GIUGNO
XV. GIORNO
La felicità vera qui in terra consiste nell’esser libero da desiderii.
«Habentes alimenta, et quibus tegamur, his contenti simus. Nam qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem, et in laqueum diaboli, et in multa desideria inutilia, et nociva, quae mergunt homines in interitum, et perditionem. — Avendo gli alimenti, e di che coprirci, contentiamoci di questo : poichè coloro, che vogliono divenir ricchi, incappano nella tentazione, e nel laccio del diavolo, e in molti inutili, e nocivi desiderii, i quali sommergono gli uomini nella morte, e nella perdizione » (Prima lettera a Timoteo 6, 8).
I.
Considera, che l’umana felicità, a mirar bene, consiste in saper vivere pienamente contento di quello solo, ch’è necessario, affine di sostentarti: perchè chi vive secondo la necessità, sempre è ricco; chi secondo il piacere, sempre è mendico. E’ questa una felicità così chiara, che fu conosciuta sin da’ Gentili medesimi, esagerata, esaltata, desiderata; ma non però conseguita. Troppo erano scorretti i loro appetiti; e però quantunque essi scorgessero il meglio, ch’è vivere secondo la necessità, si appigliavano al peggio, e così vivevano secondo il loro piacere. Toccava a Cristo di recare in terra ogni sorta di felicità, fosse umana, fosse divina. E però tu vedi, come dopo la venuta di lui sono innumerabili quegli, che ad imitazione di lui medesimo, vivono non solo secondo la necessità, ma secondo la mortificazione; paghi di ciò, che appena loro basti per non morire più che per vivere. Se tu però non sai essere di costoro così perfetti, sii almen di quelli, che vivono secondo la necessità, più che secondo il piacere. E così abbraccia l’insegnamento, che qui ti porge l’Apostolo, mentre dice: « Habentes alimenta, et quibus tegamur, his contenti simus. — Avendo gli alimenti, e di che coprirci, contentiamoci di questo ». Due sono i beni necessarii all’uomo per vivere; alcuni vagliono a salvarlo da ciò, che lo può distruggere nel di dentro, e tali sono « alimenta — gli alimenti »; altri a salvarlo da ciò, che lo può distruggere nel di fuori, e tali sono « ea quibus tegimur — quelle cose, onde ci copriamo »; o « tegant — cuoprano », come le vesti, o « tegant — cuoprano », come le case: che però non disse l’Apostolo « quibus induainur — di che vestirci », perchè ciò solo non basta; ma « quibus tegamur — di che coprirci ». Nel resto « habentes alimenta, et quibus tegamur, his contenti simus — Avendo gli alimenti, e di che coprirci, contentiamoci di questo » : perchè se saremo paghi di ciò, noi sarem felici. Almeno saremo esenti da tanti mali, ai quali soggiacciono quei, che volendo vivere secondo i loro appetiti, mai non sono ricchi abbastanza, e però sempre « volunt divites fieri — vogliono divenir ricchi », perchè sempre han bisogno di diventare.
II.
Considera, che se tu sei libero dal mal di coloro, « qui volunt divites fieri — che vogliono divenir ricchi », sei libero dal maggior male, che trovisi sulla Terra, perchè sei libero da un evidente pericolo di dannarti. Il pericolo di dannarsi vien da due capi: Dal nemico esteriore, e dal nemico interiore. L’esteriore è il Demonio, 1′ interiore è la propria concupiscenza. Ora se tu vuoi darti a divenir ricco, ciascuno di questi nemici avrà sopra di te una forza orrendissima. Perchè, quanto al Demonio, prima sarà facilissimo, che ti pigli; e poi pigliato, che ti abbia, sarà faciligsimo, che non ti perda mai più; ch’è tutto il peggio, che ti possa avvenire rispetto ad esso. Sarà facilissimo che ti pigli, perchè ti farà incontrare mille opportunità di guadagni illeciti, con cui ti alletterà, come uccello all’esca. E sarà facilissimo, che non ti perda mai più, perchè adescato che ti abbia, non dovrà più durare fatica alcuna per ritenerti, come si fa con gli uccelli. Tu da te stesso nol vorrai più abbandonare, perchè non vorrai far la dovuta restituzione. E però dice l’Apostolo : « Qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem, et laqueum diaboli. — Coloro che vogliono divenir ricchi, incappano nella tentazione, e nel laccio del diavolo », non « in tentationes — nelle tentazioni », ma « in tentationem — nella tentazione »; perchè il diavolo non ha da tentar costoro se non a una cosa sola; a togliere quel danaro di mal guadagno. A ritenerlo egli non ha da tentarli. Quel danaro medesimo, che prima fu a guisa d’esca, tenfatio per la virtù di allettare al male; di poi è a guisa di laccio, laqueus per la forza di trattenere. E s’è così, non pare a te, che p’er ciò, che aspetta al Demonio, tu sii spedito? Quanto alla concupiscenza poi, ch’era il secondo nemico di cui si disse, cioè l’interiore, è agevolissimo, che questa ancora ti renda subito servo, perchè ti terrà con tante braccia, quanti sono i desiderii non solo inutili, ma nocivi, in cui si dirama : « Qui volant divites fieri, incidunt in tentationem, et in laqueum diaboli, et in multa desideria inutilia, et nociva. —Coloro che vogliono divenir ricchi, incappano nella tentazione, e nel laccio del diavolo, e in molti inutili, e nocivi desideri ». Hanno però questi desideri tre pessime qualità: che sono molti, che sono inutili, e che sono nocivi. Sono molti, multa, perchè chi ha danaro s’invaghisce di mille cose, e questo è pessimo effetto. Perchè la perfezione del nostro cuore consiste nel tendere a un bene solo, che abbracci tutti : « Unam petii a Domino, hanc requiram. — Una sol cosa ho addimandato al Signore, questa io cercherò » (Salmo 27, 4). Chi è vago di molti beni tra lor distinti, l’ha diviso, l’ha dissipato, l’ha lacero; e però mira in che stato egli si trova : « Divisum est cor eorum, nunc interibunt. — Hanno il cuor diviso, tosto periranno » (Osea 10, 2). Son desiderii inutili, inutilia, perchè non conducono al fine, che si pretende, il qual è la felicità : « Desiderium peccatorum peribit. — Il desiderio de’ peccatori andrà in fumo » (Salmo 112, 10). Nè conducono alla felicità eterna, nè conducono alla felicità temporale. Non all’eterna, perchè non sono desiderii di beni celesti, ma di terreni. Non alla temporale, perchè su la Terra non si ritrovano beni, che mai gli appaghino : « Comedistis, et non estis satiati; bibistis, et non estis inebriati. — Avete mangiato, e non vi siete saziati; avete bevuto, e non siete esilarati » (Aggeo 1, 6). E così per qualunque capo essi sono inutili. E finalmente sono, non pur inutili, ma nocivi, nociva, perchè ciò è tutto il frutto, che ti producono : tenerti inquieto, o per quello, che brami di conseguire, o per quello, che conseguito temi di perdere : « Labor stultorum affligit eos. — Le fatiche degli stolti saranno il lor tormento » (Qoèlet 10, 15). Quando però tu sii dalla tua concupiscenza tenuto con tante braccia, quanto sono queste ora dette, che potrai fare? Gemerai bensì sotto la sua servitù, come dolorosa, ma non però n’uscirai. E se non n’esci, non vedi chiaro, che sei dannato in eterno? Questo è il termine, dove la smoderata volontà di arricchire ti ha da condurre : all’Inferno : Qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem, et in laqueum diaboli, et in multa desiderio inutilia, et nociva, quae, mergunt homines in interitum, et perditionem. « Mergunt homines in interitum — Sommergono gli uomini nella morte », per la morte eterna di colpa, che ad essi recano; « et mergunt in perditionem —sommergono nella perdizione », per la morte eterna di pena, la quale non solo è detta « interitus — morte », ma « perditio — perdizione », perchè dalla morte di colpa, quantunque di sua natura sia eterna anch’essa, contuttociò per misericordia divina risorgono spesso molti; ma dalla morte di pena nessun risorge. Questa è la perdizion vera, la dannazione : « Lata est via, quae ducit ad perditionem. — Larga è la strada, che conduce alla perdizione » (Vangelo di Matteo 7, 13).
III.
Considera, che questo pericolo di dannarsi, il quale sovrasta a tutti coloro, « qui volunt divites fieri — che vogliono divenir ricchi », è così difficile ad evitarsi, che l’Apostolo ne parlò non come di probabile, ma come d’indubitato. E però di costoro egli disse, che « incidunt in tentationem — cadono nella tentazione », e non « incident — caderanno » come di cosa futura, che spesso è incerta; disse « incidunt — cadono », come di cosa presente, di cui non si può dubitare. Nè mi rispondere, che tu saprai ben guardartene, tanto andrai cauto, tanto andrai circospetto : perciocchè a chiuderti un tale scampo l’Apostolo ha detto « incidunt — cadono ». E non sai tu, che incidere, tanto è proprio di chi si guarda, quanto di chi non si guarda? « Aliquando incidam una die in manus Saul, disse Davidde. — Finalmente, un giorno o l’altro, io caderò nelle mani di Saulle », benchè per altro andasse tanto guardato di non cadervi. Così non basta, che guardatissimo vada tu parimente di non cadere in questo grave pericolo di dannarti, del quale abbiam favellato. Vi caderai, benchè non voglia cadervi : Incides. Sono tante le occasioni, che ha di prevaricare chiunque si mette in animo di volere divenir ricco, che non accade, ch’egli vada a cercarle, le incontrerà ad ogni passo. E se sono tante, come può fare a preservarsi da tutte? Però il consiglio savio è far ciò, che dice l’Apostolo, cioè contentarsi di vivere secondo la necessità, non secondo il piacere: « Habentes alimenta, et quibus tegamur, his contenti simus. —Avendo gli alimenti, e di che coprirci, contentiamoci di questo ». Che se a te questo consiglio medesimo par troppo stretto, quantunque a tanti, che vivono secondo la mortificazione, paia anche troppo discreto; e tu opera in questa forma: Contentati dello stato, in cui Dio ti ha posto; non volere accrescerlo, non volere avanzarlo; perchè qui sta il sommo pericolo. Che però forse ancor non disse l’Apostolo : « Qui divites sunt, incidunt in tentationem, etc. — Coloro, che sono ricchi, cadono nella tentazione, ecc. », ma « qui volunt divites fieri, — coloro, che vogliono divenir ricchi ». Perchè il pericolo maggiore non è nell’essere ricco (benchè qui ancora il pericolo è molto grave : « Si dives fueris, non eris immunis a delicto — Se sarai ricco, non sarai esente da colpa ») (Ecclesiastico o Siracide 11, 10), è nel volere arricchire. E però contentati pienamente di quello, che ti ha dato: Sint mores sine avaritia, contenti praesentibus (Lettera agli Ebrei 13). Questo è contentarsi delle cose presenti, contentarsi del proprio stato. Credi tu, che se fosse per te espediente uno stato più florido, uno stato più facoltoso, Iddio non avrebbe saputo dartelo? E’ dottrina molto probabile, che agli eletti Iddio conceda tutto ciò di ricchezza, ch’è profittevole per la loro salute. Che però sta scritto : divites, cioè quei ricchi, di cui qui parla l’Apostolo, « eguerunt, et esurierunt — si trovarono in bisogno, e patirono farne » eguerunt, non si riputando mai ricchi, et esurierunt, bramando continuamente di diventare, « inquirentes autem Dominum — ma a coloro che cercano il Signore », cioè gli Eletti, « non minuentur omni bono — non mancherà mai bene alcuno » (Salmo 34, 11). Non dice « omni re — cosa alcuna », dice « omni bono — bene alcuno », perchè Iddio a questi tanto dà di ricchezza, quanto è lor bene, cioè quanto scorge, che sarà lor giovevole ad ottenere quel Dio, che cercano, ad ottener la sua grazia, ad ottener la sua gloria, ad ottenere l’eterna beatitudine. Questa ricchezza ad essi è verissimo bene, se non in ragione di fine, in ragion di mezzo, e però Dio pur lo dà. Ma più di questa egli si astiene di darne, perchè in tal caso non sarebbe più bene, sarebbe male, e male ancora gravissimo. Adunque lascia; che Dio disponga di te, come piace a lui : perchè facendo così cercherai lui, più che te : Inquires Dominum, non inquires te ipsum: e conseguentemente sarai certissimo, che non manchiti mai punto di quello, ch’è vero bene: Non minueris omni bono. Non è, se non altro, molto più verisimile secondo tutte le regole, ancora umane, che sia miglior per te quello stato, in cui Dio ti ha posto, che non quell’altro, a cui tu intendi d’innalzarti di senno tuo? « Qui confidit in cogitationibus suis, impie agit. — Chi confida ne’ suoi disegni opera da empio » (Proverbio 12, 2), perchè si espone a pigliar solenni abbagli.