La Manna dell’Anima - Lectio divina - P. Paolo Segneri

NOVEMBRE

 

I. GIORNO

La Festa di tutti i Santi.

Si medita la bellezza del Paradiso per dedurre la beatitudine di tutti i Santi.

« Beati qui habitant in domo tua, Domine: in saecula saeculorum laudabunt, te. — Beati coloro, che abitano nella vostra casa, o Signore : eglino vi loderanno in eterno » (Salmo 84, 5).

 

I.

Considera quanto bello dev’essere il Paradiso, mentr’egli è Casa di Dio ! Domus Domini. Quanto più nobile è il principe, tanto conviene che più sontuosa, più splendida sia la casa dov’egli alberga. E però qual casa si potrà mai ritrovare miglior di questa, mentre dà ricetto a quel Principe, ch’è il maggiore: Dominus Dominantiumt Cinque sono quelle doti, le quali rendono una casa perfetta. La grandezza, la disposizione, la bellezza, la ricchezza, l’amenità. E queste doti dove mai si ritrovano unite insieme, fuorchè nella Casa di Dio? Che ne vuoi saper? La grandezza? Non te la puoi figurare con la tua debole mente, non che comprendere: « O Israel, quam magna est Domus Dei! — Oh Israello, quanto è grande la Casa di Dio ! » (Baruc 3, 24). La disposizione? Ma molto bene la insinuò Cristo medesimo, dove disse : « In Domo Patris mei mansiones multa? sunt. — Nella Casa del Padre mio molte sono le mansioni » (Vangelo di Giovanni 14, 2) : mentre ognun sa che nelle case de’ grandi, quello che più toglie la confusione si è la moltiplicità degli appartamenti. La bellezza? Basta poter darle un’occhiata, tanto ancor di lontano, quant’è dalla nostra terra, ad innamorarsene : « Domine, dilexi decoreni Domus tuae. — Signore, ho amato la bellezza della tua Casa » (Salmo 26, 8). La ricchezza? Ma chi vuole ricchezza che non sia falsa, conviene che là sen vada, se vuol trovarla: « Divitiae in Domo ejus. — Ricchezze nella Casa di lui » (Salmo 112, 3). Fuori di là, ciò che si gode, è povertà, non ricchezza. L’amenità finalmente? Ma non sai tu, che quella Casa Divina, non è tanto Casa, quanto un Giardino amenissimo di delizie. Però appunto s’intitola il Paradiso : « In deliciis Paradisi Dei fuisti. — Tu vivevi tra le delizie del Paradiso di Dio » (Ezechiele 28, 13). Mira però se ha ragion grande il Salmista, quando egli esclama : « Beati qui habitant in domo tua, Domine — Beati coloro, che abitano nella vostra casa, o Signore! ». E qual è mai quella casa, la qual ti renda con questo solo beato, con abitarvi? Le case de’ monarchi? Non già: anzi in quelle tu sei spesso più misero che nella tua; perchè nella tua sei libero, in quelle schiavo. La sola casa della beatitudine ha questo privilegio, che qualunque ivi abiti, sia beato. Ma tal è la Casa di Dio: Domus Domini. E tu non sai finire ancor d’invaghirti d’una tal Casa, come se sulla terra, dovunque stessi, non fossi sempre nel numero di coloro, che non hanno altro albergo, che di capanne? « qui habitant domos luteas — quelli che abitano case di fango » (Giobbe 4, 19). Considera, che quantunque nella Casa di Dio si trovi ogni bene, e però chiunque v’abita sia beato, contuttociò non è questa già la cagione, per cui il Salmista sì piamente ne invidia gli abitatori, con dir : Beati qui habitant. Questo per uno spirito fino, qual era il suo, sarebbe stato un motivo troppo ordinario. Se sì gl’invidia con intitolarli Beati, è perchè quivi non faranno mai altro, che lodar Dio : Beati qui habitant in Domo tua, Domine: in saecula saeculorum laudabunt te, non dice : « videbunt te — vi vedranno », ma « laudabunt — vi loderanno ». E questo è il modo col quale hai tu parimente da raffinare il desiderio del Cielo, per renderlo più perfetto. Se desiderandolo hai tu per fine ultimo il goder Dio, brami il tuo bene; se hai per fine il lodarlo, tu brami il suo : e questa è la perfezione. Però siccome quando tu temi l’inferno, l’hai da temere, almeno principalmente, per questo fine, di non avere in eterno a maledir Dio (ch’è quella dote che sommamente nobilita un tal timore) così quando desideri il Cielo, l’hai da desiderare per aver là da benedirlo in eterno : in secula culorum. E dove mai può ciò farsi se non in Cielo? Su questa terra non possiam del continuo lodare Iddio, come pur dovremmo, perchè siamo spesso necessitati a intermettere le sue lodi, per esporgli i nostri bisogni. In Paradiso non v’è bisogno di niente : e così altro lassù non rimane a fare, che lodar Dio : in saecula saeulorum laudabunt te. Senza che, quando ancora qui lo potessimo lodar sempre, nol sappiam fare : ond’è che qui di gran lunga più c’impieghiamo in lodar le sue opere, che lui stesso : « generatio, et generatio laudabit opera tua. — Ogni generazione (ch’è quella la qual trascorre di mano in mano sopra la terra) loderà le vostre opere » (Salmo 145, 4). Ma molto ben noi lo saprem fare in Cielo, e però dice il Salmista di quei che vi abitano, che loderan sempre lui: in sicula steculorum laudabunt te, non dice Opera tua, dice te. Chi vede un bel palazzo, chi vede una bella pittura, ma non ne conosce l’artefice, loda l’opera : ma chi ne conosce molto bene l’artefice, loda lui. In questo mondo non conosciamo immediatamente Dio in se medesimo, ma sol nell’opere sue, e però ce la passiamo in lodare non tanto lui, quanto le belle opere uscite dalle sue mani. In Cielo lo conosceremo qual egli è in sè, « videbimus eum sicuti est — lo vedremo qual egli è », e però in Cielo non tanto loderem le sue opere, quanto lui. Quindi è, che quantunque i Beati loderan Dio grandemente per tutti quei beni estrinseci che egli gode, com’è, per la gloria che egli riceve dalle opere della creazione, della giustificazione, della glorificazione, e della punizione ancora de’ reprobi; contuttociò più anche lo loderan per gl’intrinseci, ch’è quanto dire, per essere quel eh’ egli è, beato di sè solo, eterno, immenso, infinito, ed incomprensibile : « Secundum nomen tuum, Deus, sic et laus tua. — Come il tuo nome, o Dio, così la tua gloria » (Salmo 48, 11). E quivi sta la finezza della lor lode, perchè i beni estrinseci, che Dio gode, hanno parimente riguardo al ben de’ Beati, ma non gl’intrinseci. Gli intrinseci non l’hanno di loro natura che al suo ben proprio. Però siccome la finezza dell’amor de’ Beati consiste in amar Dio più per li suoi beni intrinseci, che per gli estrinseci : « ipse enim Omnipotens super omnia opera sua — Perciocchè egli l’Onnipotente è al di sopra di tutte le sue opere » (Ecclesiastico o Siracide 43, 30), così in lodarlo parimente per quelli, più che per quei, consisterà la finezza della lor lode : in saecula saeculorum laudabunt te. 

II.

Considera, che tu forse peni ad intendere, come i Beati non abbiano da stancarsi in questo loro eterno esercizio di lodar Dio. Ma ciò procede, perchè misuri il loro amore dal tuo. Quando i Beati si stancheran di amar Dio, allora pure si stancheran di lodarlo. Ma chi può stancarsi giammai di amare ogni bene? Però da qual parte vuoi tu che proceda questa stanchezza? da parte del lodato, o da parte del lodante? da parte del lodato non può procedere, perchè se i Beati avessero a lodar qualunque altro fuori di Dio, confesso, che a lungo andare si stancherebbono, atteso che qualunque altro può meritarsi una gran lode sì bene, ma limitata : ma avendo essi da lodar Dio, laudabunt te, non ci è mai questo pericolo che si stanchino, ancorachè lo lodino in sxcula seculorum, perchè sempre più troveranno di che lodarlo : « Benedicentes Dominum, exaltate illum quantum potestis, major enim est omni laude. — Benedite il Signore, ed esaltatelo quanto potete; perocchè egli è maggior d’ogni laude » (Ecclesiastico o Siracide 43, 33). Nè può una tale stanchezza giammai procedere dalla parte almen del lodante : perchè come i Beati amano Dio di gran lunga più di se stessi, così più amano ancora di lodar Dio, che non amano di vederlo. Quei Serafini che apparvero ad Isaia, velavano i lor occhi con l’ali dinanzi a Dio, nel tempo stesso che con la lingua incessantemente cantavano : Sanctus, Sanctus, Sanctus. E perchè ciò? Per dimostrargli credi°, ch’essi prima cesserebbono dal vederlo, che dal lodarlo. E così i Beati che sono giunti a un finissimo amor di Dio, per non cessar di lodarlo, si contenterebbono di cessar prima ancor eglino dal vederlo, rinunciando alla loro Beatitudine, piuttosto che alle sue lodi. Però siccome non è giammai possibile che i Beati si stanchino in eterno d’esser Beati, così molto meno è possibile che si stanchino di dare a Dio quelle lodi, che sono ad essi più care ancor della loro Beatitudine. Ben dunque ha ogni ragione il Salmista di dire a Dio : « Beati qui habitant in domo tua, Domine: in saecula saeculorum laudabunt te — Beati coloro, che abitano nella vostra casa, o Signore : eglino vi loderanno in eterno », perchè questo è ciò che a’ Beati compisce intieramente la loro Beatitudine: lodar Dio : « Populum istum formavi mihi, laudem meam narrabit. — Io formai per me questo popolo, ed egli pubblicherà le mie lodi » (Isaia 43, 21).

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