La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

SETTEMBRE

 

XVI. GIORNO

In che consistano le vere opere buone.

« Attendite, ne justitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis; alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum, qui in Coelis est.— Badate di non fare le vostre buone opere alla presenza degli uomini, a fine d’essere veduti da loro; altrimenti non ne sarete rimunerati appresso il Padre vostro, che è ne’ Cieli » (Vangelo di Matteo 6, 1).

 

I.

Considera, che Giustizia val qui di nome generico a dinotare tutte l’opere buone, che furono poi da Cristo immediatamente ripartite in tre specie : la limosina, l’orazione, e il digiuno; quasi che a queste si riducano tutte. Nè è maraviglia, perchè il digiuno si oppone alla concupiscenza della carne, la limosina alla concupiscenza degli occhi, e l’orazione, che ci fa riconoscere il nostro nulla, alla superbia della vita. Il digiuno ci ordina specialmente rispetto a noi, la limosina rispetto al prossimo, l’orazione rispetto a Dio. E così il digiuno serve alla continenza, ch’è virtù propria della concupiscibile; la limosina alla compassione, ch’è propria dell’irascibile; e l’orazione alla divozione, ch’è propria di quella parte ch’ha nome di razionale. E benchè tutte e tre queste opere buone abbiano in sè unito sempre il merito, la soddisfazione, e l’impetrazione, com’è universale di tutte l’altre: contuttociò il digiuno vale assaissimo a meritare, la limosina a soddisfare, e l’orazione ad impetrare. Posto ciò, hai qui da notar come Cristo parla. Non dice semplicemente : « Attendite, ne justitiam vestram faciatis coram hominibus — Badate di non fare le vostre buone opere alla presenza degli uomini »; ma tosto aggiugne, « ut videamini ab eis — a fine d’essere veduti da loro » perchè non è male alcuno che i tuoi digiuni, le tue limosine, e le tue orazioni si veggano dalla gente: il mal è, che tu le faccia a tal fine, perchè si veggano. Anzi neppur questo è male qualor tu lasci vederle per quella gloria che ne può a Dio risultare. Il mal è quando tu lasci anzi vederle per gloria tua. Che però Cristo avvedutamente non disse : « Attendite, ne justitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videatur ab eis — Badate di non fare le vostre buone opere alla presenza degli uomini, a fine che si veggano da loro » : ma « ut videamini — a fine d’essere veduti » : perchè qui sta quel pericolo, che richiede attenzione somma : l’aver per fine, non la mostra dell’opera, ma di sè. Nel resto, oh quanto il demonio tuttor si aiuta per ottener, che quel poco di bene che si fa al Mondo, oggi facciasi di nascosto, non altrimenti che se fossimo a’ tempi di quei primi Persecutori, per cui timore i Cristiani cercavano or le caverne, or le catacombe! Sa egli quanto sia valido il buon esempio ad infervorare la gente al bene, e però si adopera più che può a torio via. E per qual ragione credi tu ch’egli un tempo movesse guerra sì fiera alle sagre Immagini? La ragion fu, perchè alla vista di esse i Fedeli tutti incitavansi grandemente, chi al martirio, chi alla pietà, chi alle penitenze, chi ad altri tali atti magnanimi di virtù. Or quella guerra, che il demonio non può tra noi far più alle immagini morte degli uomini cari al Cielo, la fa alle immagini vive : ch’è quanto dire, a’ lor lodevoli esempi. Procura sotto vari pretesti apparenti di sottrargli altamente alla luce pubblica, perchè non siano di sgrido a’ peccatori, di stimolo a’ pusillanimi. Credi tu che sempre sia spirito di umiltà l’occultamento che fai delle tue buone opere? E’ non di rado tentazion del nimico, il qual t’invidia quel bene che potresti altrui partorire, non le occultando : « Universi canes muti, non valentes latrare. —Tutti cani muti incapaci di latrare » (Isaia 56, 10).

II.

Considera, che generalmente parlando due sorta vi sono d’opere buone; alcune ordinarie, e comuni nel Cristianesimo a chiunque ama di vivere da vero osservator dello stato suo, o laicale, o clericale, o claustrale, qualunque siasi; come sono le penitenze solite in tale stato, il confessarsi spesso, il comunicarsi spesso, l’assistere giornalmente con divozione a’ Divini uffizi, ed altre sì fatte cose, la cui mancanza universalmente si ascrive ad imperfezione; altre che non sono ordinarie, ma singolari. Quanto però alle seconde, ci consigliano i Santi a farle il più delle volte assai di nascosto, per fuggire l’ammirazione : ma non così ci consigliano ancora quanto alle prime. Anzi quanto a queste ci dicono, che sia meglio farle con tutta quella pubblicità che suole usarsi in un tale stato dagli uomini più osservanti. E ciò non senza ragione. Perciocchè, o tu sei persona privata in un tale stato, o persona pubblica. Se pubblica, cioè Prelato, Principe, Superiore, non solamente fai bene ad amare una tal pubblicità, ma la devi amare, perchè la tua vita ha da essere altrui di norma : « In omnibus teipsum praebe exemplum bonorum operum.— In tutto fatti vedere modello di buone opere » (Lettera a Tito 2, 7). E se privata, fai meglio ancora ad amar la pubblicità, che la segretezza, non solamente per quella utilità, che si è detto tornarne agli altri,. ma più ancora per quella che torna a te; giacchè con ciò ti dichiari. E per qual cagion credi tu di far talor assai bene nascostamente? Per timore di vanagloria? Non già, non già: lo fai per non impegnarti, parendo a te che se tu pure ti lasci ascrivere in quella Congregazione, se ogni otto dì ti confessi, se ogni otto dì ti comunichi, non sei più libero ad accettar quegl’inviti che poi gli amici ti facciano, quando vanno or alla commedia, or al corso, ed or al festino; per non venir poi colà, da chi ti mira tra gli altri, mostrato a dito. Ma non è meglio far per questo medesimo una generosa risoluzione? « Usquequo claudicatis in duas partes? — Fino a quando zoppicate da due lati? ». Tu non ti vorresti dichiarar da chi tieni, se da Dio, o se dal Mondo; ed io ti dico, che meglio è dichiararsi. Perchè fin a tanto che tu non ti dichiari tener da Dio, spesso avverrà, che venganti addimandate cose iniquissime, a cui consentirai per rispetto umano : laddove se ti dichiari, neppur avrai chi ardisca più di tentarti. Basta però che in tuttociò che tu operi, mantenga sempre ad un modo l’intenzion retta di piacere a Dio solo. E questo intese Cristo di esprimere, quando disse, in ordine alla limosina : « Nesciat sinistra tua, quid faciat dextera tua — Non sappia la tua sinistra ciò che faccia la tua destra »; in ordine all’orazione « Intra in cubiculum tuum — Entra nella tua camera »; e in ordine al digiuno : « Unge caput tuum, et faciem tuam lava, ne videaris hominibus jejunans — Profumati il capo, e lavati la faccia, per non mostrare agli uomini che digiuni ». Sicuramente non pretese egli con ciò d’interdir che tali opere non si facessero ancora pubblicamente, mentre tante volte le fe’ pubblicamente ancora egli stesso. Ma con un parlar figurato egli volle dire, che facendosi ancora pubblicamente, si facessero tuttavia con quella rettitudine d’intenzione, con cui le fa chi usa tutti gli artifizi ora detti, a dissimulare. Nel rimanente vuoi tu conoscere quanto il Signore abbia amata sempre questa libertà di far bene a faccia scoperta? Diss’egli un giorno ad Abramo, che avrebbe conceduto un indulto universalissimo a tutta la città sì infame di Sodoma, sol che nel mezzo di tanti uomini iniqui egli avesse trovati cinquanta giusti : « Si invenero Sodomis quinquaginta justos in medio civitatis, dimittam omni loco propter eos. — Se io troverò in mezzo alla città di Sodoma cinquanta giusti, io perdonerò a tutto il luogo per amor di essi » (Genesi 18, 26). Hai tu osservato? Non disse « in civitate — nella città » semplicemente, ma « in medio civitatis — in mezzo alla città »; perchè potè esser, secondo il parer di alcuni, che fra tante e tante migliaia di scellerati, vi fossero alinen cinquanta che di nascosto si mantenessero buoni; ma che tanto ardissero ancora al cospetto altrui, sicuramente non vi erano. E questi son que’ giusti, che vagliono a placar Dio. Quei che non solo tengono a favor suo, ma se ne dichiarano : « In medio Ecclesiae laudabo te.—In mezzo all’adunanza dirò le tue laudi » (Salmo 22, 23). « In medio multorum laudabo eum. — Fra la moltitudine darò lode a lui » (Salmo 109, 30).

III.

Considera come questa esterna dichiarazione tanto più vale, quanto nell’interno si mantien più sincera l’intenzione retta, già ricordata di sopra, di non cercare nelle opere, che si fanno, la gloria propria, ma la gloria divina. Laddove quando questa mancasse, qual dubbio c’è, ch’una sì bella dichiarazione medesima poco finalmente può essere cara a Dio? Però disse Cristo : « Attendite, ne justitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis — Badate di non fare le vostre buone opere alla presenza degli uomini, a fine d’essere veduti da loro », cioè « ad hoc ut videamini ab eis — a questo fine d’essere veduti da loro » : « alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum qui in Coelis est — altrimenti non ne sarete rimunerati appresso il Padre vostro che è ne’ Cieli ». E come vuoi tu che il tuo Padre celeste ti rimuneri in Cielo del ben ch’hai fatto, a fronte è vero scoperta, ma non per lui? Lascerà piuttosto rimunerarti dagli uomini, la cui stima hai tu voluto apprezzare più che la sua. E però tu vedi, che qui il Signore non dice, « alioquin mercedem non habebitis a Patre vestro, qui in Coelis est — altrimenti non ne sarete rimunerati dal vostro Padre, che è ne’ Cieli » ; ma dice « apud Patrem vestrum — appresso il vostro Padre ». Perchè del bene che tu talora avrai fatto per vanità, ti darà bensì egli più d’una volta rimunerazioni terrene, a cagion di quell’utile, che ne sia facilmente venuto al Mondo; ma non ti darà le celesti. Per aver queste, conviene che l’intenzione sia tutta spirituale, sia tutta santa : perocchè in Ciel non si premia il puro materiale delle opere, ch’è la scorza; ma il formale, ch’è la sostanza. Chi può dir però quanto importi questa intenzione! Ma che? Ogni atto di vanità, che per disgrazia si unisca con tali azioni, per altro a Dio così grate, ne toglie il merito? No di certo. Ma solo allora lo toglie, quando un tal atto di vanità è sufficiente, qual verme intrinseco, a magagnar dette azioni. Mi spiegherò; giacchè da questo ne può venire al tuo spirito alcuna quiete. O il desiderio di piacere alla gente (ch’è l’atto di vanità) è antecedente a quell’opera buona di cui si parla (come sarebbe a quella limosina pubblica), o è concomitante, o è conseguente. Se conseguente, non ne può togliere il merito, perchè quanto ad essa, non è un tal atto di vanità nulla più, che qual verme estrinseco, il quale quando arriva a voler col suo rio dente corromper l’ opera, la trova già terminata, e conseguentemente già messa in salvo. Se antecedente, senza dubbio lo toglie, quando il fine che hassi nel far limosina, non è altro che questo, piacere agli uomini; perchè allora il verme sta appunto nel cuor dell’opera. Vero è, che talvolta l’istesso piacere agli uomini può ordinarsi a maggior servizio Divino, come avviene ne’ Principi, o ne’ Prelati, che con limosine ancora soprabbondanti, han caro di procacciarsi l’amor de’ sudditi, per potergli poi tener meglio divoti a Dio. E allora, siccome quest’atto è lecito, non è verme; e conseguentemente egli non può per sè punto pregiudicare al valor dell’opera, che si suppone aver per ultimo fine l’onor Divino. Che se finalmente un tal atto di vanità è concomitante, allora e può togliere all’opera il suo valore, e può non lo togliere. Lo toglie, quando l’opera si cominciò per piacere a Dio, ma innanzi ch’ella riceva il suo compimento, si cambia fine, e si seguita più per piacere agli uomini : perciocchè il verme a corromperla giugne in ora. Non lo toglie, quando uno non la seguita per tal fine di piacer agli uomini : ma nel medesimo tempo che insiste all’ opera, come dire a sborsare quella limosina sì cortese, si trattiene avvedutamente in un vano goder che gli sorge in cuore di aver intorno di molti che lo rimirano : perchè quantunque un godimento sì vano giunga anche a colpa veniale, si presuppone esser un atto totalmente distinto da quell’ultimo fine, che si ha nell’opera, il qual è di dar gloria a Dio; e così il verme si riman tutto di fuori, mercecchè la limosina dianzi detta va bensì unita a quell’atto di vanità, ma non ne dipende. E però in questo caso tu non hai punto a desistere dal far limosina ancora pubblicamente, per timore di vanità; ma ti hai solo ad opporre alla vanità, con ribatterla, con reprimerla, o almeno con divertire il pensiero altrove. Fatto ciò, la mercede ti resta illesa. E s’ è così, mira all’ ultimo come il tuo Padre celeste procede in vero da Padre. Non vuol da te cose improprie, cose impossibili. Vuol che ti porti da Figliuolo ossequioso, ch’è quanto dire, vuol che tu prezzi assai più la stima di lui, che de’ suoi famigli.

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