La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

DICEMBRE

 

XI. GIORNO

Danni sommi, che recano gli attacchi alle prosperità, comodi, e delizie della vita.

« Fertilis fuit Moab ab adolescentia sua, et requievit in fcecibus suis: nec transfusus est de vase in vas, et in transmigrationem non abiit: idcirco permansit gustus ejus in eo, et odor ejus non est immutatus— Moab è stato in tranquillità sin dalla sua fanciullezza, e s’è riposato sopra la sua feccia: non è stato mai travasato, e non ha mutato paese: per questo il suo sapore si è conservato, e il suo odore non si è cambiato » (Geremia 48, 11).

 

I.

Considera quanto alla virtù sia nocevole l’attacco alle comodità, che si godono, specialmente ne’ luoghi fermi. Il popolo di Moab le avea sortite sin da principio assai grandi, nascendo in un paese amenissimo, e abbondantissimo, non distante dalla desolata Pentapoli, donde non poco egli avea ancora imparato di libertà: Fertilis fuit Moab ab adolescentia sua. E però vedi qui a che segno arrivò? A vivere quietamente fra le sue fecce: Et requievit in foecibus suis, mercè che mai non essendo egli stato di là rimosso, fu di lui come di un vino nobile sì, generoso, gagliardo, ma non travasato : marcì ne’ suoi primi vizi, sicché alla fine bisognò far di lui pure quello, che si suol fare di un vino guasto, bisognò mandarlo in malora. Tu facilmente potresti in onor Divino operar di molto, se tu volessi, perchè non ti manca forze, nè ingegno, nè indole, nè talenti per operarlo, e pur non fai nulla : Requiescis in fcecibus tuis. Sai tu qual n’è la ragione? Non es transfusus de vase in vas. Stai sempre attaccato là, dove tu nascesti, o veramente là, dove ti piace star per l’abito fatto, o per l’amicizie, o per gli appoggi, o per le varie comodità che vi godi. Sicché di te ancora si può dire ormai come di Moab : « in transmigrationem non abiit — non ha mutato paese ». E però non è maraviglia, se tra le fecce, a te già sì care, finalmente tu perdi ogni tuo vigore. Lascia che Dio cominci a dispor di te come più gli aggrada : « Ecce ego, mitte me. — Eccomi, manda me » (Isaia 6, 8). Stacca l’affetto, e dalla patria, e da’ parenti, e da tutti quei luoghi ancora, ove stai più agiato : « Vasa transmigrationis fac tibi, habitatriae filia Aegypti — Prepara il bisognevole per la tua trasmigrazione, o fanciulla abitatrice dell’Egitto » (Geremia 46, 19) e vedrai quanto anche tu diverrai più opportuno al Divin servizio.

II.

Considera quali sieno que’ danni, i quali derivano dall’attacco agli agi ora detti. I danni son due, e son quelli appunto, che dall’attacco alle fecce derivano ancor nel vino, allora che vi si lascia star lungamente e non si travasa : non poter più deporre il cattivo sapore; e non poter più deporre il cattivo odore: Permansit gustus ejus in eo, et odor ejus non est immutatus. Il sapor cattivo è la cattiva inclinazione, che si è fatta a non uscir più di là, dove è già piaciuto di vivere lungo tempo : questa ognor cresce, e però arriva finalmente a tal segno, che non è più possibile di deporla, benchè se n’esca, Come fa il vino, il quale quando ha pigliato già mal di madre, ancora che si trasporti in un’altra botte, no ‘l lascia più: sempre sa di quella, permansit gustus ejus in eo. E l’odor cattivo è il cattivo nome, il quale a lungo andar si è contratto col darsi agli agi: perchè chi può giudicare, che un uomo tale debba cominciare ad imprendere volentieri nella vecchiaia quelle fatiche, a cui non si avvezzò nella gioventù? Odor ejus non est immutatus. E però chi presto non esce fuor delle fecce, troppo si rende già inutile a far del bene : « Non invenitur sapientia in terra suaviter viventium. —La sapienza non si trova nella terra di quei che vivono delle delizie » (Giobbe 28, 13). Pare a te pertanto di esserne ancora fuori? Dell’odor, che tu spargi, può render altri nel vero testimonianza assai più di te: ma del gusto, che provi, dovresti ormai restar certo per te medesimo.

III.

Considera, che a guisa di vino non lasciato già nelle fecce, ma travasato, furono senza dubbio quegli antichi Servi di Dio, di cui ci dice l’Apostolo, che appena già ritrovavano più ricetto sopra la terra, ove riposarsi, tanto erano da tutti, o discacciati, o derisi, o perseguitati : « Circuierunt in melotis, in pellibus caprinis, egentes, angustiati, afflicti, quibus dignus non erat mundus: in solitudinibus errantes, in montibus, et speluncis, et in cavernis terrae — Andaron raminghi, coperti di pelli di pecora, e di capra, mendichi, angustiati, afflitti, coloro de’ quali il mondo non era degno; errando pe’ deserti, e per le montagne, e nelle spelonche, e caverne della terra » (Lettera agli Ebrei 11, 37). E però chi può dir che grandi strumenti furono quelli già della Gloria Divina? E a te per essa non dà cuore di fare ancor tanto meno, quanto è lasciar l’eccessive comodità, che ti godi in pace? Guarda, che una tal pace è quella pace, che gode il vin nelle fecce : pace, che a poco a poco conduce alla corruzione : « Visitabo super viros defixos in fcecibus suis. — Andrò a cercare gli uomini fitti nelle loro immondezze » (Sofonia 1, 12).

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