La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

APRILE

XV. GIORNO

Il Venerdì Santo

 «Peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum, ut peccatis mortui, justitiae vivamus. — Egli stesso scontò i nostri peccati nel suo corpo sulla Croce, affinchè morti aI peccato, viviamo alla giustizia » (Prima lettera di Pietro 2, 24).

 

I.

Considera qual fu il fine da Cristo inteso col morir questo dì su un tronco di Croce fra tante pene. Fu il far sì, che morti al peccato, dovessimo da ora innanzi vivere alla integrità, alla innocenza, alla santità: Peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum, ut peccatis mortiti, justitiae vivamus. Non dice solo, perchè non pecchiamo più, ma perchè siamo di più morti al peccato: peccatis mortui. Chi è morto al mondo (com’è de’ Religiosi, allora che hanno fatto i voti solenni) si fa conto che al mondo già più non sia. E però se nella famiglia da lor lasciata si ha da fare a cagion di esempio un matrimonio, un censo, una compra; per mantenerla, si pensa ad altri. Un volersi in tali occorrenze valer di loro, sarebbe come un volersi valer dei morti, che stan nella sepoltura. Così dobbiamo esser noi rispetto al peccato: dobbiamo essere come morti: Existimate vos mortuos esse peccato (Lettera ai Romani 6, 11). E però se succeda qualche interesse cui provvedere, vi si provegga bensì, ma per altra via: peccando non si può più: Qui mortui sumus peccato, quomodo adhuc vivemus in illo? (Lettera ai Romani 6, 2). Oh che morte desiderabile! Eppure ell’è in poter tuo. Cristo è però giunto a spirare su quel suo durissimo legno per ottenerla. E tu la sdegni? Vivi pure al peccato, se ti dà cuore di farlo più lungamente: ma mira in prima l’orrendo mal che tu operi. Rendi inutile a te tanto sangue sparso da Cristo per la tua salute.

 

II.

Considera, che se più si arriva a peccare dopo la morte di Cristo, però si pecca, perchè non si finisce anoora o di credere, o di capire, che mal sia quello, per liberarci dal quale bisognò che l’istesso Figliuol di Dio sopportasse tanto: Peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum; non « alius — un altro », no, ma « ipse ipse — egli egli ». Dice « ipse — egli », perchè, se umanati si fossero tutti gli Angeli, che pur sono tanti di numero, e tali di nobiltà, e fossero tutti morti sopra un patibolo, scarnificati, e svenati all’istessa forma come oggi Cristo; non sarebbono neppure giunti a sborsare in compensazion del peccato il valor di un soldo. Vi volle a tanto Gesù vero Dio, e vero uomo, in persona propria: Ipse est propitiatio pro peccatis nostris (Prima lettera di Giovanni 2, 2). E benchè sia certo, che con una stilla di sangue da lui versato, anzi con un singulto, con un sospiro, egli avrebbe potuto soddisfare per tal peccato condegnamente, mercè 1′ infinità del suo meritare, contuttociò, se non fu necessario ch’ egli patisse tanto ancor di vantaggio, fu almeno giusto. E tu dalla severità del rimedio non arguirai l’atrocità di quel male, a cui fu applicato? Qual cosa più indegna, che vedere il Figliuol di Dio star nudo sotto le sferze di manigoldi? E pur non pago di ciò, voll’egli che alle sferze si unissero ancor le spine, alle spine i chiodi, ai chiodi il fiele, al fiele l’aceto, l’assenzio, e insino le lance. Che poteva dunque operar egli di più, a dimostrarci quanto dobbiamo aver in odio il peccato? E tu nondimeno giugnerai talora a commetterlo ancor per giuoco? Va ora, e nega non essere ciò da stolto: Quasi per risum stultus operatur scelus (Proverbio 10, 23).

 

III.

Considera come Cristo scontò i nostri peccati, non solamente nel corpo, ma ancor nell’animo, tante furono le angosce, che a cagion d’essi egli tollerò interiormente. Basti dir, che nell’orto, al solo pensarvi, egli sudò sangue. Con tutto ciò ha qui voluto dire S. Pietro: « Peccata nostra ipse pertulit in corpore suo — Egli scontò i nostri peccati nel suo corpo », più che dire « in animo suo — nell’animo suo », perchè se le pene spirituali sono più sensibili in sè, le corporali sono più sensibili a noi. E quale scusa hai tu, se non ti compungi al veder Cristo per te così maltrattato? Quando anche l’animo non fosse al tempo medesimo afflitto in lui dal più alto lutto, di cui sia stato sulla terra capace alcun cuore umano, non ti è bastevole il contemplar le sue membra, non solo peste, non sol piagate, ma lacere? Eppure è certo, che siccome il dolore interno fu da lui preso a misura di quella contrizione, che tutti i peccatori dovrebbono avere al mondo de’ loro eccessi, così l’esterno pur a proporzione fu preso di quei supplicii, di cui per tali eccessi sarebbono meritevoli. Ma questi chi può dir quanti sieno? Però non potendo a tanto supplirsi con la sola o quantità, o qualità de’ tormenti, che Cristo dovea sofferir nella sua passione, fu a ciò àupplito con l’acerbità del dolore, che questi in lui produrrebbono più che in altri, attesa l’isquisita delicatezza, con cui dallo Spirito Santo fu lavorato il suo purissimo corpo: corpo formato sulla terra fra tutti affin di patire. Se tu nell’interiore non senti niente i peccati da te commessi, pensa quanto per te gli sentì già Cristo Sapienza eterna; e se niente sai farne di penitenza con l’esteriore, mira che però Cristo ne fe’ pur tanta per te, e almeno ringrazialo, se non lo sai compatire.

 

IV.

Considera come Cristo avrebbe potuto appieno scontare i peccati nostri con le austerità corporali da sè intraprese, di cilicii, di digiuni, di discipline, e di altre macerazioni simili di se stesso, usate dai penitenti, perchè ancora in tal caso si sarebbe potuto dire con verità: « peccata nostra ipse pertulit in corpore suo — egli scontò i nostri peccati nel suo corpo ». Ma egli non fu contento di ciò. Volle scontarli con essere per tali peccati infin posto in Croce: Peccata nostra ipse pertulit in corpore suo super lignum: mercè che ai sommi dolori, volle che si aggiugnesse ancor l’ignominia di esserne dalla gente creduto degno. Ben sai tu, che la Croce, siccome era già tra’ supplicii dati a’ delinquenti in que’ tempi il più doloroso, atteso lo sconquassamento totale di tutte l’ossa, così era senza dubbio il più vergognoso: morte turpissima condemnemus eum (Sapienza 2, 20), e però questo si elesse Cristo tra gli altri di miglior grado, per veder se con tanto potesse almeno arrivare un giorno a confondere il tuo spirito altiero, ed a soggettarlo. Ed ecco per qual ragione ancor non si dice, che « poenas peccatorum nostrorum ipse pertulit super lignum — egli scontò sulla Croce le pene de’ nostri peccati », ma « peccata nostra i nostri peccati », perchè sue sulla Croce apparir dovevano non solamente le pene dovute a noi per le colpe nostre, ma le stesse colpe. E tu ad eccessi di carità tanto ardente, in un dì qual è questo, non ti commuovi? Ah che han ragione di spezzarsi le pietre, per farti intendere, quanto sei di esse più duro!

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