APRILE
XII. GIORNO
Sopra l’intelletto. Quali siano le tenebre, e quale il lume di quello.
« Hoc est autem judicium: quia lux venit in Mundum, et dilexerunt homines magis tenebras, quam lucem.— Il giudizio è già manifesto : chè venne al Mondo la luce, e gli uomini amaron più le tenebre che la luce » (Vangelo di Giovanni 3, 19).
I.
Considera, che queste tenebre, di cui qui favella il Signore, non sono i peccati della volontà, ma gli errori dell’intelletto, a cui poi sogliono andare annessi i peccati della volontà. Perciocchè questi nelle divine Scritture non sogliono dirsi tenebre, ma opere delle tenebre: Opera tenebrarum (Lettera ai Romani 13, 12). Tenebre son detti gli errori dell’intelletto: « Qui vos de tenebris vocavit in admirabile lumen suum. — Egli dalle tenebre vi chiamò all’ammirabile sua luce» (Prima lettera di Pietro 2, 9); cioè «vocavit — chiamò » dalla ignoranza del vero. E talor tenebre son detti ancor quelli, che giacciono in tali errori: « Eratis aliquando tenebrae. — Una volta eravate tenebre » (Lettera agli Efesini 5, 8). Ma qui non intende il Signore parlar di questi, che sono piuttosto tenebrosi, che tenebre, e solo si dicono tenebre per mostrar quanto sian tenebrosi. Intende parlar di quelle, che in proprio senso son vere tenebre, cioè degli errori dell’intelletto, i quali si aggirano o intorno al credere, che son le tenebre proprie degl’infedeli, o intorno all’operare, che son le tenebre proprie de’ Cristiani malvagi. Di tutti coloro, che amano queste tenebre, dice il Signore, che il Giudizio è già manifesto: Hoc est autem judicium: non accade più cercare altre prove su cui dannarli. Basti di risapere, che « Lux venit in mundum, et dilexerunt homines magis tenebras, quam lucem — La luce venne nel mondo, e gli uomini amaron più le tenebre che la luce »: perchè avendo essi portato un tal amore alle tenebre, ne segue per conseguenza, che abbiano portato amore anche a quei peccati di volontà, i quali vanno congiunti con tali tenebre. Mettiti un poco qui di proposito a ripensare, se sei di questi infelici, perchè questo sarebbe il sommo de’ mali, voler le tenebre, e nemmeno conoscere di volerle: « In tenebris quasi in luce ambulant. — Camminano nelle tenebre come nella luce » (Giobbe 24, 17).
II.
Considera, che tra i Fedeli possiam distinguere tutte le persone in tre classi. Alcune tengono le finestre tutte aperte a quel Sole, di cui sta scritto: « Illuminans tu mirabiliter a montibus aeternis. — O tu, che spandi mirabilmente tua luce dagli eterni monti » (Salmo 76, 5). Altre tengono le finestre tutte serrate. Altre non le tengono nè tutte serrate, nè tutte aperte, ma mezzo aperte, e mezzo serrate, e, come suol dirsi in una parola, socchiuse. Tengono le finestre tutte aperte quelle anime, le quali non altro bramano, che ricevere sempre più di lume da Dio. Tengono le finestre tutte serrate quelle anime, le quali niente più odiano, che ricevere questo lume. Tengono finalmente le finestre socchiuse tutte quelle altre, le quali amano pur qualche lume da Dio, ma non ne vorrebbono troppo, per non essere tenute a troppo alta corrispondenza. Le prime sono poche, le seconde sono molte, le terze son moltissime. Esamina ben lo stato di tutti e tre questi ordini di persone, per ben intendere, a cui tu ancora appartenga.
III.
Considera la felicità di quelle anime, le quali tengono le finestre loro tutte aperte. Queste sono le anime sante, le quali ben veggono, che tanto di bene esse operano, quanto hanno di lume vivo: « Ambulabunt gentes in lumine tuo. — Cammineranno le genti con il tuo lume » (Isaia 60, 3). E però a questo anelano, a questo aspirano, dimandandolo sempre con calde istanze: « Deus meus illumina tenebras meas. — Dio mio, rischiara le tenebre mie » (Salmo 18, 29). Amano di udire la parola di Dio, amano di esser corrette, amano di esser consigliate, leggono volentieri de’ libri spirituali, perciocchè tutto concorre a dar loro lume. A queste anime il Signore si comunica a meraviglia, perchè egli è Sole: « Lux venit in Mundum. — Venne al mondo la luce ». E però tanto egli entra in casa a ciascuno, quant’egli vi trova di accesso; non violenta le finestre, non rovina, non rompe, come fa il fulmine; mercecchè con recar la sua luce, reca ad ognuno un benefizio grandissimo, e però non lo reca a veruno per forza: « Beneficium non confertur in invitum. — Non si dà benefizio à verun per forza ». Lascia usar totalmente la forza al fulmine, il quale va a portare castigo. Vedi dunque ciò ch’hai da fare, affine di ottener da Dio molto lume; aprirgli le tue finestre più che tu puoi, come faceva Daniele là in Babilonia. Ma fa presto, perchè egli è Sole, e così ancora benefica di passaggio: Pertransiit benefaciendo (Atti degli Apostoli 10, 38). E passato che sia, puoi tu forse prometterti, che ritorni? Del Sol materiale, cioè di quello, che tu vagheggi cogli occhi, tu puoi promettertelo, ma non già del Sole Divino; perciocchè questo non vive soggetto a leggi, come è di quello: « Orietur vobis timentibus nomen Domini Sol justitiae, et sanitas in pennis ejus. — Per voi che temete il nome del Signore sorgerà il Sole di giustizia, e su le sue penne recherà salute » (Malachia 4, 2). Il Sole materiale non ha penne, il Divino le ha, e su queste ti reca la tua salute: Sanitas in pennis ejus; e perchè su queste? Per dinotare, ch’egli da sè va, da sè viene, non ha veruno, che regoli il suo viaggio.
IV.
Considera per contrario la infelicità di quelle anime, le quali tengono le finestre loro tutte serrate. Queste sono le anime scellerate, le quali non amano di far niente di bene, e però non vorrebbono veder lume, cioè non vorrebbono intendere il loro debito: Nolunt intelligere, ut bene agant. Se ricevono qualche lampo improvviso di verità nella lor mente, procurano di distrarsi, di divertirsi: « Dixerunt Deo: Recede a nobis, scientiam viarum tuarum nolumus. — Dissero a Dio: Va lungi da noi, non vogliam sapere nulla di tua dottrina » (Giobbe 21, 14). Vanno a commedie piuttosto, che andare a prediche, sdegnano correzioni, sdegnan consigli, non aman leggere se non libri profani e apertamente hanno giurata ostilità al loro Sole: Fuerunt rebelles lumini (Giobbe 24, 13). Queste anime ben tu scorgi in che stato imminente di dannazione si vengano a ritrovare; perchè sono quelle anime propriamente che sono in tenebris, e se sono in tenebre, già son vicine a perire. Però è notabile, che nelle Sacre Scritture continuamente le tenebre si congiungono coll’ombra della morte: « Obscurent eum tenebre, et umbra mortis. — L’oscurino le tenebre, e l’ombra di morte » (Giobbe 3, 5). « Eduxit eos de tenebris, et umbra mortis. — Li trasse fuori dalle tenebre, e dall’ ombra di morte » (Salmo 107, 14). « Sedentes in tenebris, et umbra mortis. — Sedevan nelle tenebre, e all’ombra di morte » (Salmo 107, 10). E che si vuol dinotare con questa formola, se non che, chi sta in tenebre, vive in sommo pericolo della morte, cioè della dannazione? Quando tu miri venir l’ombra, che dici? non dici subito, ch’è vicino a venire ancora il suo corpo? Or così di’, che sia vicina la dannazione a venire su questi miseri. Oh che pericolo propinquo, oh che pericolo prossimo! L’ombra dà segno, che il corpo non solo sia vicino, ma sia presente. Però di’ pure, che quanto prima saran raggiunti dalla morte coloro, che già ne sono sopraffatti dall’ombra. Io non voglio te presupporre in un tale stato, e però prega cordialmente il Signore, che per pietà illumini tutti quelli, che vi si trovano: « Illuminare his, qui in tenebris, et in umbra mortis sedent. — Illumina coloro che siedono nelle tenebre, e nell’ ombra della morte » (Vangelo di Luca 1, 79). Giacchè non è da sperare che questi preghino giammai punto per sè. Chi non solo sta in tenebre, ma vi siede, è facilissimo, che anche metta a dormirsi. Così è di questi infelici, non pensano al loro male, non l’apprendono, non l’avvertono, e però non usano alcuno studio affine di liberarsene. E questo è forse ciò, che si vuole anche esprimere, quando si dice, che « qui sedent in tenebris — coloro che siedono nelle tenebre » « sedent altresì in umbra mortis — siedono nell’ombra della morte »; si vuol esprimere, che giacciono tutti oppressi, non solo dalle tenebre, ma dal sonno; perciocchè ch’altro è il sonno, se non un’ombra, che è quanto dire, un’immagine della morte? Umbra mortis.
V.
Considera lo stato di quelle altre anime le quali tengono le finestre socchiuse. Queste sono le più, e però è più verisimile, che tra queste tu ancor ti trovi. Ma quali sono queste anime? Sono quelle, le quali vogliono qualche lume da Dio, ma temono in certo modo di averne troppo. Se ne hanno troppo, par loro non poter vivere, perchè non vogliono corrispondere al lume, e però s’inquietano. Ora a queste anime pare, che a maraviglia si adattino le parole di questo luogo, il quale meditiamo; perchè non dice assolutamente il Signore, che « homines dilexerunt tenebras — gli uomini amaron le tenebre »: ma che « dilexerunt magis tenebras, quam lucem — amaron più le tenebre, che la luce ». Chi tien le finestre tutte aperte, ama assolutamente la luce. Chi tien le finestre tutte chiuse, ama assolutamente le tenebre. Rimane adunque, che questi amino più le tenebre, che la luce, i quali tengono le finestre nè tutte aperte, nè tutte chiuse, ma piuttosto chiuse, che aperte. Ma checchè siasi di ciò, non è questa di certo la vera regola. In cambio di dire al Sole, che non folgori tanto sopra di te a mostrarti la verità, digli, che ti dia virtù di operare ciò che ti mostra: « Da, Domine, quod jubes, et jube quod vis. — Dammi, o Signore, virtù di operare ciò che comandi, e comanda quello che vuoi »; ed ecco svaniti tutti i tuoi vani timori. Temi forse di non dover ottenere questa virtù? Dimandala oggi, e poi tornala a dimandare il dì di domani, e poi l’altro, e poi L’altro, e poi l’altro con gran costanza; ed io ti assicuro a nome di quell’istesso Signore a cui si appartiene il darla, che l’otterrai: « Petite, et dabitur vobis. — Chiedete, e otterrete » (Vangelo di Matteo 7, 7). Nel resto oh quanto è meglio, quando ancora non operi, veder ciò, che tu dovresti operare! Perchè almeno allora il rimorso della coscienza farà, che ne’ tuoi mancamenti non abbi pace, e così v’è speranza, che un dì ti emendi; altrimenti tu sei spedito. Però vedi, quanto convien discorrere diversamente da quello, che tu costumi. Tu non vorresti troppo lume, per non sentire sì acuto ne’ tuoi difetti il rimorso della coscienza: ed io ti dico, che affine di sentire questo rimorso, devi amar molto lume. Credi tu forse, che la medesima oscurità, la quale non è altro alla fine, che un lume scarso, che un lume squallido, sia picciol male? Anzi il Demonio non ti chiede altro da principio, che questa: e ciò per due capi. Prima perchè egli è come quei Mercatanti ingannevoli, i quali sono sicuri di dovere anch’essi spacciare le loro merci adulterate da loro con sommo studio, purchè le possano vendere solamente a botteghe oscure: Oculus adulteri observat caliginem (Giobbe 24, 15). E poi perchè sa che niuna cosa è più facile quanto questa, che l’oscurità quanto prima trapassi in tenebre. Però tu guardati di non amare quasi una sera perpetua nella tua mente, perchè alla sera succederà poi la notte.
VI.
Considera, che torto grande fanno al Signore tutti coloro, che da sè lo rigettano, perchè è luce: anzi per questo medesimo volentieri egli deve essere accolto: perchè non altro pretende al fine questo Sole, che scacciar da loro la più brutta cosa, che abbiano; l’ignoranza: « Ego lux veni in mundum ut omnis, qui credit in me, in tenebris non maneat. — Io, che sono luce, venni al mondo affinchè chiunque in me crede non rimanga nella ignoranza » (Vangelo di Giovanni 12, 46). Però chi avrà amata questa, non avrà scusa, perchè l’ignoranza volontaria non diminuìsce il peccato, ma lo raddoppia. E questa è la ragione, per cui il Signore riprende tanto questi uomini, che « dilexerunt magis tenebras, quam lucem — amaron più le tenebre, che la luce »; gli riprende appunto perchè « dilexerunt — le amarono », ch’è quanto dire le vollero. Il sommo male non è dimorare in tenebre, ma l’amarle. E però dice, che contro questi il giudizio è già terminato: Hoc est autem judicium; perchè non accade altro processo a convincere questi, che si dichiarano non curanti di luce; con questo stesso già si dichiarano rei di tutte quelle cadute, che provengono loro dalle lor tenebre.