SETTEMBRE
X. GIORNO
Qual debba essere la meta o fine del Cristiano.
« Ego igitur sic curro, non quasi in incertum; sic pugno, non quasi aerem verberans: sed castigo corpus meum, et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar. — Io dunque in tal guisa corro, non come in incerto; in tal guisa combatto, non quasi percuotendo l’aria: ma mortifico il mio corpo, e lo riduco in servitù, affinchè, avendo predicato agli altri, io stesso per avventura non mi faccia reprobo » (Prima lettera ai Corinzi 9, 26, 27).
I.
Considera, che la vita di un Cristiano, se ben si guarda, altro non è, che un assiduo corso, un assiduo combattimento: un corso al palio, un combattimento contro di quei nimici, che ci vorrebbono ritardar dal corso. Il palio si è quella perfezione, alla qual Dio ci chiama nel nostro stato : « Bravium supernae vocationis Dei. — Il premio della superna vocazione di Dio » (Lettera ai Filippesi 3, 14). I nimici sono quegli appetiti scorretti, che abbiamo in seno : « Inimici hominis domestici ejus. — Nemici dell’uomo (sono) i propri domestici » (Vangelo di Matteo 10, 36). Però conviene che ti animi virilmente all’ uno, ed all’ altro; al correre, ed al combattere. Ma nota l’ arte insegnataci dall’Apostolo. Ed è, che tu non operi quasi a caso, ma che ti prefigga molto in particolare il termine, a cui correndo vuoi giugnere, e i nemici, che ti vuoi sottomettere combattendo. Corre in incerto, chi vuol sì bene arrivar àlla perfezione, la qual è l’ultimo termine; ma non si prefigge di mano in mano quella virtù, di cui specialmente desidera fare acquisto. Combatte quasi con dare dei pugni all’aria, chi vuol bensì soggiogare le sue passioni; ma non più questa, che quella. A te come pare in ciò di procedere? Se vuoi far bene, mira qual sia quella virtù della qual ti ritrovi più bisognoso, e a quella dirizza il corso; mira qual sia quel vizio il quale in te predomina maggiormente, e contro quello disponi il combattimento. Nè solo ciò : ma pensa bene anche al modo che devi tenere e nell’uno e nell’altro, nel correre, e nel combattere: « Ego igitur sic curro, ego igitur sic pugno — Io dunque in tal guisa corro, io dunque in tal guisa combatto » : non solo « curro — corro » ; non solo « pugno — combatto »; ma « sic — in tal guisa ». Questa è la regola vera di approfittarsi : non pigliare il negozio quasi in astratto, pigliarlo nelle sue forme individuali : « Sic decet nos implere omnem justitiam. — Così conviene a noi di adempire ogni giustizia ». Non solo decet implere, ma implere sic.
II.
Considera, che il fine, il qual senza dubbio si avea prefisso l’Apostolo nel suo corso, si era questo, di tirar anime a Cristo; che però senza mai fermarsi varcò tanta vastità di paesi. E pure a ciò conseguire pigliò per mezzo principalmente il far guerra contro il suo corpo, maltrattandolo, macerandolo, flagellandolo, che tanto vale qui la voce castigo, vale a dire, il medesimo che « contundo —pesto » il che non è senza piaghe, senza percosse, quasi che a lui non bastasse di affaticare tanto altamente il suo corpo, se ancora non tormentavalo. Ma chi può qui non colmarsi di maraviglia? Pare che, ognuno mosso a pietà di tante genti che andavano in perdizione, avrebbe esortato l’Apostolo a risparmiarsi per loro bene, a non si logorare la sanità, a non si snervare il vigore, a non si scorciare la vita. E pur egli stimò l’opposto. Ad ottenere il suo fine questo fu il mezzo ch’egli giudicò opportunissimo, la mortificazion della carne: Castigo corpus meum. « Castigo — Mortifico », non « occido — uccido » : perchè una tal mortificazione vuol essere tolta fino a quel segno che giovi al fine: ma pur « castigo — mortifico », perchè non dee disprezzarsi, quasi che sia virtù propria dei principianti. « Castigo — Mortifico » ancora dopo tanti anni di vita spirituale; non « castigavi — ho mortificato » soltanto nei suoi principii. Castigo tra le fatiche, castigo tra i pellegrinaggi, castigo tra le predicazioni, castigo fra tante opere esimie di carità, che da sè sole potrebbono parer bastanti a salvarmi. Così diceva egli. E tu che dici? tu dico, che del continuo e ti accarezzi, e ti aduli, sotto pretesto di conservarti a maggior gloria di Dio? Sei per ventura tanto più necessario al genere umano di quel che fosse l’Apostolo?
III.
Considera, che lo spavento maggiore è l’udir ciò che l’Apostolo dice appresso: « Ne forte, cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar — Affinché, avendo predicato agli altri, io stesso per avventura non mi faccia reprobo »; quasi che il trascurare la mortificazion della carne gli dovesse arrecare la dannazione. « Quid faciet Agnus, ubi Aries timet, et tremit? — Che farà l’Agnello, ove il Montone paventa, e trettia? » dice S. Agostino (Serm. II de Verb. Ap.). Sei tu sicuro, che il trascurare una tal mortificazione non abbia ancora a te da produrre altrettanto male? Ti dee tener sollecito ogni sospetto benchè leggiero, ch’abbi in contrario. Che però l’Apostolo qui diceva : « ne forte — affinchè per avventura », perchè si tratta di un punto che importa troppo, si tratta della salute. E che ti vale salvar l’universo Mondo, se al fin ti danni? Quid prodest homini, si Mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? (Vangelo di Matteo 16, 26). Credi tu per ventura di non potere esser più mandato all’ Inferno, dappoi che, avrai già mandati di molti al Cielo? Se questo fosse, non avrebbe detto l’Apostolo : « Ne forte, cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar — Affinchè, avendo predicato agli altri, io stesso per avventura non mi faccia reprobo ». Chi mai pervenne a salvar più gente di lui? E pure non si fidava, siccome quegli, che, s’era stato da Dio confermato in grazia, non ne avea sicura contezza. Oh quanto un rischio anche piccolo ha da temersi, quando è di riprovazione! « Super hoc expavit cor meum, et emotum est de loco suo. — Per questo mi tremò il cuore, e sbalzò dalla sua sede » (Giobbe 37, 1).
IV.
Considera, che questa riprovazione è sempre possibile, perciocchè si lavora dentro di noi. Da Dio viene, che noi siamo approvati per la sua gloria, da noi che siam riprovati, che però non dice l’Apostolo, « Ne forte reprobus euadam — Onde per avventura non diventi re probo », dice « efficiar — mi faccia », perchè ciascuno è fabbro a sè del suo male: « Perditio tua, Israel. — La perdizione è da te, o Israele » (Osea 13, 9). Ma se dentro di noi medesimi si lavora la nostra riprovazione, chi sarà colui, che non abbia da temer molto? Questo è il prodigio : che arrivi a temer l’Apostolo di dannarsi, dappoi che tanto egli ha faticato per Dio, e però si maltratti, e però si maceri; e che frattanto tenga tu quasi in pugno la tua salute, mentre ancor vivi dato tutto alle proprie comodità! Vuoi tra esse tu persuadermi di aver la carne già soggetta allo spirito, più di quel che l’avesse l’Apostolo tra suoi stenti? Non posso crederti. Senti com’egli parla a confusion di coloro, che’ così presto si fingon d’essere divenuti impeccabili : « Castigo corpus meum, et in servitutem redigo .— Mortifico il mio corpo, e lo riduco in servitù »; non dice « in servitute retineo — lo ritengo in servitù » : dice « in servitutem redigo — lo riduco in servitù ». Segno dunqu’ è, che la ribellione anche provasi dai perfetti, e provasi sino al fine.