano nondimeno onorevoli. Ma in questo punto di cavalleria dianzi detto, nè « acquiescunt — si acquietano » con la volontà, nè « acquiescunt — s’acquietano » con l’intelletto. E così, a favellar assolutamente, « non acquiescunt — non s’acquietano », perciocchè stimano non solo duro, ma infame ubbidire a Cristo. Nè vale, che si ricoprano con dire, che ciò stimano infame secondo l’opinione del Mondo. Perchè chi è questo Mondo? o è Mondo fedele o è Mondo infedele. S’è fedele, non può aver tal opinione, perchè egli avrebbe una opinione contraria all’opinione di Cristo, e così sarebbe infedele. Chiunque crede a Cristo, ha da credere parimente, che il perdonare sia azione onorevolissima. Conciossiacosachè non ha egli detto, che ciò è divenire figliuolo di Dio? « Diligite inimicos vestros, et eritis filii Altissimi. — Amate i vostri nemici, e sarete figli dell’Altissimo » (Vangelo di Luca 6, 35). Adunque ha detto, che il perdonare è parimente un’azione di somma gloria. Che se poi questo Mondo è Mondo infedele, che vale ad iscusarli l’opinione d’esso? Nè però essi la possono seguitare, nè possono dimostrare di seguitarla. Altrimenti che fanno? Commettono un atto espresso di infedeltà, perciocchè chiunque è fedele, ha questa obbligazione indispensabilissima sulle spalle. Nè può tenere un’opinione contraria all’opinione di Cristo : nè può fingere di tenerla. E pure questi non solamente fingono di tenerla, ma la professano. Mira però se siano daddovero ridotti a misero stato quei cavalieri, i quali stimano infame chi non si vendica : « Non acquiescunt sanis sermonibus Domini nostri Jesu Christi, et ei, quae secundum pietatem est, doctrinae. — Non s’acquietano alle sane parole di nostro Signore Gesù Cristo, e a quella dottrina, che è conforme alla pietà ». Se non sono Infedeli, manca pochissimo. Però tu vedi, che l’Apostolo unì questi, che « non acquiescunt — non s’ acquietano », con quelli che « aliter docent — insegnano diversamente », perchè se tra loro v’è differenza di alcuna sorta, è sì piccola, che piuttosto si può dir niuna : « Quasi scelus idololatriae est, nolle acquiescere. — E’ quasi un delitto d’idolatria il non voler acquietarsi » (Primo libro dei Re 15, 23). Benchè pur troppo « aliter docent — insegnano diversamente » anch’essi, mentre tuttodì palesano con la lingua l’interno errore, lo sostengono con le scritture, lo sostengono con le stampe, lo sostengono ancora col ferro in mano. Va un poco a leggere quei lor cartelli di disfida, e vedrai quali siano i lor sentimenti. E ciò non è passare anche i limiti di coloro, i quali « non acquiescunt — non s’acquietano »? Questo è già essere non più sospetto d’infedeltà, ma convinto.
II.
Considera, che 1′ infedeltà di coloro tanto è più brutta, quanto più bella è la dottrina, a cui contraddicono. E qual è questa? E’ una dottrina piissima. Perchè se veruna dottrina data da Cristo si può dire per tutti i capi, che « sit secundum pietatem — sia conforme alla pietà », è questa del perdonare. La pietà riguarda due cose : prima Dio poi il prossimo; Dio come Padre, il prossimo come fratello. A Dio vuole, ch’esibiscasi culto; al prossimo vuol, che si eserciti carità. E questo è ciò, che a maraviglia adempisce una tal dottrina. Serba primieramente il suo culto a Dio, perchè a lui vuole, che come padre, si lasci di gastigare i figliuoli erranti : « Mea est ultio, et ego retribuam in tempore. — A me appartiene il far vendetta, ed io renderò a suo tempo quello ch’ è dovuto » (Deuteronomio 32, 35). E serba secondariamente al prossimo quella carità somma, che mai gli si possa usare come a fratello, ch’è rendergli ben per male. E chiaro però è, che se ogni dottrina di Cristo è dottrina pia, questa per verità può dirsi piissima. E pur v’è di più; perchè in qual luogo del suo Vangelo diede egli una tal dottrina? La die’ in quei sermoni, ch’egli fece sul Monte; sermoni esimii, sermoni eccelsi, è verissimo; ma sopra tutto sermoni sani, sanis sermonibus; perchè furono indirizzati principalmente a sanar le piaghe, che aveva contratte il genere umano nella irascibile, e nella concupiscibile, e però contengono i più salutari aforismi, che sieno usciti dalla bocca di Cristo, a segno tale, che : « Cum consumrnasset omnia verbo haec, conchiude l’Evangelista, adrnirabantur Turbae super dottrina ejus. — Avendo terminati questi discorsi, le Turbe si stupivano della sua dottrina » (Vangelo di Matteo 7, 28). E a questa dottrina si pia, data da Cristo, ed a questi sermoni sì salutevoli « non acquiescunt — non si acquietano » costoro, che impugnano si sfacciatamente la legge del perdonare. Forse che più pia è la dottrina del vendicarsi, ch’è carica di empietà: d’empietà verso Dio, d’empietà verso il prossimo? E forse che più sani in ogni altra parte son quei discorsi, che tengono quei che insegnano tal dottrina? Anzi, oh che discorsi insanissimi sono i loro, mentre vorrebbono ridur l’uomo a procedere come bestia! Sani sono i sermoni di Gesù Cristo : « Justi sunt omnes sermones mei, non est in eis pravum quid, neque perversum; recti sunt intelligentibus, et aequi invenientibus scientiam. — I miei discorsi sono tutti giusti, nulla è in essi di storto, o di perverso ; sono diritti per quelli, che hanno intelligenza, e sono giusti per quelli, che son forniti di scienza » (Proverbio 8, 8, 9). Felice te, se di questi sermoni saprai invaghirti. Non avrai mai provati i più opportuni a disporti, in ordine a Dio, con la dovuta iustizia, in ordine a te con la dovuta rettitudine, in ordine al prossimo con la dovuta equità.
III.
Considera, che ciascun di costoro, i quali « non acquiescunt — non s’acquietano » a questa sì pia dottrina del perdonare promulgata da Cristo, non si può dare altra censura più orribile di quella, che die’ l’Apostolo, quando disse, che « superbus est nihil sciens — è un superbo, che nulla sa ». Non è superbo chi di punti di onore vuol saper più di ciò, che n’abbia saputo il Figliuol di Dio, con tanti Dottori sommi, che gli hanno aderito appresso, con tanti personaggi, con tanti Principi, con tanti illustri Monarchi? Non è di debolissimo intendimento, chi non capisce verità così chiare, così patenti, così palpabili, quali son queste della gloria di chi perdona, gloria conosciuta da tanti, insin da Gentili? Ma questa in fine è la radice negli uomini di ogni errore: la soverchia stima di sè, massimamente quand’ella è unita con infermità d’intelletto. La soverchia stima di sè fa, che uno caschi in errore per due cagioni : prima perchè fa, che uno avanzisi facilmente a giudicare di quello, ch’egli non sa : poi perchè fa parimente, che chi non sa, sdegni di sottomettersi al detto di quei, che sanno : però è scritto, che « ubi humilitas, ibi et sapientia — dove è umiltà, ivi è sapienza » (Proverbio 11, 2). L’infermità d’intelletto accresce poi sommamente questa caduta, perchè come un Infermo ad ogni urto casca: infirmati sunt, et ceciderunt (Salmo 27, 2), così è di costoro, i quali sono di debole intendimento : ad ogni piccolo impulso, che aggiungavi la passione, danno in errore. Ma tu qui forse sarai vago di intendere, che cosa sia questa infermità d’intelletto, affin di guardartene. E’ il non sapere giudicar delle cose secondo la verità, cioè secondo ciò, che sono in se stesse, ma giudicarne secondo quello, che paiono. Che cosa è nel corpo l’infermità? E’ l’inegualità degli umori; perchè quando questi stanno attemperati tra loro, il corpo è sanissimo. Or tale è l’infermità similmente nell’intelletto. E’ l’inegualità tra ciò, che le cose sono in se stesse, e quel giudizio, che l’intelletto ne forma, e però la sanità dell’intelletto altro al fine non è, che la verità, la quale consiste in questo adeguamento pur ora detto, tra ‘l giudizio, e le cose. Come dunque tu mi dai uno, che per se stesso non sia capace di un simile adeguamento, egli è debolissimo, « nihil sciens — che nulla sa », perchè non si può dire che sappia, chi non sa ciò, che le cose sono in se stesse. Che se poi in questo aggiungasi la superbia, sicchè non solo « sit nihil sciens — sia uno, che nulla sa », ma « sit superbus — sia superbo », immaginati che cadute precipitose dovrà mai fare! E tali sono le cadute di chiunque « non acquiescit sanis sermonibus Domini nostri Jesu Christi, et ei, quae secundum pietatem est, doctrinae — non si acquieta alle sane parole di nostro Signor Gesù Cristo, e a quella dottrina, che è conforme alla pietà ». Sono cadute di un superbo, sono cadute di uno, che niente sa. Aggiungi, che chi non sa tutto ciò, che spetta alla consecuzion dell’ultimo fine, sappia nel resto tutto ciò, ch’egli vuole, mai non sa niente : Nihil scit. « Non judicavi me scire aliquid inter vos, nisi Jesum Christum, et hunc Crucifixum. —Non mi credetti di sapere altra cosa tra di voi, se non Gesù Cristo, e questi Crocifisso » (Prima lettera ai Corinzi 2, 2). Ma tale appunto è lo stato di questi miseri. Ignorano quello, che unicamente è necessità di sapere, e però che sanno?
IV.
Considera quanto bene conchiuse finalmente l’Apostolo, quando disse, che ognuno di costoro, de’ quali abbiam ragionato, « Superbus est, nihil sciens, sed languens circa quaestiones, et pugnas verborum — è un superbo, che nulla sa, ma languisce circa quistioni, e contese di parole » : perchè s’egli è d’intelletto sì infermo, come abbiam detto, pur troppo è languido, languens. « Homo infirmus, et exigui temporis, et minor ad intellectum judicii, et legum. — Uomo fiacco, e di poco tempo, ed inetto ad intendere i giudizi, e le leggi » (Sapienza 9, 5). Ma la maraviglia è, vedere intorno a che si perdano questi languidi: « Circa quaestiones, et pugnas verborum. — Intorno a quistioni, e contese di parole ». Quastiones sono le controversie, che hanno intorno alle cose, le quali in fine riduconsi tutte a due: alla riputazione, e alla roba: Pugna verborum sono le contese de’ titoli. Per così poco guarda come son languidi d’intelletto, che talvolta corrono ad ammazzarsi! Questi son gli argomenti delle lor disfide, de’ loro dibattimenti, dei lor duelli. Però nota quanto bene le prime sono intitolate « quastiones — controversie », perchè con quelle controversie, che hanno di riputazione, o di roba, che cosa fanno? Cercano di divenire felici, ma sempre cercano, perchè non vi pervengono mai, quaerunt, ei non inveniunt, come appunto succede a chi nelle Scienze non altro fa del continuo che questionare, e non conchiude mai niente : Semper discentes, et nunquam ad scientiam veritatis pervenientes (Seconda lettera a Timoteo 3, 7). Le seconde poi sono dette « pugnae verborum — contese di parole », perchè sono mere dispute, come si chiamano, di vocabolo, e però non tanto sono dette questioni, quanto contrasti. Per un vano titolo impegnerebbono, bisognando, uno stato. E pure quando anche ottengano questo titolo, di’, che ottengono? un puro nulla : Qui tantum verba sectatur, nihil habebit (Proverbio 19, 7). E non è questa una languidezza indicibile d’intelletto? Io ti ho qui voluto trattare di questi miseri, perchè se tu sei per disgrazia uno di essi, procuri di ravvederti, con lasciare andare i puntigli vani di Mondo. Sei Cavaliere; ma Cavalier Cristiano. Adunque a chi ti disfida, non dubitar di rispondere, come fanno i tuoi pari savi : Io non offendo veruno, ma mi difendo. No con la spada al fianco continuamente. Se alcun mi assalta, io so farlo anche stare da me lontano. Questa risposta non è contraria agl’insegnamenti di Cristo, e dall’altra parte salva più che abbastanza ogni onore umano : « Honor est homini, qui separat se a contentionibus. — E’ onore per l’uomo l’allontanarsi dalle contese » (Proverbio 20, 3). Che se tu non sei di costoro, io te n’ho voluto trattare perchè non gl’ invidii, come talor forse fai, ma gli compatisca, e considerando quanto siano infelici quei, che si sono eletti servire al Mondo, prega Dio caldamente perchè gl’illumini. Conciossiachè mira a che sono ridotti ! Son Cristiani, e contuttociò « non acquiescunt sanis sermonibus Domini nostri Jesu Christi, et ei quae secundum pietatem est, doctrinae — non s’acquietano alle sane parole di nostro Signor Gesù Cristo, e a quella dottrina, che è conforme alla pietà », anzi talvolta « aliter docent — insegnano diversamente » anch’essi, come appena farebbono gl’ inimici di Gesù Cristo. E chi può esprimere quanto sia però formidabile quel gastigo, che lor sovrasta? « His, qui sunt ex contentione —A quelli, che sono pertinaci », come sono questi, sì avidi di contrasto, « et qui non acquiescunt veritati — e che non si assoggettano alla verità », che è la dottrina di Cristo, « credunt autem iniquitati — ma danno retta all’iniquità », che è la dottrina di Mondo : « ira et indignatio — ira, ed indignazione » (Lettera ai Romani 2, 8) : ira dalla parte di Dio, che li dannerà: indignazione dalla parte di loro medesimi, che dannati concepiranno più implacabile sdegno contro se stessi, di quello, che mai provassero verso alcuno de’ lor nemici.