APRILE
X. GIORNO
Della vera sollecitudine.
« Nihil soliciti sitis, sed in omni oratione, et obsecratione, cum gratiarum actione, petitiones vestrae innotescant apud Deum. — Non siate sì solleciti, ma in tutte le cose presentate a Dio le vostre istanze per mezzo dell’orazione e dell’ossecrazione unendovi il rendimento di grazie » (Lettera ai Filippesi 4, 6).
I.
Considera, che quel medesimo Apostolo, il quale qui ordina, che si deponga qualunque sollecitudine, nihil soliciti sitis, altrove afferma di averla in sè esperimentata grandissima: « Volo vos scire qualem solicitudinem habeam pro vobis. — Bramo, che sappiate qual sollecitudine io abbia per voi » (Lettera ai Colossesi 2, 1). Dal che si scorge, che v’è doppia sollecitudine: una cattiva, una buona. La buona significa diligenza, la cattiva significa quell’inquietudine, quell’ansietà, quell’affanno, che si aggiunge alla diligenza per mancamento di quella fiducia debita, che si deve aver sempre in Dio. E questa è quella, che qui ti vieta l’Apostolo, mentre dice: « Nihil soliciti sitis — Non siate sì solleciti » perchè in luogo di questa avrà da supplire il ricorso a Dio, che appresso egli raccomanda in quelle parole: « Petitiones vestrae innotescant apud Deum — Le vostre istanze sieno manifeste a Dio ». Nel resto il ricorso a Dio non toglie la sollecitudine buona, la qual consiste nella debita diligenza, che qualunque ha da usare dal canto suo non ostante il divino aiuto, perchè è verissimo che tocca a Dio di soccorrerti ne’ bisogni sì corporali, come spirituali; ma tocca a te di apprestar frattanto quei mezzi, che rendano il suo soccorso più naturale, che sia possibile, per non obbligarlo a’ miracoli: « Equus paratur ad diem belli; Dominus autem salutem tribuit — Si mettono in punto i cavalli pel giorno della battaglia; ma il Signore è quegli che dà salute » (Proverbio 21, 31). Però la sollecitudine buona non solamente è lodata; ma necessaria a par delle altre virtù: « In omnibus abundetis fide, et sermone, et scientia, et omni solicitudine. — In ogni cosa siate doviziosi di fede, di parola, di scienza, e d’ogni sollecitudine » (Seconda lettera ai Corinzi 8, 7).
II.
Considera, che nelle divine Scritture questa sollecitudine buona si annovera di otto sorte. Le prime quattro appartengono ad alcuni generi di persone particolari. Le seconde appartengono a tutti. La prima è la sollecitudine di Prelatura, perchè il Prelato ha da esser sollecito del suo popolo, come il Padre della sua prole, come il Pastore delle sue pecorelle, come il Nocchiero di quella Nave, ch’ha da mettere in Porto: « Qui praeest, in solicitudine. — Chi presiede, sia sollecito » (Lettera ai Romani 12, 8). La seconda è di Predicazione, perchè il Predicatore deve usare nel suo mestiere quella sollecitudine, che ha la Nutrice in allattare il Bambino: « Fiduciam habuimus loqui ad vos verbum Dei, in multa solicitudine. — Avemmo fidanza di predicare a voi la parola di Dio con molta sollecitudine » (Prima lettera ai Tessalonicesi 2, 2). La terza è di provvedimento, e conviene agli Amministratori di rendite, a Maggiordomi, a Ministri, ed anche a quei Poveri, che sono necessitati a trovarsi il pane per propria sostentazione « Solicitudine non pigri — Con sollecitudine non pigra » (Lettera ai Romani 12, 11). La quarta è di operazione, e conviene a Servi, agli Artisti, agli Agricoltori, e ad altri tali nelle loro usate faccende: « Martha, Martha solicita es. — Marta, Marta tu se’ sollecita » (Vangelo di Luca 10, 41) Tra quelle poi, che appartengono a tutti, la prima è di divozione, e riguarda Dio, perché ciascuno ha da esser sollecito di piacere a Dio, più che ogni suddito al suo Principe, ogni servo al suo Padrone, ogni figliuolo al suo Padre: « Indicabo tibi, o homo, quid sit bonum… solicite ambulare cum Deo tuo. — Io ti insegnerò, o uomo, quello che è ben fatto… camminar con sollecitudine col tuo Dio » (Michea 6, 8). La seconda è di circospezione, e riguarda l’anima propria, perché ciascuno ha da essere più sollecito di custodirla dagli assalti nemici, che non è qualunque Capitano di custodir la sua Piazza: « Custodite solicite animas vestras. — Custodite con sollecitudine le anime vostre » (Deuteronomio 4, 15). La terza è di compassione, e riguarda il prossimo posto in necessità, perchè ciascuno ha da esser sollecito di ‘soccorrerlo a par di se stesso, sì nelle necessità spirituali, come ancor nelle corporali « Spero Timotheum me cito mittere ad vos: neminem enim habeo tam unanimem, qui sincera affectione pro vobis solicitus sit. — Spero di mandare speditamente da voi Timoteo. Imperciocchè non ho nessuno così unanime, che con sincera affezione sia sollecito per voi » (Lettera ai Filippesi 2, 19). La quarta è di dilezione, e questa riguarda il prossimo in ogni stato, perchè ciascuno ha da essere sollecito di conservare con esso la carità, la concordia, la pace, come con verissimo amico: « Soliciti servare unitatem spiritus in vinculo pacis — siate solleciti di conservare l’unità dello Spirito mediante il vincolo della pace » (Lettera agli Efesini 4, 3). Queste sono le otto specie di sollecitudine buona. Chi di queste ha tutte quelle, che a lui convengono, si può dire, che « abundet in omni solicitudine — sia dovizioso d’ogni sollecitudine ». Se a te le prime quattro non appartengono, appartengono le seconde, e però osserva, se tutte e quattro tu possiedi in quel grado, che si dovrebbe, perchè la sollecitudine buona è diligenza, ma non è diligenza ordinaria, è una diligenza più singolare, la quale in queste materie, ch’hai qui sentite, non è soggetta sì facilmente ad escludere la fiducia debita in Dio, come accade nella cattiva, e però è detta assolutamente lodevole.
III.
Considera, che come nella divina Scrittura sono annoverate le specie della sollecitudine buona, così vi sono annoverate anche quelle della cattiva, e si restringono a quattro : di Gloria, e d’Interesse, di Corpo, e di Donna, a cui trovasi onestamente legato, e tenuto per altro portare amore, come al proprio Corpo. « Erunt duo in carne una. — I due saranno sol una carne » (Genesi 2, 24). La prima di gloria fa, che soverchiamente la persona si studii di sostenere la riputazione, di accrescerla, di ampliarla, ed è propria degli ambiziosi, che rare volte sortiscono il loro intento: « Expectatio solicitorum peribit. — L’espettazione degli ambiziosi andrà in fumo » (Proverbio 12, 7). La seconda d’interesse fa, che la persona affatichisi troppo per avanzare, per accumulare; ed è propria degli avari, anzi di tutti, per dir così, gli uomini di Mondo, che però fu detta da Cristo generalmente « solicitudo saeculi istius — la sollecitudine del secolo presente » (Vangelo di Matteo 13, 22). La terza di corpo fa, che la persona troppo si adoperi intorno alla mensa, intorno alle morbidezze, o intorno agli adornamenti; ed è propria de’ sensuali, che come tali vivono più da Gentili, che da Cristiani: « Nolite soliciti esse dicentes: quid manducabimus, aut quid bibemus, aut quo operiemur? haec enim omnia gentes inquirunt. — Non vogliate esser solleciti dicendo: che mangieremo, o che berremo, o di che ci vestiremo? Imperocchè tali sono le cure de’ gentili » (Vangelo di Matteo 6, 31). La quarta di donna fa, che uno eccessivamente pensi a tenerla paga, ad abbigliarla, ad accarezzarla; ed è propria de’ coniugati, a cui però riesce difficile dare in tale stato a Dio tutto il loro cuore: « Qui curn uxore est, solicitus est quae sunt Mundi, quomodo placeat uxori, et divisus est. — Chi è ammogliato, ha sollecitudine delle cose del Mondo, del come piacere alla moglie, ed è diviso » (Prima lettera ai Corinzi 7, 33). Tutte e quattro queste sollecitudini vengono chiamate cattive di loro genere: non perchè fino a un certo segno non sia lecito mantener la riputazione, procurare il danaro, servire al corpo, compiacere alla donna; ma perchè in sì fatte materie troppo è malagevole contenersi dentro a un tal segno. La diligenza, che in esse si suole usare, facilissimamente trapassa in vizio, porta inquietudine, porta ansietà, porta affanno, e non solo presuppone una totale diffidenza verso di Dio, ma presuppone anche insulto. Sono moltissimi quei, che a dispetto di Dio procurano di arrivare a ciò, ch’essi bramano, ch’è quanto dire, dove no ‘1 possono conseguire con mezzi leciti, lo vogliono’ cogl’illeciti. E non è questa una pazzia? Di’ tu, che con mezzi illeciti vuoi provvedere alle proprie necessità, non vedi chiaro, che sì facendo ti tocca andare all’Inferno? Rispondi, che Dio poi ti perdonerà come misericordioso. Ma qui sta la somma sciocchezza, che tu confidi di ottener da Dio quello, che è tanto più, ch’è il provvedimento di cio’ che ti fa peccare. Contentati di quello, ch’è convenevole al tuo onesto mantenimento, e poi se lo chiedi a Dio con fiducia, non temer di non ottenerlo. Credi tu, che non abbia anch’egli la propria sollecitudine, che lo fa pronto a soccorrerti, a sollevarti? « Dominus solicitus est mei — Il Signore ha sollecitudine di me » (Salmo 39,18)
IV.
Considera, che nelle istesse sollecitudini dette buone agevolmente può corrersi ancora rischio di qualche eccesso. Nelle prime quattro, che sono proprie di alcuni stati particolari, eccedono quei, che sono nelle loro opere detti ardenti. Tu scorgi alcuni, che fanno il loro uffizio per eccellenza, mercè la diligenza, che v’usano; ma vedi ancora, che questa diligenza è congiunta con troppo ardore, perchè si turbano a simiglianza di Marta: mostrano ansia, mostrano affanno, nè mantengono quella tranquillità, che mai per nessun evento s’intorbida in un cuor santo: « Solicitudo ejus aufert somnum. — Tal sollecitudine toglie il riposo » (Ecclesiastico o Siracide 42, 9). Se tu procedi così, tu sei difettoso nella sollecitudine stessa, ch’è per sè buona: e per qual cagione? perchè non ti fidi interamente di Dio, e da ciò nasce, che ti alteri, che ti accendi, che perdi molto di pace. Se tenessi per fermo, che Dio non mancherà di far sempre succedere ciò, che è il meglio, useresti bensì nell’opere tue la premura istessa, che adoperi di presente, ma senza perturbazione. Nelle seconde quattro, che sono comuni a tutti, eccedono quei, che si chiamano scrupolosi, perchè in ogni cosa temono, o di offender Dio, o di trascurare se stessi, o di mancare ne’ debiti verso il prossimo. Questo eccesso, com’è leggiero, è giovevole, perchè dà alla sollecitudine più vigore: com’è grave, è nocevolissimo, perchè la trasmuta in una inquietudine somma: « Prae solicitudine quiescere non potuit. — Per soverchia sollecitudine non potè trovar quiete » (Geremia 49, 23). Quindi è, che lo scrupolo, quando è grave, rare volte provien da Dio, salvo che permissivamente; perchè suo proprio è tranquillar le tempeste, più che svegliarle: « Non in commotione Dominus. — Non nella perturbazione evvi il Signore » (Primo libro dei Re 19, 11). Molte volte provien dal Demonio, ch’ebbe potere, come si ha per probabile, di suscitare questa burrasca altamente, ancor nel povero Giobbe per più abbatterlo ne’ suoi mali, di che dan segno quelle dolenti parole: « Verebar omnia opera mea. Formido tua non me terreat. Pavor ejus non me terreat. Considerans eum, timore solicitor. — Io temeva di tutte le mie azioni. Non mi sbigottire co’ tuoi terrori. Non mi agghiadi co’ suoi terrori. Quand’io lo considero, mi scuote il timore ». Ma le più volte suol provenire dal proprio temperamento di chi ne patisce, come da umore o tetro, o timido, o tenero, o pur simile a quei turbolenti Pianeti, i quali a eccitar nuvoli sono attissimi, ma non sono poi atti a sgombrarli. Però se tu sei sottoposto per ventura a un tal male, conviene assai, che procuri di liberartene; altrimenti per timore di un peccato falso, corri gran rischio di commettere un vero, qual è quel di vivere inquieto, e così di riuscire poc’atto a glorificare Iddio, a governare te, a giovare al prossimo. Ma qual è questo modo di liberartene? Il principale è acquistar quella confidenza pienissima nel Signore, che come si è detto, sempre ha da stare unita colla sollecitudine, affinchè questa si dica degna di lode. La tua sollecitudine è buona in sè, però riesce in te difettosa, se tu sei soggetto agli scrupoli, perchè non ti fidi intieramente di Dio; temi, che la tua malizia sopravanzi la sua bontà, sicchè egli non ti abbia rimesse ancor quelle colpe, benchè da te confessate già tante volte, sicchè non debba assisterti, sicchè non debba aiutarti, sicchè alla morte ti debba lasciar in preda a tutti i tuoi più capitali nemici. E non osservi il gran torto, che in ciò gli fai? Attendi pure a servirlo con quella sollecitudine, ch’è la buona, cioè dire con diligenza: « Solicite cura te ipsum probabilem exhibere Deo. — Con diligenza studiati di comparire degno d’approvazione davanti a Dio » (Seconda lettera a Timoteo 2, 15). Nòn dico « probatum — approvato », perchè ciò non ti è mai possibile di saperlo, se Iddio non te lo rivela; dico « probabilem — degno d’approvazione »: e poi di te lascia tutto il pensiero a lui, nenia curarti di star fra te tutto il giorno a fantasticare, se ti approvi, o non ti approvi, se ti accetti, o non ti accetti, se ti abbia a dar salute, o non abbia a dartela: « In manibus tuis sortes meae. —Nelle tue mani sta la mia sorte » (Salmo 30, 16). E così allor deporrai quell’affanno, e quell’ansietà, che fa degenerare la tua sollecitudine per altro buona in viziosa, o almeno notevole. Chi può dir quanto tutto dì sia quel tempo, che senza pro tu consumi scrupoleggiando? Fa dunque in questa maniera. Impiega anzi quel tempo in raccomandarti caldamente al Signore, impiegalo « in omni oratione — in ogni orazione », impiegalo « in omni obsecratione — in ogni ossecrazione », impiegalo in ricordarti « cum graliarum actione — con rendimento di grazie » de’ benefizi, che hai da lui ricevuti in qualunque tempo: e così in cambio di perderlo lo guadagni, perchè ti assicuri di ottener da Dio tutto ciò, di cui come scrupoloso diffidi. Ma perchè questo è trapassare a materia assai differente, meglio sarà assegnarle il suo giorno proprio da ripensare.