GENNAIO
I. GIORNO
Sopra il nome del Signore.
“Beatus vir, cujus est nomen Domini spes ejus: et non respexit in vanitates, et insanias falsas. — Beato l’uomo, di cui la speranza è il nome del Signore: e gli occhi non rivolse alle vanità, e alle follie dell’errore” (Salmo 40, 5).
I.
Considera qual nome del Signore sia quello, che ha da costituire singolarmente la tua speranza. Quello senza dubbio, che è il nome sopra ogni nome, il nome di GESÙ; ch’è quello, ch’egli in questo giorno guadagnasi col suo Sangue. Il saper solo, ch’egli ha un tal nome, dee porgere ogni fiducia : « Sperent in te qui noverunt nomen tuum — Sperino in te quei che conoscono il nome tuo e.» Perché il Signore non si dà, come gli uomini, vanti vani. Non può chiamarsi tuo Salvatore, e non essere. Basta, che tu lasci operarlo da quel ch’egli è. « Scitote, quia nullus speravit in Domino, et confusus est. — Sappiate, che niuno sperò nel Signore, e rimase confuso » (Ecclesiastico o Siracide, 2, 11).
II.
Considera quanto giustamente è detto beato, chi pone la speranza sua nel Signore, perché la pone in chi è somma potenza, somma sapienza, somma bontà; e però non solo può farci ogni gran bene, non solo sa farcelo : ma brama ancora di farcelo sommamente. Non così già sarà beato, chi pone la sua speranza negli uomini. Anzi oh quanto egli è sventurato ! Rarissime volte bramano gli uomini di farci molto di bene. Quando bramino farlo, non sanno farlo. Quando t. Gnomi° 9 sappian farlo, non possono. « Defecerunt oculi nostri ad auxilium nostrum vanum, cum: respiceremus attenti ad gentem, quae salvare non poterai. — Si stancarono gli occhi nostri rivolti al vano soccorso nostro, e ad una nazione che non potea sàlvarci » (Lamentazioni 4, 17). E questi dunque vuoi tu per tuoi Salvatori?
III.
Considera, che l’aver nel Signore questa speranza, non è si facile, come a prima fronte appaisisce. Però chi per sua gran sorte è giunto ad averla, non è chiamato uomo, ma « Vir — Forte: Beatus vir — beato il forte» ; richiedendosi a tale effetto fortezza piucchè ordinaria: fortezza per cominciare a sperare, fortezza per non desistere. Molti non cominciano, perchè atterriti dalla loro miseria, non credono d’esser atti a ricevere grazie grandi; molti cominciano un poco, ma poi non seguono, quasi che il loro sperare riesca vano, o sia perché il Signore fa sospirare le sue grazie, o sia perchè le fa, ma segrete. Non così tu, non così: ma sii sempre Vir, cioè sempre forte a sperare nell’istessa forma. Benchè per un’altra ragione, chi spera assai nel Signore è chiamato «Vir – Forte »; ed è, perchè la sua speranza medesima lo fa tale. E ch’altro al fine è la fortezza di un’animo? la speranza: «Fortitudinem meam ad te custodiam, quia Deus susceptor meus es. – La mia fortezza riporrò in te, perchè tu se’, o Dio, il mio difensore e (Salmo 59, 10). Così disse Davidde a Dio. Ma non vedi tu ciò che volle dire, quando disse a «fortiludinem meam – la mia fortezza »? Volle dire appunto «spem meam – la mia speranza ».
IV.
Considera quale ha da essere il frutto di una tale speranza. Il disprezzare i beni di questo Mondo, chiamati altri vanità, ed altri insanie: vanitates, et insanias. Alcuni di tali beni si possono godere lecitamente; e questi almeno meritano il nome di vanità, perchè non hanno punto di sostanzioso, o di sodo : non saziano il cuore umano : «Vere mendacium possederunt Patres nostri, vanitatem, quae eis non profuit. – Veramente i Padri nostri ereditarono la menzogna, e la vanità, che nulla ad essi giovò » (Geremia 16, 19). Altri non si possono godere senza peccato; e questi meritano non solo il nome di vanità, ma d’insanie: perchè qual maggior Pazzia si può commetter dagli uomini su la terra, che collocare il diletto loro in quei beni, i quali hanno a cambiarsi in un mal sì grande? Per verità, che «dum laetantur insaniunt – nelle loro feste danno in insania» (Sapienza 14, 28).
V.
Considera, quanto vil conto hai da fare di beni tali. Non gli hai, come si dice, a degnare neppur d’un guardo: Non respexit: tanto più, che possono adescarti con somma facilità. Le pazzie naturali si danno a conoscere tosto per quelle, che sono, ma non così queste pazzie de’ Mondani, che noi possiamo chiamare pazzie morali. Queste da infiniti si tengono per saviezze, e però queste a distinzione delle altre, si chiamano pazzie false, cioè pazzie mentitrici. Siccome appunto i maggiori inganni si chiamano inganni falsi, deceptiones falsae, insaniae falsae, illusiones falsae, non perchè in sè non contengano inganno vero, ma perchè lo nascondono. Non voler dunque rivoltare il tuo guardo su pazzie tali, affinchè non seducano ancora te. Ti basti di saper certo, che son pazzie, come pur troppo sapranno un dì quegli stessi, che or le tengono per saviezze. «Cum sint lignea, inaurata, et inargentata, disse già il Profeta degl’Idoli, scietur postea, quia falsa sunt. — Essendo cose di legno, indorate, e inargentate, si conoscerà una volta che sono falsità a (Baruc 6, 50). E così tu puoi dire di queste pazzie. Sono al presente coperte, son quasi indorate, son quasi inargentate, ma che? Non verrà tempo in cui pur troppo si scoprirà quanto fossero frodolenti? Senti come tutti giù gridano nell’Inferno i loro seguaci: «Ergo erravimus a via veritatis… et Sol intelligentiae non est ortus nobis. – Dunque noi smarimmo la via di verità… e non si levò per noi il Sole d’intelligenza » (Sapienza 5, 6). Se non che sciocchi vogliono dare, dello sbaglio ch’han tolto, la colpa al Sole.